L'E42
L’Italia fu relativamente estranea al
rinnovamento dell’architettura che interessò l’Europa nei primi decenni del XX
secolo, perché non vi erano i presupposti economici, sociali e tecnici per
profondi rinnovamenti nel modo di costruire e di dare forma alla città. Tra le
avanguardia artistiche del primo Novecento, solo il Futurismo ebbe protagonisti
italiani e fu quindi soltanto ragioni culturali che alcuni giovani architetti si
avvicinarono alle esperienze costruttive del resto d’Europa.
Frattanto, mentre in Germania si sta
vivendo, anche se fra mille contraddizioni, l’importante esperienza della
libera Repubblica di Weimar, l’Italia, all’indomani della Marcia su Roma (28
ottobre 1922), approda subito a un regime totalitario cosicché, se il
Razionalismo tedesco (che fin dall’immediato dopoguerra costituiva il
principale punto di riferimento per ogni altro Paese europeo) era espressione
di una società ancora democratica e desiderosa di venire incontro ai bisogni
delle masse popolari, il Razionalismo che incominciava a diffondersi in Italia, si sviluppava già all’interno della dittatura fascista che intendeva contrastare
le tensioni al rinnovamento e tutelare gli interessi della nuova borghesia
industriale. Ciò nonostante, proponendosi come una forza giovane e
rivoluzionaria che asseriva di voler emancipare l’Italia in senso moderno
-riallineandola anche economicamente alle altre grandi nazioni europee- il
fascismo lasciò un certo spazio all’architettura moderna per rendersi più accettabile
all’opinione pubblica internazionale e agli intellettuali italiani. Nel 1928 il
gruppo MIAR (movimento Italiano per l’architettura razionale) organizzò a Roma
una mostra della nuova cultura architettonica e, nel 1933, un gruppo guidato da
Giovanni Michelucci vinse il concorso per la nuova stazione di Santa Maria
Novella, prima affermazione dell’architettura moderna Italiana.
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stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, vista aerea |
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stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, la facciata principale |
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Inizialmente, quindi, il Razionalismo
sembrò trionfare; ovunque si innalzano edifici dai volumi netti, con coperture
piane e finestre rigorosamente prive di timpani e cornici, sulla falsariga
della miglior produzione del Bauhaus. Nel frattempo però, si andava affermando anche
una nuova tendenza monumentalista, portata avanti dall’architetto Marcello
Piacentini, che pretendeva di richiamarsi all’architettura imperiale romana e, per
certi aspetti, evocatrice della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, che
ben presto sarebbe stata scelta per rappresentare il regime fascista nei più
solenni edifici pubblici.
Il panorama culturale dell’architettura italiana
tra le due guerre era quindi estremamente complesso, effervescente e
contraddittorio.
Per consolidare sia il consenso interno
sia il proprio prestigio internazionale, il regime fascista promuove massicce
iniziative di carattere architettonico e, soprattutto, urbanistico. Si va dal ridisegno
di intere aree urbane, alla costruzione di nuovi edifici pubblici e di
monumenti, alla creazione di quartieri residenziali e di zone industriali fino
alla fondazione di nuove città come Littòria (oggi Latina), Sabaudia, Pomezia,
Pontinia, Guidonia e Aprilia. Alcune di queste opere rappresentano interventi
di grande rilievo, come il nuovo quartiere dell’EUR, a Roma; altre sono poco
più che operazioni di propaganda; altre ancora sono veri e propri scempi, come
nel caso della creazione di Via della Conciliazione per la quale, sempre a
Roma, si abbatterono senza riguardo gli antichi borghi, il cui caratteristico e
minuto tessuto costituiva una preziosa testimonianza storica e artistica.
Il piccone risanatore, che la propaganda
di regime esaltava quale soluzione ottimale per i problemi urbanistici, ha, del
resto, una funzione simile a quella dei boulevards parigini di Haussmann.
Demolendo le piccole costruzioni del centro storico si costringevano gli abitanti
più poveri a trasferirsi in massa nelle periferie, allontanandoli da un’area
che, dopo i lavori, sarebbe diventata di residenza elegante e, dunque,
appetibile per la speculazione edilizia.
L’E42
Dopo la guerra coloniale in Libia e la
proclamazione dell’Impero nel 1936, il governo fascista decide di organizzare
un’Esposizione Universale da tenersi a Roma nel 1942, a celebrazione dei venti
anni dalla conquista del potere. Intitolata enfaticamente “Olimpiade delle
Civiltà”, la manifestazione doveva consistere in una serie di mostre dedicate a
vari temi come l’arte, la scienza, l’economia, le politiche sociali delle
Nazioni. L’obiettivo era quello di richiamare sull’Italia fascista l’attenzione
e l’ammirazione internazionali.
Per ospitare l’esposizione si pensa alla
creazione di un nuovo quartiere, l’E42, che, collegato direttamente con via
dell’Impero, contribuirà a proiettare Roma verso il mare: “tenderà a creare –
si legge in un documento ufficiale – lo stile definitivo della nostra epoca…Ubbidirà
a criteri di grandiosità e monumentalità”.
Il compito di disegnare il quartiere è affidato
a due gruppi guidati dai più affermati esponenti dell’architettura italiana:
Marcello Piacentini e Giuseppe Pagano affiancati da tre giovani emergenti Luigi
Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti. Mentre l’accademico Piacentini è il
caposcuola di un classicismo moderno, monumentale e celebrativo, di ispirazione
déco, Pagano è l’appassionato rappresentante di un razionalismo rigoroso,
europeo, ma praticato con sensibilità tutta mediterranea. Ben presto i nodi verranno al pettine e l’EUR
si manifesterà quindi come la conclusione di un braccio di ferro tra le due
anime della cultura architettonica italiana con un epilogo infelice nella
vittoria della retorica di regime che sceglie il monumentalismo come suo stile
di rappresentazione. La stessa scelta di utilizzare i materiali della
tradizione italica (marmi, colonne, mattoni…) invece dei materiali della
modernità come l’acciaio, il vetro e il cemento dimostrano la volontà di
adeguare l’immagine della città alle retoriche di romanità del potere. I pochi
esempi di buona architettura razionalista rappresentano soltanto eccezioni alla
regola schegge sfuggite alla rigida griglia di controllo di Piacentini e dei
suoi.
Nel 1937 il gruppo elabora un primo
progetto il cui elemento maggiormente caratterizzante è costituito da un asse
centrale Roma-mare, l’odierna via Cristoforo Colombo, che attraversa
longitudinalmente l’intera area. Altri elementi significativi sono la Piazza
dell’Impero, dalla forma articolata e asimmetrica, collocata nel baricentro
del complesso, e un lago artificiale dai contorni frastagliati, che penetra
nello spazio urbano.
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E42, prima ipotesi planimetrica, 1937 |
Nell’organizzazione della pianta e negli schizzi è
evidente lo sforzo di imprimere plasticità allo spazio urbano attraverso
l’articolazione architettonica nonché l’equilibrio tra spazi costruiti e spazi
aperti. L’asse centrale è il cardine compositivo di un concatenarsi di scenari
che si susseguono con forte dinamismo. Senza i vincoli della simmetria, con la
loro continuità essi trovano negli stessi valori spaziali e architettonici la
propria monumentalità.
Le ambizioni imperiali di Mussolini
richiedono però un’architettura celebrativa, magniloquente e retorica, fatta di
archi e di colonne. Piacentini non esita a fornirgliela con forti pressioni sui
progettisti incaricati dei singoli edifici e scelti sia per chiamata diretta
che per concorso. Inoltre modifica profondamente il piano
trasformando l’asse centrale di distribuzione, originariamente sopraelevato, in
un vialone monumentale che però taglia il quartiere in due.
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E42, pianta definitiva di progetto |
Pagano decide di
porre fine alla collaborazione -non così numerosi architetti interessati ai
lavori che accetteranno il compromesso, e unico firmatario, insieme con
l’Ufficio tecnico dell’Ente organizzatore, resta Marcello Piacentini.
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Marcello Piacentini nella sala modelli delle opere dell'E42 |
Al di là di ogni possibile lettura l’EUR
di Piacentini si confermerà come il vero campionario dello stile fascista e il
massimo esperimento in campo urbano di perseguimento del consenso politico; le
premesse razionaliste si dissolveranno nella rappresentazione del potere e
della sua eloquenza formale-monumentale. Bloccato entro schemi rigidi e
ripetitivi, il nuovo piano esecutivo segue tracciati regolari e simmetrici.
L’asse centrale, allargato a dismisura, smarrisce la propria identità
architettonica. Gli spazi verdi sono relegati nelle zone periferiche. Il lago
perde il suo ruolo di elemento naturale, sostituito da una serie di grandi
vasche rettangolari con funzione puramente scenografica. Con la cancellazione
delle relazioni tra gli spazi la città razionalista scompare per lasciare posto
a una città monumentale, scenografica, autoritaria, che riprende –in peggio– il
modello della città ottocentesca.
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E42, vista a volo d'uccello del progetto definitivo, il sistema di piazze |
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EUR, vista aerea del nucelo monumentale oggi |
L’impianto urbano riprende lo schema
urbanistico tipico delle città romane: un ampio viale centrale in direzione
Nord Sud (cardo) –viale dell’Impero attuale via Cristoforo Colombo- tagliato
trasversalmente da strade secondarie (decumani) che dividono l’area in isolati.
Le origini classiche si ispirano anche agli archetipi delle Agorà e dei Fori con le architetture dei propilei e delle esedre che dovevano inquadrare le viste e condurre agli edifici di maggiore rappresentatività (come nella sequenza delle piazze e in particolare nella grande piazza centrale con gli edifici dei musei oggi piazza Guglielmo Marconi).
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E42, i riferimenti spaziali. ricostruzione del foro di Pompei |
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E42, i riferimenti spaziali. i mercati traianei |
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E42, i riferimenti spaziali. la città ideale -tavola di Urbino, anonimo |
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Una città perfetta, ordinata e razionale, disegnata con riga e compasso, ispirata al mito rinascimentale della città ideale ed evocativa di atmosfere metafisiche.
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E42, i riferimenti spaziali. piazza d'Italia, Giorgio De Chirico, 1913 |
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Il progetto definitivo fu presentato soltanto nel 1939, a guerra iniziata, e i lavori (drasticamente rallentati dalla
situazione bellica) si interruppero solo tre anni dopo, proprio nell'anno 1942
nel quale, il complesso avrebbe dovuto essere inaugurato. L'esposizione non
ebbe mai luogo e il progetto originario non fu mai portato a termine.
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L'area dell'E 42 alla fine della guerra |
Tra le opere
previste e non realizzate era addirittura stato immaginato, in chiave
fortemente simbolica, un arco di dimensioni monumentali che avrebbe costituito
l’ingresso all’area espositiva -L'Arco dell'Acqua e della Luce- e il simbolo
del quartiere divenne il Palazzo della Civiltà Italiana.
La costruzione del quartiere fu ultimata
solo alla fine degli anni cinquanta, in preparazione ai Giochi della XVII
Olimpiade, che si sarebbero tenuti a Roma nel 1960: vi fu il completamento di
alcune infrastrutture, come il Palazzo dello Sport progettato da Pier Luigi
Nervi e Marcello Piacentini, il Velodromo Olimpico ((demolito nel 2008), il Palazzo
di vetro dell'ENI, nonché con il conferimento dell'attuale impronta al Laghetto
dell'EUR e alla zona verde limitrofa.
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il manifesto ufficiale dei Giochi della XVII olimpiade |
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l'area dell'EUR nel 1960 |
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Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, disegno diprogetto |
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il Palazzo della Civiltà Italiana visto dal Palazzo dei Congressi |
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Per realizzare le opere più importanti,
che saranno sede delle esposizioni, vengono indetti vari concorsi nazionali.
Al centro di tutto l’impianto,
l’edificio carico del massimo valore simbolico è il Palazzo della Civiltà
Italiana. Vincitori del concorso sono gli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto
Bruno La Padula e Mario Romano che disegnano, come dice la stessa commissione giudicatrice,
«un enorme cubo di circa sessanta metri di lato, le cui pareti verticali sono
divise in otto piani con tredici archi per ciascuno». Architettura di pura
forma, senza alcuna decorazione che ne denunci l’appartenenza stilistica, il
palazzo, decorato con 28 statue che rappresentano arti e mestieri della
tradizione italiana,è una vera e propria scultura all’aperto.
La forma semplice e perentoria del cubo rivestito
di travertino, sommata all’enfatica ripetizione degli archi a tutto sesto che
si aprono sulle quattro facciate, rispondono all’esasperata ricerca di
un’immagine fortemente simbolica ed evocativa: una specie di riproposizione in
versione moderna del Colosseo.
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Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, la dedica in facciata |
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Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche |
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Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche |
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La distribuzione interna prevede un
singolare e innovativo percorso a ritroso, cioè dall’alto verso il basso. I
visitatori, infatti, salgono all’ultimo piano per mezzo di ascensori, da dove
poi intraprende il percorso espositivo scendendo a piedi ai vari piani
inferiori, fino a ritornare a terra. Oggi il palazzo è la sede del Quartier Generale di Fendi.
PALAZZO DEI CONGRESSI (Libera,
1938-1954)
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, alzato di progetto |
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il Palazzo dei Congressi visto dal palazzo della civiltà italiana |
In collegamento visivo con il palazzo
della Civiltà italiana il Palazzo dei Ricevimenti e delle Feste (oggi palazzo
dei congressi), realizzato dall’architetto razionalista Adalberto Libera è una
delle opere più significative dell’architettura italiana del Novecento.
Concepito sostanzialmente come un
contenitore di spazio, è costituito da un blocco a pianta rettangolare nel
quale trovano posto, su lati contrapposti, gli spazi destinati alle due diverse
funzioni. Prospiciente la piazza monumentale, ora Piazza Kennedy, si trova la
sala dei ricevimenti, il cui padiglione si innalza con un volume cubico e
coperto da una crociera di archi ribassati che disegnano un’apertura a falce su
ogni faccia. Sul lato opposto è collocata la sala dei congressi, la cui
copertura ospita invece un teatro all’aperto.
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata su piazza Kennedy |
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, il pronao di ingresso |
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata sul teatro all'aperto |
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, l'ingresso |
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Palazzo dei Congressi, 1938-1954, interno |
Nello sforzo di rispondere alle
richieste di espressività monumentale -Le alte e robuste colonne che ritmano
l’ingresso della sala ricevimenti, trattate come puri solidi geometrici,
costituiscono una particolare fusione e sovrapposizione tra modernità e
classicismo-. poste dalla committenza Libera cerca di dare un significato nuovo
agli elementi della iconologia classica e tenta comunque di introdurre tecniche
costruttive più moderne attraverso le quali l’invenzione tecnico-strutturale
diventa motivo figurativo-ornamentale
PALAZZO DELLE POSTE E TELEGRAFI (BBPR
1939-42)
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palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata principale in una foto d'epoca |
Dalle contemporanee esperienze dei progettisti
romani si distacca con forza il progetto del gruppo milanese BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers), testimoniando
le possibilità di quella che sarebbe potuta essere un’altra idea di EUR. Il
fronte principale si presenta come una superficie unitaria rivestita in
travertino che si stacca dalle pareti laterali.
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palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, l'ingresso |
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palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, dettaglio |
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palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata posteriore |
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La parete posteriore è invece
caratterizzata dalla cadenza della maglia strutturale su tre livelli e un
basamento. La caratterizzazione della partizione orizzontale permette di
soddisfare l’esigenza di memoria classica che ritroviamo in forme più banali in
tutti gli altri edifici
Dalla fine della guerra (1945) e fino al 1955 l’EUR si avvia
al consolidamento e al pieno funzionamento del centro monumentale per poi
iniziare la costruzione legate i particolar modo ai lavori per le Olimpiadi di
Roma.
PALAZZO DELLO SPORT (NERVI, PIACENTINI
1958-1960)
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, in una foto d'epoca |
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, sezione di progetto |
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Realizzato in occasione dell’Olimpiade
di Roma, riprende la collocazione dell'Arco dell’Acque e della Luce previsto
per l’esposizione del 1942, ma mai realizzato. Nella sua realizzazione
definitiva il Palazzo dello Sport presenta due ordini di gradinate per un
totale di circa 12 000 posti. Capace di ospitare fino a 16.000 persone l’edificio
è costituito da una cupola sferica del diametro di circa 100 m e spessa solo 9
cm, che copre la sala centrale ed è percorsa da 144 nervature di irrigidimento;
in pianta l’edifico si sviluppa per cerchi concentrici. La spinta della cupola
e trasmessa a terra da pilastri inclinati a mascherare i quali -e celare
l’andamento curvilineo delle gradinate, una facciata continua completamente
vetrata conferisce al Palazzo la sua tipica forma cilindrica.
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, i pilastri inclinati nei percorsi perimetrali |
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, dettaglio della struttura delle gradinate |
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, dettaglio delle nervature della cupola |
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Palazzo dello Sport. 1958-1960, interno |
PALAZZO ENI (Bacigalupo, Ratti
1958-1961)
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Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 visto dal laghetto dell'EUR |
Il palazzo ENI è uno degli edifici
simbolo della nuova espansione dell’EUR negli anni Sessanta. Nonostante la
fredda esibizione tecnologica che rimanda alle architetture dell’ultima fase
creativa di Mies van der Rohe il valore di questo edifici, una semplice ed
elegante scatola di 21 piani, è nella proposizione di una estetica
International Style che rappresenta una ventata di novità, da città
“americana”, con un forte effetto urbano; un segno deciso e dirompente rispetto
alla monotonia e al candore dell’EUR metafisico. In particolare è da
sottolineare anche la misura con cui questo oggetto architettonico si inserisce
nel contesto in rapporto alla depressione orografica e alla posizione ai
margini del laghetto.
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Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 dettaglio della facciata |
Le due facciate principali sono in
curtain-wall verde-azzurro con finestre non apribili perché tutto l’edificio è
areato artificialmente; la facciata esibisce anche la struttura portante un
lineare scheletro in acciaio formato da dodici telai e da travi trasversali.
Il rilancio del quartiere, portò l'EUR a
svilupparsi, dopo le Olimpiadi, ben oltre i confini dell'originale pentagono,
ma ciò non ha impedito all'antico centro di mantenere il fascino di scenografia
perfetta per il cinema. Nell'immaginario di molti registi italiani, infatti,
l'EUR diventò uno spazio urbano dalle straordinarie potenzialità, primo fra
tutti Federico Fellini.
WELTHAUPTSTADT GERMANIA
Dopo una seconda guerra mondiale che
Hitler era abbastanza fiducioso di vincere rapidamente, il Fuher prevede di
ridisegnare Berlino come la nuova Capitale Mondiale (in tedesco Welthauptstadt)
della Germania; una metropoli con strutture gigantesche che avrebbero rappresentato
lo spirito del Terzo Reich e intimorito i nemici, così come i suoi stessi
abitanti. A sovrintendere al progetto Hitler nominò l’architetto Albert Speer,
suo consigliere di fiducia e primo architetto del Terzo Reich.
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Albert Speer presenta ad Hitler il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937 |
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il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937 |
Il nome Welthauptstadt Germania venne
scelto poiché l'architettura di Berlino all'epoca era considerata troppo legata
agli stili e alle convenzioni prevalenti di fine Ottocento (quando si era
formato l'impero tedesco) e si sentiva quindi la necessità di porre la nuova capitale
tedesca al di sopra delle altre capitali mondiali, come Roma, Londra, Parigi,
Mosca e Washington. In realtà, poiché non esistono altri riferimenti al termine
di Welthauptstadt Germania tranne che nell'autobiografia di Albert Speer
(pubblicata dopo la sua detenzione), l'uso di questo nome da parte di Hitler è
oggetto di controversie tra gli storici.
La prima fase del progetto fu la
costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936 che avrebbe
celebrato l'ascesa del governo nazista. Uno stadio ancora più grande, per una capienza
di 400.00 spettatori, venne progettato dal governo nazista per la città di
Norimberga, ma si fece in tempo a realizzare le sole fondazioni prima che i lavori
venissero interrotti a seguito dello scoppio della Seconda Guerra mondiale.
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vista aerea dell'olympiastadion nel 1936 |
Nel 1937, sotto la direzione di Speer,
nasce il Generalbauinspektion (GBI) il Piano Generale di Sviluppo della nuova
Berlino.
Due assi principali, Est-Ovest e
Nord-Sud, come cardo e decumano dovevano tagliare a croce la nuova capitale del
mondo, secondo la visione del dittatore che prevedeva la demolizione di interi
quartieri per far spazio alle nuove strutture. Grande attenzione viene rivolta
in particolare all’ asse Nord-Sud (7 km di lunghezza e 120 e larghezza) noto come il Prachtallee (Viale dello
Splendore) che, chiuso al traffico sarebbe servito come piazza d’armi mentre i
veicoli sarebbero stati deviati in una strada sotterranea.
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vista della Prachtallee da Nord
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la Prachtallee, planimetria e plastico |
All’estremo nord del Prachtalle sarebbe
stata realizzata la Großer Platz, un’area di oltre 350.000 mq circondata dai
più grandi edifici del Reich. Sul lato Ovest il palazzo del Führer, il vecchio palazzo
del Reichstag a Est e la nuova Cancelleria, progettata dallo stesso Speer, a
Sud con l’Alto Comando dell’esercito tedesco.
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vista aerea della Grosser Platz |
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la Grosser Platz, plastico |
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la Grosser Platz, pianta dei piani terra |
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la Grosser Platz, ricostruzione tridimensionale |
A Nord, a ridosso del fiume
Spree, Speer progettò il punto focale della nuova Berlino: la Volkshalle (la
Sala del Popolo), un enorme edificio immaginato da Hitler ad imitazione del
Pantheon, alto oltre 200 metri e con un diametro di 250 metri, sedici volte più
grande della cupola della Basilica di San Pietro. In cima alla lanterna della
cupola l’aquila araldica tedesca avrebbe stretto tra gli artigli non la solita
croce uncinata, ma l’intero pianeta.
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plastico della Prachtallee, sullo sfondo la Volkshalle |
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la Volkshalle, ricostruzione cinematografica |
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la Volkshalle, comparazione con altri edifici monumentali |
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All’estremità meridionale del viale
doveva sorgere un’altra mega struttura, un Arco Trionfale -immaginato dallo
stesso Hitler già negli anni ’20, come memoriale dei soldati tedeschi caduti
durante la prima guerra mondiale- ispirato all’Arco di Trionfo di Parigi, ma
ancora una volta, molto più grande: alto 117 metri totali con un arco a 80
metri contro i miseri 50 metri d’altezza dell’arco parigino. Lo scoppio della
Seconda Guerra mondiale fece posporre anche questo progetto per preservare materiali strategici.
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l'Arco Trionfale, schizzo di Hitler degli anni '20 |
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plastico della Prachtallee, in pirmo piano l'Arco Trionfale |
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plastico della Prachtallee, l'Arco Trionfale e il viale d'accesso decorato con cimeli di guerra |
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La Volkshalle inquadrata dall'Arco Trionfale |
Pochi mesi dopo la seconda guerra mondiale
tutti i piani per la nuova Berlino furono accantonati e l’unico edificio di
Welthauptstadt Germania che sia mai stato costruito rimase il Schwerbelastungskörper,
ancora oggi in piedi come un promemoria di quello che sarebbe potuto essere
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il Schwerbelastungskorper, nel centro di Berlino |
Il terreno di Berlino è paludoso e, si
temeva, non abbastanza forte per sostenere il peso delle strutture giganti che
Hitler voleva costruire stabilmente. Per determinare quanto peso potesse sorreggere
fu quindi costruito un edificio sperimentale (il Schwerbelastungskörper ,
letteralmente corpo portante pesante) nel luogo dove sarebbe stato costruito
l’Arco di Trionfo. Il Schwerbelastungskörper aveva una fondazione del diametro
di 11 metri sul quale fu eretta una struttura cilindrica di 21 metri di
diametro e 14 metri di altezza per un peso complessivo di 12.650 tonnellate. Se
la struttura fosse affondato meno di 6 cm il terreno si sarebbe ritenuto adatto
e non avrebbe necessitato di ulteriori opere di sistemazione.
Il corpo di cemento è affondato di oltre
19 cm.
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