I maestri del 900: Wright e Aalto




Frank Lloyd Wright fu uno dei primi architetti americani a rompere con l’Eclettismo ancora in voga alla fine dell’Ottocento, proponendo un'idea di architettura basata sull’intersezione di semplici volumi geometrici liberamente ispirata a modelli storici non tradizionali e non legati alla cultura europea: dall'architettura tradizionale delle grandi case in legno americane, alle culture native centroamericane, come quella maya, passando per la tradizione costruttiva giapponese.

Il nome di Wright è, inoltre, strettamente associato al concetto di architettura organica, una corrente del Movimento Moderno caratterizzata da un atteggiamento progettuale attento al rapporto armonico delle parti con il tutto simile a quello che caratterizza un organismo vivente. Tale attenzione si manifesta nella ricerca di un inserimento armonico della costruzione nell’ambiente nel quale è inserita, nell’uso di materiali naturali e nella continuità e fluidità degli spazi interni dove tutto diventa parte di un unico spazio architettonico.


Nato e cresciuto nello stato del Wisconsin, all’età di 20 anni si recò a Chicago dove lavorò nello studio di Adler e Sullivan, dopo aver frequentato due soli anni della facoltà di ingegneria. Mentre è ancora impiegato comincia a progettare per conto suo e nel 1893 apre il suo studio personale all’ultimo piano del Garrick Buiding di Chicago. Comincia così la più straordinaria carriera che un architetto del nostro tempo abbia avuto; è morto novantenne, ha costruito oltre 300 edifici e ha influenzato in maniera significtaiva tre generazioni di architetti.

Wright ha fin dall’inizio l’ambizione di creare un’architettura nuova indipendente dagli stili tradizionali ed aderente alla vita moderna.
La prima parte dell’attività di Wright sino al 1910, comprende numerose case d’abitazione unifamiliari: le cosiddette Prairie Houses (la più famosa delle quali è la Robie House realizzata tra il 1908 e il 1910) il cui programma veniva così riassunto dallo stesso Wright nel 1930:
  • Ridurre al minimo indispensabile le pareti divisorie
  • Armonizzare l’edificio con l’ambiente esterno
  • Eliminare la concezione delle stanze e della casa come scatole e trattare, invece, i muri come pareti di chiusura in modo che formassero un unico recinto di spazio
  • Portare il basamento interamente sopra il livello del terreno in modo tale che le fondamenta apparissero come una bassa piattaforma in muratura sulla quale si ergeva l’edificio
  • Dare a tutte le aperture interne ed esterne proporzioni logiche e umane
  • Eliminare combinazioni di materiali diversi usando quanto possibile un unico materiale; non applicare ornamenti che non nascessero dalla natura stessa dei materiali e che non contribuissero a rendere l’edificio più chiaramente espressivo della sua funzione
  • Incorporare impianti di riscaldamento, di illuminazione ecc…, facendone parte integrante dell’edificio inquadrando così in un ideale di architettura organica
  • Incorporare per quanto possibile il mobilio come architettura organica facendone parte dell’edificio

Robie House, 1908-1910, facciata principale

Robie House, 1908-1910, vista d'angolo
Robie House, 1908-1910, prospetti

Robie House, 1908-1910, ingresso

Robie House, 1908-1910, piante

Robie House, 1908-1910, vista del salone principale

Robie House, 1908-1910, vista del salone principale

Nel 1910 su proposta dell’Università di Harward, si reca in Europa, e prepara una mostra dei suoi progetti a Berlino, mentre dal 1916 al 1922 risiede per lunghi periodi in Giappone dove costruisce l’albergo imperiale di Tokyo. Al suo rientro dal soggiorno giapponese la produzione di Wright si dirada e la sua fama diminuisce.
Bisognerà attendere gli anni 30, quando progetterà il quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939) e la casa Kaufmann (nota come Casa sulla Cascata) in Pennsylvania perché la sua opera torni a suscitare grande interesse in America e nel resto del mondo; interesse in parte derivato dal desiderio di contrapporre un’architettura americana al repertorio razionalista europeo che si andava diffondendo negli stessi anni. 

Con il Johnson Wax Building Wright chiarisce in maniera definitiva il concetto di architettura organica: i muri esterni sono espressi come puro involucro e si svolgono in forti curve verso l'ingresso basso e oscuro, dove le colonne si schiacciano, evocando l'entrata di una caverna, per poi slanciarsi, oltrepassata la zona oscura, in tutta la loro altezza, illuminate dalla luce che filtra dalle vetrate sovrastanti. 


quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939), sezione e prospetto

L'architetto americano sostiene che, nella costruzione di un luogo di lavoro, la ricerca architettonica deve puntare alla qualità di vita dei lavoratori. Il miglioramento del luogo di lavoro della moderna industria, rendendolo più dignitoso e soddisfacente è il principale elemento che riesca ad aumentare il livello di benessere degli impiegati e di conseguenza la loro efficienza lavorativa. I Johnson riuscirono a mettere in atto questo programma di sviluppo economico realizzando un edificio interessante e confortevole (dotato di centro commerciale, teatro, campo da squash, spazi verdi e ampie terrazze panoramiche), creando un rapporto di partecipazione con gli operai e registrando un effettivo aumento dei profitti.




quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939),  ingresso

quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939),  atrio di ingresso


quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939), open space


quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939),  opern space
Tutta l’opera si fonda sul legame indissolubile tra architettura e luce. L’architetto americano abolisce le finestre e utilizza colonne a fungo alte nove metri -cave, per permettere lo smaltimento dell’acqua piovana- che si allargano in sommità in dischi di cemento armato, tra i quali sono incastrati cilindri in vetro, che modellano il soffitto e creano un’alternanza di luce e ombra che dona al fruitore la sensazione di essere immerso in una vasca. L’utilizzo dei cilindri in vetro introduce il tema della produzione in serie, che rende moderne queste architettura reinventando la destinazione d’uso del materiale, concetto che verrà ribadito più tardi anche da Aalto.


quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939), la torre degli uffici
quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939), la torre degli uffici



quartier generale della Jhonson Wax (1936-1939), la torre degli uffici in costruzione


Casa Kaufmann (1936-1937)
La casa Kaufmann (Casa sulla Cascata) a Bear Run segna l’apice poetico dell’architettura organica e la massima vetta raggiunta dalla libertà creativa di Frank Lloyd Wright.
Edificata – e non senza difficoltà – negli anni tra il 1936 e il 1937 la Casa sulla cascata è, insieme, una risposta al funzionalismo del Movimento Moderno e il suo superamento. Che sia una risposta al funzionalismo lo si vede da una radicale semplificazione delle forme architettoniche. Tutto è chiaro, semplice, pulito, risolto geometricamente in un gioco dei piani orizzontali. Siamo però oltre il funzionalismo.
Con la Casa sulla cascata, come è stato da più parti notato, si celebra, infatti, l’unione tra la natura e la creatività umana, dove è la prima che fornisce all’architetto il pretesto con il quale operare, ma dove è solo la seconda che, valorizzando e drammatizzando l’elemento naturale (i questo caso una piccola cascata, come tante) lo trasforma nella dimostrazione di un nuovo modo di intendere il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente cioè in architettura organica.
L’intera composizione è giocata sul contrasto tra i leggeri piani degli sbalzi intonacati e la struttura verticale in pietra. Il proposito è di occupare lo spazio nelle sue direzioni e, a questo scopo provvedono sia le disposizioni dei piani, alcuni orientati in lunghezza e altri in profondità, sia i percorsi con bruschi cambi di vista e di prospettiva con uno sguardo che è sempre filtrato da un elemento artificiale che si trova oltre la finestra, per esempio il parapetto della terrazza, con l’obiettivo di mettere in relazione architettura e paesaggio circostante, impedendo una visione solo dell’una o dell’altra.

casa Kaufmann, 1936-1937, schizzo prospettico di Frank LLoyd Wright

casa Kaufmann, 1936-1937, vista dal fiume
casa Kaufmann, 1936-1937, sezione e spaccato assonometrico



casa Kaufmann, 1936-1937, la terrazza sul fiume

casa Kaufmann, 1936-1937, il salone

casa Kaufmann, 1936-1937, il salone
Sempre negli stessi anni Wright prefigura la propria città ideale: Broadacre City (1931-35). La immagina come una città–territorio dove ogni abitante ha diritto ad una casa individuale e ad un pezzo di terra, un proprio spazio, evitando di addensare milioni di persone nelle metropoli-megalopoli, viste come origine di gran parte dei mali che affliggono la società contemporanea e a questo fine cerca di sfruttare le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazioni quali battelli, automobili ma anche futuristici elicotteri pensati per un uso individuale, per realizzare piccole comunità di circa 1400 famiglie disperse nel territorio, fondate sull’autogoverno, e, quindi, estranee alla burocrazia che contamina le moderne città industriali.

Broadacre city, 1931-1935, plastico

Broadacre city, 1931-1935, vista generale

Broadacre city, 1931-1935,  dettgalio 
Broadacre city, 1931-1935, dettgalioe




La proposta è praticamente opposta a quelle elaborate in Europa negli stessi anni basate, invece, sulla concentrazione e sull’uso intensivo del suolo. E nonostante Broadacre condivida con la Ville Radieuse, presentata negli stessi anni da Le Corbusier, l’idea che la città debba scomparire per fare più posto al verde e alla natura, se ne differenzia per il suo carattere più radicale. Bradacre, afferma Wright “sarà una città talmente diversa dalla città del passato e da qualsiasi città odierna che probabilmente non saremo in grado di riconoscerla in quanto città”.

Nel 1946 Wright realizza il GuggenheiemMuseum sulla 5th Avenue a New York (1946-1959); una strada ascendente ed espansa a spirale, un super garage per l’arte, come venne definito.
Con le due spirali che si aprono verso l’alto questo edificio è insieme un organismo che propone un modo nuovo di vedere l’arte, liberata dalla sacralità del museo e finalmente scesa in strada, e una critica alla griglia ortogonale della città di Manhattan. I visitatori, diversamente dai musei tradizionali dove sono posti di fronte a sequenze più o meno articolate di stanze, arrivano, condotti da ascensori, sulla sommità dell’edificio e da qui discendono lungo una rampa con una passeggiata durante la quale incontrano le opere d’arte. L’idea, affascinante per il suo carattere dinamico e per la possibilità che dà di poter godere dell’intero museo da ogni sua parte, presenta tuttavia alcuni inconvenienti che causano una ininterrotta conflittualità tra l’architetto e il direttore del museo.

Guggenheim museum, 1946-1959, schizzo prospettico di Frank Lloyd Wrught

Guggenheim museum, 1946-1959, vista
Guggenheim museum, 1946-1959, vista

Guggenheim museum, 1946-1959, sezione

Guggenheim museum, 1946-1959, vista dell'atrio pirnciplae

Guggenheim museum, 1946-1959, la cupola sulla spirale

Guggenheim museum, 1946-1959, la spirale


Modificato gravemente ma non sostanzialmente dopo la morte dell’architetto (nell’illuminazione, che doveva essere in prevalenza naturale, sintonizzata a quella della città in ogni ora e stagione e nel modo di appendere i quadri su elementi metallici, invece che sulle pareti), quando viene inaugurato, il Guggenheim è comunque un oggetto talmente affascinante che ben presto diventa un’icona della città di New York anticipando quella linea di tendenza che sia affermerà nelle grandi città americane e non solo: dalla Sidney Opera House di Utzon sino al Geggemheim Museum di Bilbao di Gehry.

Alvar Aalto




A differenza di altri, Aalto non si preoccupa di giustificare il suo lavoro con discorsi teorici e non scrive volentieri. Solo il suo incomparabile talento, il più spiccato dopo i maestri del razionalismo europeo, lo impone come uno dei protagonisti del movimento moderno, e lo guida nella sua lunga carriera
Tra il 1933 e il 1935 completa due opere di cui aveva vinto i rispettivi concorsi nel 1928 e nel 1927: sono il Sanitario antitubercolare a Paimio e la biblioteca di Viipuri. Entrambe possono essere ricondotti allo stile del Movimento Moderno (gli elementi sono quelli canonici: muri intonacati, zoccolo scuro, e finestre orizzontali continue) vi è tuttavia in entrambe le realizzazioni una particolare sensibilità per la natura e per i materiali. Il sanatorio, per esempio, si apre nei due fronti principali al paesaggio circostante, si caratterizza per interni colorati e utilizza nelle camere numerosi accorgimenti per rendere meno oppressiva la degenza: soffitto colorato, riscaldamento ai piedi del letto, un sistema di ricambio d’aria che evita le correnti, lavabi disegnati in modo da ridurre il rumore dello scorrere dell’acqua, mobili in compensato ricurvo.


Sanatorio di Paimo, 1933-1935, planimetria generale
Sanatorio di Paimo, 1933-1935, plastico

Sanatorio di Paimio, 1933-1935

sanatorio di Paimo, 1933-1935, schema dei colori

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, interno

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, i corridoi

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, i coridoi

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, la mensa

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, plastico di una camera di degenza

Sanatorio di Paimio, 1933-1935, plastico di una camera di degenza
Sanatorio di Paimio, 1933-1935, studio del lavamani
Nella biblioteca Aalto sperimenta uno spazio dove i libri -disposti lungo il perimetro di una sala a doppia altezza illuminata da generosi lucernari- sono immediatamente disponibili agli utenti e, inventa, per la sala per le conferenze e i dibattiti, un soffitto ondulato in legno le cui curve sono studiate per migliorare la resa acustica e, insieme, per suggerire le forme di una natura che non accetta di farsi imbrigliare in composizioni lineari e ortogonali.

biblioteca di Viipuri, 1933-1935, ingresso

biblioteca di Viipuri, 1933-1935, sala lettura

biblioteca di Viipuri, 1933-1935, sala lettura

biblioteca di Viipuri, 1933-1935, sala conferenze

Ma è nell'edilizia residenziale che l'architettura di Aalto raggiunge forse i risultati più convincenti
Nel 1939 è completata villa Mairea a Noormarkku.

Ha una pianta ad L che, con l’aggiunta di una pensilina e della sauna tende a formare una U per delimitare su tre lati uno spazio interno nel quale è ubicata una piscina curviforme. All’esterno la villa è rivestita con diversi materiali –mattoni, intonaco, pietra, legno ardesia– ciascuno dei quali evidenzia i singoli aspetti volumetrici di una costruzione che si presenta in forma articolata per meglio inserirsi all’interno del contesto ambientale. Un approccio sottolineato dall’inserto di frammenti naturali, come per esempio gli esili tronchi di betulla a sostegno della tettoia che segna l’ingresso principale. All’interno predominano i materiali caldi naturali gestiti in modo tale da valorizzare le loro differenti colorazioni.

Villa Mairea, 1939, vista generale

Villa Mairea, 1939, pianta

Villa Mairea, 1939, vista generale

Villa Mairea, 1939, l'ingresso

Villa Mairea, 1939, interno

Villa Mairea, 1939, interno

Villa Mairea, 1939, interno
Gli immancabili tronchi di betulla sorreggono la scala in legno chiaro che collega il piano terreno con il piano superiore e, per evitare la fredda esposizione delle strutture, i pilastri, in ebano nero, sono parzialmente rivestiti di vimini; un modo di procedere diverso da quello adottato da Wright che, invece, si confronta in maniera diretta con la natura circostante.

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