Architettura di regime: l'E42 e Welthauptstadt Germania

L'E42

L’Italia fu relativamente estranea al rinnovamento dell’architettura che interessò l’Europa nei primi decenni del XX secolo, perché non vi erano i presupposti economici, sociali e tecnici per profondi rinnovamenti nel modo di costruire e di dare forma alla città. Tra le avanguardia artistiche del primo Novecento, solo il Futurismo ebbe protagonisti italiani e fu quindi soltanto ragioni culturali che alcuni giovani architetti si avvicinarono alle esperienze costruttive del resto d’Europa.


Frattanto, mentre in Germania si sta vivendo, anche se fra mille contraddizioni, l’importante esperienza della libera Repubblica di Weimar, l’Italia, all’indomani della Marcia su Roma (28 ottobre 1922), approda subito a un regime totalitario cosicché, se il Razionalismo tedesco (che fin dall’immediato dopoguerra costituiva il principale punto di riferimento per ogni altro Paese europeo) era espressione di una società ancora democratica e desiderosa di venire incontro ai bisogni delle masse popolari, il Razionalismo che incominciava a diffondersi in Italia, si sviluppava già all’interno della dittatura fascista che intendeva contrastare le tensioni al rinnovamento e tutelare gli interessi della nuova borghesia industriale. Ciò nonostante, proponendosi come una forza giovane e rivoluzionaria che asseriva di voler emancipare l’Italia in senso moderno -riallineandola anche economicamente alle altre grandi nazioni europee- il fascismo lasciò un certo spazio all’architettura moderna per rendersi più accettabile all’opinione pubblica internazionale e agli intellettuali italiani. Nel 1928 il gruppo MIAR (movimento Italiano per l’architettura razionale) organizzò a Roma una mostra della nuova cultura architettonica e, nel 1933, un gruppo guidato da Giovanni Michelucci vinse il concorso per la nuova stazione di Santa Maria Novella, prima affermazione dell’architettura moderna Italiana.

stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, vista aerea

stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, la facciata principale
Inizialmente, quindi, il Razionalismo sembrò trionfare; ovunque si innalzano edifici dai volumi netti, con coperture piane e finestre rigorosamente prive di timpani e cornici, sulla falsariga della miglior produzione del Bauhaus. Nel frattempo però, si andava affermando anche una nuova tendenza monumentalista, portata avanti dall’architetto Marcello Piacentini, che pretendeva di richiamarsi all’architettura imperiale romana e, per certi aspetti, evocatrice della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, che ben presto sarebbe stata scelta per rappresentare il regime fascista nei più solenni edifici pubblici.
Il panorama culturale dell’architettura italiana tra le due guerre era quindi estremamente complesso, effervescente e contraddittorio.
Per consolidare sia il consenso interno sia il proprio prestigio internazionale, il regime fascista promuove massicce iniziative di carattere architettonico e, soprattutto, urbanistico. Si va dal ridisegno di intere aree urbane, alla costruzione di nuovi edifici pubblici e di monumenti, alla creazione di quartieri residenziali e di zone industriali fino alla fondazione di nuove città come Littòria (oggi Latina), Sabaudia, Pomezia, Pontinia, Guidonia e Aprilia. Alcune di queste opere rappresentano interventi di grande rilievo, come il nuovo quartiere dell’EUR, a Roma; altre sono poco più che operazioni di propaganda; altre ancora sono veri e propri scempi, come nel caso della creazione di Via della Conciliazione per la quale, sempre a Roma, si abbatterono senza riguardo gli antichi borghi, il cui caratteristico e minuto tessuto costituiva una preziosa testimonianza storica e artistica.
Il piccone risanatore, che la propaganda di regime esaltava quale soluzione ottimale per i problemi urbanistici, ha, del resto, una funzione simile a quella dei boulevards parigini di Haussmann. Demolendo le piccole costruzioni del centro storico si costringevano gli abitanti più poveri a trasferirsi in massa nelle periferie, allontanandoli da un’area che, dopo i lavori, sarebbe diventata di residenza elegante e, dunque, appetibile per la speculazione edilizia.

L’E42
Dopo la guerra coloniale in Libia e la proclamazione dell’Impero nel 1936, il governo fascista decide di organizzare un’Esposizione Universale da tenersi a Roma nel 1942, a celebrazione dei venti anni dalla conquista del potere. Intitolata enfaticamente “Olimpiade delle Civiltà”, la manifestazione doveva consistere in una serie di mostre dedicate a vari temi come l’arte, la scienza, l’economia, le politiche sociali delle Nazioni. L’obiettivo era quello di richiamare sull’Italia fascista l’attenzione e l’ammirazione internazionali.
Per ospitare l’esposizione si pensa alla creazione di un nuovo quartiere, l’E42, che, collegato direttamente con via dell’Impero, contribuirà a proiettare Roma verso il mare: “tenderà a creare – si legge in un documento ufficiale – lo stile definitivo della nostra epoca…Ubbidirà a criteri di grandiosità e monumentalità”.

Il compito di disegnare il quartiere è affidato a due gruppi guidati dai più affermati esponenti dell’architettura italiana: Marcello Piacentini e Giuseppe Pagano affiancati da tre giovani emergenti Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti. Mentre l’accademico Piacentini è il caposcuola di un classicismo moderno, monumentale e celebrativo, di ispirazione déco, Pagano è l’appassionato rappresentante di un razionalismo rigoroso, europeo, ma praticato con sensibilità tutta mediterranea. Ben presto i nodi verranno al pettine e l’EUR si manifesterà quindi come la conclusione di un braccio di ferro tra le due anime della cultura architettonica italiana con un epilogo infelice nella vittoria della retorica di regime che sceglie il monumentalismo come suo stile di rappresentazione. La stessa scelta di utilizzare i materiali della tradizione italica (marmi, colonne, mattoni…) invece dei materiali della modernità come l’acciaio, il vetro e il cemento dimostrano la volontà di adeguare l’immagine della città alle retoriche di romanità del potere. I pochi esempi di buona architettura razionalista rappresentano soltanto eccezioni alla regola schegge sfuggite alla rigida griglia di controllo di Piacentini e dei suoi.

Nel 1937 il gruppo elabora un primo progetto il cui elemento maggiormente caratterizzante è costituito da un asse centrale Roma-mare, l’odierna via Cristoforo Colombo, che attraversa longitudinalmente l’intera area. Altri elementi significativi sono la Piazza dell’Impero, dalla forma articolata e asimmetrica, collocata nel baricentro del complesso, e un lago artificiale dai contorni frastagliati, che penetra nello spazio urbano.

E42, prima ipotesi planimetrica, 1937
Nell’organizzazione della pianta e negli schizzi è evidente lo sforzo di imprimere plasticità allo spazio urbano attraverso l’articolazione architettonica nonché l’equilibrio tra spazi costruiti e spazi aperti. L’asse centrale è il cardine compositivo di un concatenarsi di scenari che si susseguono con forte dinamismo. Senza i vincoli della simmetria, con la loro continuità essi trovano negli stessi valori spaziali e architettonici la propria monumentalità.

Le ambizioni imperiali di Mussolini richiedono però un’architettura celebrativa, magniloquente e retorica, fatta di archi e di colonne. Piacentini non esita a fornirgliela con forti pressioni sui progettisti incaricati dei singoli edifici e scelti sia per chiamata diretta che per concorso. Inoltre modifica profondamente il piano trasformando l’asse centrale di distribuzione, originariamente sopraelevato, in un vialone monumentale che però taglia il quartiere in due.

E42, pianta definitiva di progetto
Pagano decide di porre fine alla collaborazione -non così numerosi architetti interessati ai lavori che accetteranno il compromesso, e unico firmatario, insieme con l’Ufficio tecnico dell’Ente organizzatore, resta Marcello Piacentini.

Marcello Piacentini nella sala modelli delle opere dell'E42
Al di là di ogni possibile lettura l’EUR di Piacentini si confermerà come il vero campionario dello stile fascista e il massimo esperimento in campo urbano di perseguimento del consenso politico; le premesse razionaliste si dissolveranno nella rappresentazione del potere e della sua eloquenza formale-monumentale. Bloccato entro schemi rigidi e ripetitivi, il nuovo piano esecutivo segue tracciati regolari e simmetrici. L’asse centrale, allargato a dismisura, smarrisce la propria identità architettonica. Gli spazi verdi sono relegati nelle zone periferiche. Il lago perde il suo ruolo di elemento naturale, sostituito da una serie di grandi vasche rettangolari con funzione puramente scenografica. Con la cancellazione delle relazioni tra gli spazi la città razionalista scompare per lasciare posto a una città monumentale, scenografica, autoritaria, che riprende –in peggio– il modello della città ottocentesca.

E42, vista a volo d'uccello del progetto definitivo, il sistema di piazze

EUR, vista aerea del nucelo monumentale oggi

L’impianto urbano riprende lo schema urbanistico tipico delle città romane: un ampio viale centrale in direzione Nord Sud (cardo) –viale dell’Impero attuale via Cristoforo Colombo- tagliato trasversalmente da strade secondarie (decumani) che dividono l’area in isolati.
Le origini classiche si ispirano anche agli archetipi delle Agorà e dei Fori con le architetture dei propilei e delle esedre che dovevano inquadrare le viste e condurre agli edifici di maggiore rappresentatività (come nella sequenza delle piazze e in particolare nella grande piazza centrale con gli edifici dei musei oggi piazza Guglielmo Marconi).

E42, i riferimenti spaziali. ricostruzione del foro di Pompei

E42, i riferimenti spaziali. i mercati traianei

E42, i riferimenti spaziali. la città ideale -tavola di Urbino, anonimo


Una città perfetta, ordinata e razionale, disegnata con riga e compasso, ispirata al mito rinascimentale della città ideale ed evocativa di atmosfere metafisiche.

E42, i riferimenti spaziali. piazza d'Italia, Giorgio De Chirico, 1913
Il progetto definitivo fu presentato soltanto nel 1939, a guerra iniziata, e i lavori (drasticamente rallentati dalla situazione bellica) si interruppero solo tre anni dopo, proprio nell'anno 1942 nel quale, il complesso avrebbe dovuto essere inaugurato. L'esposizione non ebbe mai luogo e il progetto originario non fu mai portato a termine.

L'area dell'E 42 alla fine della guerra

Tra le opere previste e non realizzate era addirittura stato immaginato, in chiave fortemente simbolica, un arco di dimensioni monumentali che avrebbe costituito l’ingresso all’area espositiva -L'Arco dell'Acqua e della Luce- e il simbolo del quartiere divenne il Palazzo della Civiltà Italiana. 
La costruzione del quartiere fu ultimata solo alla fine degli anni cinquanta, in preparazione ai Giochi della XVII Olimpiade, che si sarebbero tenuti a Roma nel 1960: vi fu il completamento di alcune infrastrutture, come il Palazzo dello Sport progettato da Pier Luigi Nervi e Marcello Piacentini, il Velodromo Olimpico ((demolito nel 2008), il Palazzo di vetro dell'ENI, nonché con il conferimento dell'attuale impronta al Laghetto dell'EUR e alla zona verde limitrofa.

il manifesto ufficiale dei Giochi della XVII olimpiade

l'area dell'EUR nel 1960



Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, disegno diprogetto

il Palazzo della Civiltà Italiana visto dal Palazzo dei Congressi

Per realizzare le opere più importanti, che saranno sede delle esposizioni, vengono indetti vari concorsi nazionali.
Al centro di tutto l’impianto, l’edificio carico del massimo valore simbolico è il Palazzo della Civiltà Italiana. Vincitori del concorso sono gli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno La Padula e Mario Romano che disegnano, come dice la stessa commissione giudicatrice, «un enorme cubo di circa sessanta metri di lato, le cui pareti verticali sono divise in otto piani con tredici archi per ciascuno». Architettura di pura forma, senza alcuna decorazione che ne denunci l’appartenenza stilistica, il palazzo, decorato con 28 statue che rappresentano arti e mestieri della tradizione italiana,è una vera e propria scultura all’aperto.
La forma semplice e perentoria del cubo rivestito di travertino, sommata all’enfatica ripetizione degli archi a tutto sesto che si aprono sulle quattro facciate, rispondono all’esasperata ricerca di un’immagine fortemente simbolica ed evocativa: una specie di riproposizione in versione moderna del Colosseo.

Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, la dedica in facciata


Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche


Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche
La distribuzione interna prevede un singolare e innovativo percorso a ritroso, cioè dall’alto verso il basso. I visitatori, infatti, salgono all’ultimo piano per mezzo di ascensori, da dove poi intraprende il percorso espositivo scendendo a piedi ai vari piani inferiori, fino a ritornare a terra. Oggi il palazzo è la sede del Quartier Generale di Fendi.

PALAZZO DEI CONGRESSI (Libera, 1938-1954)

Palazzo dei Congressi, 1938-1954, alzato di progetto

il Palazzo dei Congressi visto dal palazzo della civiltà italiana
In collegamento visivo con il palazzo della Civiltà italiana il Palazzo dei Ricevimenti e delle Feste (oggi palazzo dei congressi), realizzato dall’architetto razionalista Adalberto Libera è una delle opere più significative dell’architettura italiana del Novecento.
Concepito sostanzialmente come un contenitore di spazio, è costituito da un blocco a pianta rettangolare nel quale trovano posto, su lati contrapposti, gli spazi destinati alle due diverse funzioni. Prospiciente la piazza monumentale, ora Piazza Kennedy, si trova la sala dei ricevimenti, il cui padiglione si innalza con un volume cubico e coperto da una crociera di archi ribassati che disegnano un’apertura a falce su ogni faccia. Sul lato opposto è collocata la sala dei congressi, la cui copertura ospita invece un teatro all’aperto.

Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata su piazza Kennedy

Palazzo dei Congressi, 1938-1954, il pronao di ingresso

Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata sul teatro all'aperto

Palazzo dei Congressi, 1938-1954,  l'ingresso

Palazzo dei Congressi, 1938-1954, interno
Nello sforzo di rispondere alle richieste di espressività monumentale -Le alte e robuste colonne che ritmano l’ingresso della sala ricevimenti, trattate come puri solidi geometrici, costituiscono una particolare fusione e sovrapposizione tra modernità e classicismo-. poste dalla committenza Libera cerca di dare un significato nuovo agli elementi della iconologia classica e tenta comunque di introdurre tecniche costruttive più moderne attraverso le quali l’invenzione tecnico-strutturale diventa motivo figurativo-ornamentale

PALAZZO DELLE POSTE E TELEGRAFI (BBPR 1939-42)

palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata principale in una foto d'epoca
Dalle contemporanee esperienze dei progettisti romani si distacca con forza il progetto del gruppo milanese BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers), testimoniando le possibilità di quella che sarebbe potuta essere un’altra idea di EUR. Il fronte principale si presenta come una superficie unitaria rivestita in travertino che si stacca dalle pareti laterali.

palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, l'ingresso

palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, dettaglio
palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata posteriore


La parete posteriore è invece caratterizzata dalla cadenza della maglia strutturale su tre livelli e un basamento. La caratterizzazione della partizione orizzontale permette di soddisfare l’esigenza di memoria classica che ritroviamo in forme più banali in tutti gli altri edifici

Dalla fine della guerra (1945) e fino al 1955 l’EUR si avvia al consolidamento e al pieno funzionamento del centro monumentale per poi iniziare la costruzione legate i particolar modo ai lavori per le Olimpiadi di Roma.

PALAZZO DELLO SPORT (NERVI, PIACENTINI 1958-1960)

Palazzo dello Sport. 1958-1960, in una foto d'epoca

Palazzo dello Sport. 1958-1960, sezione di progetto
Realizzato in occasione dell’Olimpiade di Roma, riprende la collocazione dell'Arco dell’Acque e della Luce previsto per l’esposizione del 1942, ma mai realizzato. Nella sua realizzazione definitiva il Palazzo dello Sport presenta due ordini di gradinate per un totale di circa 12 000 posti. Capace di ospitare fino a 16.000 persone l’edificio è costituito da una cupola sferica del diametro di circa 100 m e spessa solo 9 cm, che copre la sala centrale ed è percorsa da 144 nervature di irrigidimento; in pianta l’edifico si sviluppa per cerchi concentrici. La spinta della cupola e trasmessa a terra da pilastri inclinati a mascherare i quali -e celare l’andamento curvilineo delle gradinate, una facciata continua completamente vetrata conferisce al Palazzo la sua tipica forma cilindrica.

Palazzo dello Sport. 1958-1960, i pilastri inclinati nei percorsi perimetrali

Palazzo dello Sport. 1958-1960, dettaglio della struttura delle gradinate

Palazzo dello Sport. 1958-1960, dettaglio delle nervature della cupola

Palazzo dello Sport. 1958-1960, interno

PALAZZO ENI (Bacigalupo, Ratti 1958-1961)

Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 visto dal laghetto dell'EUR
Il palazzo ENI è uno degli edifici simbolo della nuova espansione dell’EUR negli anni Sessanta. Nonostante la fredda esibizione tecnologica che rimanda alle architetture dell’ultima fase creativa di Mies van der Rohe il valore di questo edifici, una semplice ed elegante scatola di 21 piani, è nella proposizione di una estetica International Style che rappresenta una ventata di novità, da città “americana”, con un forte effetto urbano; un segno deciso e dirompente rispetto alla monotonia e al candore dell’EUR metafisico. In particolare è da sottolineare anche la misura con cui questo oggetto architettonico si inserisce nel contesto in rapporto alla depressione orografica e alla posizione ai margini del laghetto.

Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 dettaglio della facciata
Le due facciate principali sono in curtain-wall verde-azzurro con finestre non apribili perché tutto l’edificio è areato artificialmente; la facciata esibisce anche la struttura portante un lineare scheletro in acciaio formato da dodici telai e da travi trasversali.

Il rilancio del quartiere, portò l'EUR a svilupparsi, dopo le Olimpiadi, ben oltre i confini dell'originale pentagono, ma ciò non ha impedito all'antico centro di mantenere il fascino di scenografia perfetta per il cinema. Nell'immaginario di molti registi italiani, infatti, l'EUR diventò uno spazio urbano dalle straordinarie potenzialità, primo fra tutti Federico Fellini.


WELTHAUPTSTADT GERMANIA

Dopo una seconda guerra mondiale che Hitler era abbastanza fiducioso di vincere rapidamente, il Fuher prevede di ridisegnare Berlino come la nuova Capitale Mondiale (in tedesco Welthauptstadt) della Germania; una metropoli con strutture gigantesche che avrebbero rappresentato lo spirito del Terzo Reich e intimorito i nemici, così come i suoi stessi abitanti. A sovrintendere al progetto Hitler nominò l’architetto Albert Speer, suo consigliere di fiducia e primo architetto del Terzo Reich.

Albert Speer presenta ad Hitler il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937

il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937
Il nome Welthauptstadt Germania venne scelto poiché l'architettura di Berlino all'epoca era considerata troppo legata agli stili e alle convenzioni prevalenti di fine Ottocento (quando si era formato l'impero tedesco) e si sentiva quindi la necessità di porre la nuova capitale tedesca al di sopra delle altre capitali mondiali, come Roma, Londra, Parigi, Mosca e Washington. In realtà, poiché non esistono altri riferimenti al termine di Welthauptstadt Germania tranne che nell'autobiografia di Albert Speer (pubblicata dopo la sua detenzione), l'uso di questo nome da parte di Hitler è oggetto di controversie tra gli storici.

La prima fase del progetto fu la costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936 che avrebbe celebrato l'ascesa del governo nazista. Uno stadio ancora più grande, per una capienza di 400.00 spettatori, venne progettato dal governo nazista per la città di Norimberga, ma si fece in tempo a realizzare le sole fondazioni prima che i lavori venissero interrotti a seguito dello scoppio della Seconda Guerra mondiale.

vista aerea dell'olympiastadion nel 1936

Nel 1937, sotto la direzione di Speer, nasce il Generalbauinspektion (GBI) il Piano Generale di Sviluppo della nuova Berlino.
Due assi principali, Est-Ovest e Nord-Sud, come cardo e decumano dovevano tagliare a croce la nuova capitale del mondo, secondo la visione del dittatore che prevedeva la demolizione di interi quartieri per far spazio alle nuove strutture. Grande attenzione viene rivolta in particolare all’ asse Nord-Sud (7 km di lunghezza e 120 e larghezza) noto come il Prachtallee (Viale dello Splendore) che, chiuso al traffico sarebbe servito come piazza d’armi mentre i veicoli sarebbero stati deviati in una strada sotterranea.




vista della Prachtallee da Nord

la Prachtallee, planimetria e plastico

All’estremo nord del Prachtalle sarebbe stata realizzata la Großer Platz, un’area di oltre 350.000 mq circondata dai più grandi edifici del Reich. Sul lato Ovest il palazzo del Führer, il vecchio palazzo del Reichstag a Est e la nuova Cancelleria, progettata dallo stesso Speer, a Sud con l’Alto Comando dell’esercito tedesco. 

vista aerea della Grosser Platz

la Grosser Platz, plastico

la Grosser Platz, pianta dei piani terra

la Grosser Platz, ricostruzione tridimensionale

A Nord, a ridosso del fiume Spree, Speer progettò il punto focale della nuova Berlino: la Volkshalle (la Sala del Popolo), un enorme edificio immaginato da Hitler ad imitazione del Pantheon, alto oltre 200 metri e con un diametro di 250 metri, sedici volte più grande della cupola della Basilica di San Pietro. In cima alla lanterna della cupola l’aquila araldica tedesca avrebbe stretto tra gli artigli non la solita croce uncinata, ma l’intero pianeta.

plastico della Prachtallee, sullo sfondo la Volkshalle

la Volkshalle, ricostruzione cinematografica

la Volkshalle, sezione

la Volkshalle, comparazione con altri edifici monumentali

All’estremità meridionale del viale doveva sorgere un’altra mega struttura, un Arco Trionfale -immaginato dallo stesso Hitler già negli anni ’20, come memoriale dei soldati tedeschi caduti durante la prima guerra mondiale- ispirato all’Arco di Trionfo di Parigi, ma ancora una volta, molto più grande: alto 117 metri totali con un arco a 80 metri contro i miseri 50 metri d’altezza dell’arco parigino. Lo scoppio della Seconda Guerra mondiale fece posporre anche questo progetto per preservare materiali strategici.

l'Arco Trionfale, schizzo di Hitler degli anni '20

plastico della Prachtallee, in pirmo piano l'Arco Trionfale

plastico della Prachtallee, l'Arco Trionfale e il viale d'accesso decorato con cimeli di guerra

La Volkshalle inquadrata dall'Arco Trionfale
Pochi mesi dopo la seconda guerra mondiale tutti i piani per la nuova Berlino furono accantonati e l’unico edificio di Welthauptstadt Germania che sia mai stato costruito rimase il Schwerbelastungskörper, ancora oggi in piedi come un promemoria di quello che sarebbe potuto essere


il Schwerbelastungskorper, nel centro di Berlino

Il terreno di Berlino è paludoso e, si temeva, non abbastanza forte per sostenere il peso delle strutture giganti che Hitler voleva costruire stabilmente. Per determinare quanto peso potesse sorreggere fu quindi costruito un edificio sperimentale (il Schwerbelastungskörper , letteralmente corpo portante pesante) nel luogo dove sarebbe stato costruito l’Arco di Trionfo. Il Schwerbelastungskörper aveva una fondazione del diametro di 11 metri sul quale fu eretta una struttura cilindrica di 21 metri di diametro e 14 metri di altezza per un peso complessivo di 12.650 tonnellate. Se la struttura fosse affondato meno di 6 cm il terreno si sarebbe ritenuto adatto e non avrebbe necessitato di ulteriori opere di sistemazione.

Il corpo di cemento è affondato di oltre 19 cm.








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