LE CORBUSIER
Charles-Edouard Jeanneret che più tardi
avrebbe assunto il nome d'arte di Le Corbusier, nasce nel 1887 in Svizzera,
dove inizia a studiare decorazione nella locale scuola d'arte fino a quando un
suo maestro lo convince a orientarsi verso l'architettura; una scelta che lo
porterà a divenire anche urbanista, pittore, scultore e scrittore. Quando
compie diciotto anni progetta la sua prima abitazione e dal 1906 al 1914 viaggia
in numerosi paesi d'Europa, soggiornando soprattutto a Vienna, dove entrerà in
contatto con gli ambienti della Secessione viennese e a Berlino dove, nello
studio di Peter Beherens, conoscerà Gropius e Mies Van der Rohe. Visiterà
inoltre le principali città italiane dove ricava un abbondante quaderno di
schizzi delle architetture dell’antichità.
Nel 1917 si trasferisce definitivamente
a Parigi dove inizia a lavorare nello studio di Auguste Perret, pioniere del
cemento armato, il quale gli presenterà il pittore Amédée Ozenfant, che lo avvicinerà
agli ambienti del cubismo e del purismo. Nel 1920, pur non avendo mai
completato studi regolari sulla materia; inizia a lavorare regolarmente come
architetto e, con il cugino Pierre Jeanneret, apre un atélier di architettura a
Parigi. Osteggiato fin da subito dagli accademici per il suo presunto stile
rivoluzionario, verrà successivamente riconosciuto a livello mondiale,
lasciando una traccia indelebile e profonda nelle concezioni architettoniche ed
urbanistiche del Movimento Moderno e più in generale dell’architettura del XX
secolo.
La sua architettura avrà un duplice tema
di fondo: da un lato, organizzare lo spazio urbano in modo che la città possa
accogliere agevolmente le grandi masse di lavoratori di ogni livello sociale e
per qualsiasi attività contemporanea; dall'altro lato costruire edifici capaci
di rispondere alle esigenze di vita collettiva e individuale di quelle stesse
masse. Il suo sistema progettuale sarà dunque improntato all'uso di sistemi
razionali, con moduli e forme estremamente semplici, secondo i principi del
Funzionalismo.
Nel 1921 pubblica Verso una
Architettura, il testo critico più importante della prima metà del secolo
scorso; nel libro tratta i primi tre dei suoi cinque punti fondamentali: i
pilotis, i tetti-giardino e la finestra a nastro. A questi tre elementi si
aggiungono, qualche anno dopo, la facciata libera e la pianta libera; i famosi
cinque punti di una nuova architettura applicati con intenti
teorematici.
La Ville Savoye, iniziata a partire dal
1929 e conclusa nel 1931, sarà la concreta dimostrazione dell’applicazione
integrale dei cinque punti.
In uno schizzo schematico tracciato da
Le Corbusier è sintetizzato il metodo compositivo: un volume puro scavato sino
al punto in cui l’articolazione delle parti non compromette l’unità dell’insieme.
Della costruzione, che da un punto di vista tipologico è una casa a patio su
pilotis, colpisce il rapporto con la natura. Avviene attraverso le bucature
delle murature della terrazza-patio che incorniciano il verde trasformandolo in
semplice panorama. Anche le forme geometriche della villa dialogano poco, se
non in maniera metaforica, con il contesto.
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Ville Savoye, 1929-1931 |
Se
le relazioni con il terreno sono concettualmente escluse, massima è l’apertura
al cielo e al sole. Il solarium –culmine della promenade architecturale che si
dipana lungo un sistema continuo di rampe e percorsi che porta dall’ingresso al
tetto– è il coronamento plastico che si differenzia dal prisma pieno del piano
intermedio e dagli snelli pilotis del piano terreno. Con una progressione dall’alto
verso il basso così sintetizzabile: spazio vuoto, volume pieno, forma libera.
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Ville Savoye, interno |
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Ville Savoye, vista verso il giardino |
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Ville Savoye, interno, la vasca da bagno |
IL TRACCIATO REGOLATORE_La Pianta Libera
e la Facciata Libera non più assoggettati alla struttura in muratura venivano
composti, come dei quadri puristi, secondo un rigido schema geometrico basato
sul Modulor e/o sulla sezione aurea.
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Ville Savoye, schema compositivo della facciata secondo la sezione aurea |
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Ville Savoye. piante ai diversi livelli |
LA PROMENADE ARCHITECTURALE_La
distribuzione interna degli edifici, sia essa verticale o orizzontale, viene
risolta spesso da Le Corbusier con il tema della Promenade Architecturale. La
passeggiata architettonica non si limita ad assolvere ad un compito meramente
funzionale ma punta a nobilitare quel percorso con scorci visivi di paesaggio –
attraverso aperture posizionate ad hoc – o di volumi. La Promenade
Architecturale, nella Ville Savoye, viene risolta con una rampa a lieve
pendenza che porta il visitatore dal Piano Terra al Tetto a giardino allietando
il percorso con squarci di paesaggio.
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Ville Savoye, sezione e promenade architecturale |
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Ville Savoye, il terrazzo e la promenade architecturale |
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Ville Savoye, il terrazzo e la promenade architecturale |
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Ville Savoye, la scala a chiocciola e la promenade architecturale |
IL MODULOR_Il Modulor era una scala
metrica -messa a punto da Le Corbusier sulla base di osservazioni
antropometriche- basata su una progressione dimensionale delle diverse parti
del corpo umano tale per cui una misura era sempre la sezione aurea della
successiva. L'uso delle misure contenute nel Modulor garantiva, secondo Le
Corbusier, la piena soddisfazione delle esigenze ergonomiche ed estetiche
dell'architettura.
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le proporzioni del corpo umano secondo il Modulor |
LE CORBUSIER URBANISTA
Le ardite teorie architettoniche di Le
Corbusier giungono a una loro razionale compiutezza nei suoi avveniristici
progetti urbanistici. Già nel 1922, nel presentare al Salon d'Autumne il suo
progetto sulla Città per Tre Milioni d'Abitanti, Le Corbusier illustrava i
punti principali della sua città modello. Essa si basa essenzialmente su una
attenta separazione degli spazi: gli alti grattacieli residenziali sono divisi
gli uni dagli altri da ampie strade e lussureggianti giardini. Le Corbusier
destina alle grandi arterie viarie il traffico automobilistico privandolo della
presenza dei pedoni, garantendo così alte velocità sulle strade. Ai pedoni è
restituita la città attraverso percorsi e sentieri tra i giardini e i grandi
palazzi.
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piano per una città da tre milioni di abitanti, 1922, vista di progetto |
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piano per una città da tre milioni di abitanti, 1922, vista di progetto |
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piano per una città da tre milioni di abitanti, 1922, vista di progetto |
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Nel 1930 Le Corbusier propose alle autorità coloniali francesi un piano urbanistico pwer Algeri: il piano Obus, un nastro autostradale che scorre lungo la costa e al quale –sull’esempio
dello stabilimento FIAt del Lingotto di Torino che tanto lo aveva colpito- si agganciano sei piani
sottostanti e dodici soprastanti distanziati tra loro da circa 5 metri per dare
modo di costruirvi all’interno, a chi volesse, la propria abitazione. Le
autorità tuttavia ne rifiutarono l'attuazione.
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G. Mattè Trucco, 1915-1919, stabilimento FIAT del Lingotto |
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G. Mattè Trucco, 1915-1919, stabilimento FIAT del Lingotto - la pista di prova in una foto d'epoca |
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plan Obus, 1930, plastico |
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plan Obus, 1930, vista prospettica |
Nel 1935 pubblica La Ville
Radieuse progetto per la città del futuro: "La città di domani dove
sarà ristabilito il rapporto uomo-natura". Questa città del domani sarà
organizzata, secondo Le Corbusier, in zone distinte dove la gente vive in torri
immerse nel verde e lavora in zone separate le une dalle altre.
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la Ville radieuse, 1935, il rapporto con la città storica |
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la Ville radieuse, 1935, schema |
L'UNITÉ D'HABITATION (1945-1952)
Per Le Corbusier non esiste una
sostanziale distinzione tra l’urbanistica e l’architettura e la sua attenzione
si è rivolta a studiare un sistema di relazioni che, partendo dalla singola
unità abitativa, intesa come cellula di un insieme, si estende via via
all'edificio, al quartiere, alla città, all'intero ambiente costruito. L’Unité
d'Habitation di Marsiglia rappresenta una delle più interessanti realizzazioni
pratiche delle sue teorie sulla costruzione della città.
L’Unità di abitazione, alta 17 piani e
composta da una successione di 337 appartamenti in grado di ospitare fino a
1500 persone, testimonia, un’idea secondo la quale la casa si sarebbe
dovuta trasformare in una macchina per abitare, adeguandosi al periodo storico
rivoluzionato dall’invenzione delle macchine. Ogni unità abitativa è del tipo
duplex, cioè disposto su due livelli diversi accessibili mediante una scala
interna. Gli ingressi sono disposti lungo un corridoio-strada situato ogni due
piani. Al settimo e ottavo piano sono presenti una parte dei servizi generali
necessari alla popolazione (asilo-nido, negozi, lavanderia, ristorante, ecc.),
in modo da eliminare il salto dimensionale tra il singolo edificio e la città e
fare in modo che il primo divenga un sottomultiplo della seconda.
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Unitè d'habitation, 1945-1952, piante e sezioni |
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Unitè d'habitation, 1945-1952, vista generale |
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Unitè d'habitation, 1945-1952, sezione sul corrridoio di distrubuzione |
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Unitè d'habitation, 1945-1952, il corridoio commerciale |
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In aderenza ai cinque punti il tetto può
essere adibito a diverse funzioni sociali e sarebbe potuto divenire, secondo le
idee dell’architetto, un enorme giardino pensile, mentre il basamento è
costituito da grandi pilotis a forma di tronco di cono rovesciato, in questo
modo si separano le abitazioni dall’oscurità e dall’umidità derivanti dalla
collocazione a terra. Gli stessi pilastri sono poi arretrati rispetto al filo
dei solai, consentendo uno sviluppo della facciata indipendente dal resto
dell’appartamento e consentendo l’utilizzo di finestre a nastro, capaci di
scorrere lungo la parete e di fornire un’illuminazione eccellente.
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Unitè d'habitation, 1945-1952, i pilotis |
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Unitè d'habitation, 1945-1952, il tetto attrezzato |
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Unitè d'habitation, 1945-1952, il giardino d'infanzia in una foto d'epoxca |
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Nella chiesa a Notre Dame-du-Haut, a
Ronchamp, realizzata tra il 1950 e il 1955 che Le Corbusier sembra abbandonare
le esigenze di una rigida razionalità per proiettarsi tutto verso la dimensione
poetica. Abbandonati i cinque punti, realizza una costruzione in cui sembrano
predominare la bianca muratura delle pareti e una copertura in cemento dal
forte effetto plastico.
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, fronte Est |
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, pianta |
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, fronte Nord |
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, fronte Nord |
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, fronte Sud |
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All’interno l’edificio è giocato sul contrasto tra la
penombra e la luce colorata sparata da finestrelle strombate – i canons à
lumière – collocate in maniera strategica lungo una parete insolitamente
spessa. Ottiene così un effetto fortemente scenografico rafforzato da un
raffinato gioco strutturale: l’edificio, infatti, pur sembrando realizzato in
muratura portante è in realtà vertebrato da pilastri nascosti nelle murature. Sono
questi a sostenere la copertura, come Le Corbusier mostra staccandola
leggermente dalla sottostante muratura e determinando un’ennesima fessura
attraverso la quale filtra la luce.
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Notre-Dame-du-Haut 1950-1955, interno |
Ludwig Mies van der Rohe nasce nel 1886
ad Aquisgrana. Nel 1900 si iscrive alla scuola d'arti e mestieri e inizia a disegnare
ornamenti in stucco per uno stuccatore locale, mentre nel 1905 si trasferisce a
Berlino e lavora come disegnatore di mobili.
Nel 1908 inizia a lavorare nello studio
di Peter Behrens dove conosce Walter Gropius e Le Corbusier, che in quegli anni
fanno pratica dal maestro berlinese. Qui il giovane Mies avrà l'opportunità di
conoscere il lavoro del grande architetto neoclassico Karl Friedrich Schinkel
–al quale Behrens si ispirava- che influenzerà le sue prime costruzioni. Nel
1910, dopo aver visitato una mostra delle opere di F.L. Wright a Berlino scopre
un mondo figurativo diverso da quello di Behrens; nel 1913 aprirà un proprio
studio e, progressivamente, si avvicinerà al movimento olandese De Stijl e al
Neoplasticismo iniziando a progettare utilizzando in maniera innovativa
l'acciaio e il vetro.
Per Mies l'architettura non dovrà
distinguersi dalla struttura e dalla tecnica, diceva: "Si deve rifiutare
ogni forma che non sia retta dalla struttura".
IL PADIGLIONE TEDESCO ALL'ESPOSIZIONE DI BACELLONA
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Padiglione tedesco, 1929, fronte principale |
Costruito per l'Esposizione Universale
di Barcellona del 1929, il padiglione tedesco è un caposaldo dell’architettura
contemporanea e, nell'opera di Mies, introduce una serie di temi che
caratterizzeranno i progetti della sua maturità.
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Padiglione tedesco, 1929, fronte principale |
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Piet Mondrian, 1913, composizione XIV |
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Padiglione tedesco, 1929, vista dalla vasca del patio |
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LESS IS MORE. Il padiglione tedesco è il primo
edificio a concretizzare il motto che rese famoso Mies van der Rohe. Secondo Mies, infatti, l'estetica
dell'edificio risiede nel fare ricorso a pochi semplici elementi che fondono i
principi di scomposizione del neoplasticismo e la sua formazione classica:
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il
basamento atto a monumentalizzare l'edificio elevandolo rispetto al terreno;
_
le colonne
come unico sostegno della copertura;
_
la
copertura;
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la
decorazione affidata alla natura dei materiali e alle superfici specchianti.
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Padiglione tedesco, 1929, dettaglio del pilastro in acciaio |
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Padiglione tedesco, 1929, interno |
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DIO È NEI DETTAGLI. L'apparente semplicità nasconde in
realtà una grande complessità costruttiva. Tale complessità è comprensibile con
l'analisi del particolare costruttivo della colonna cruciforme. La colonna è
costituita da quattro profilati a “L” assemblati a croce e rivestiti da una
carena in acciaio inox.
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Padiglione tedesco, 1929, interno |
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IL MATERIALE COME UNICO ORNAMENTO. Al pari di Adolf Loos, l'unico ornamento
concesso da Mies è quello delle venature delle pietre di rivestimento:
travertino per il basamento, onice per le pareti interne e marmo verde per le
pareti esterne.
L'ASCESA DEL NAZISMO E LA FUGA NEGLI STATI UNITI
Dopo una breve parentesi da direttore
del Bauhaus, Mies, al pari di altri suoi contemporanei, preferirà lasciare la
Germania nazista per riparare negli Stati Uniti. Qui potrà svolgere attività di
insegnamento presso l'Illinois Institute of Technology nonché concretizzare la
sua ricerca architettonica in diverse opere.
L’occasione più importante gli viene dall’incarico
– procuratogli da Philip Johnson – di realizzare un grattacielo, il SeagramBuilding a Park Avenue, nel pieno centro di Manhattan (1954-58). Nonostante un
regolamento edilizio impossibile che, per massimizzare le superfici
costruibili, impone edifici a gradoni, Mies disegna un prisma perfetto
arretrato rispetto all’allineamento stradale.
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Seagram building, 1954-1958, vista complessiva |
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Padiglione tedesco, 1929, l'ingresso |
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Padiglione tedesco, 1929, interno di un ufficio |
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La minore volumetria è compensata
dalla maggiore essenzialità della costruzione e dalla realizzazione di una piazza
antistante l’ingresso dalla quale si può meglio apprezzare l’austero curtain
wall in bronzo e in vetro scuro dell’edificio. Non si potrebbe pensare a una
soluzione più essenziale ed elegante.
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Padiglione tedesco, 1929, dettaglio della facciata |
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Padiglione tedesco, 1929, la soluzione d'angolo |
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Con il Seagram “il meno” è effettivamente
“il più” e Mies realizza concretamente quell’ideale di classica perfezione che
persegue da quasi trent’anni di attività e che trova le sue radici nei progetti
europei degli anni Venti e Trenta.
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