Fondamenti di urbanistica - lezione 2

I LIVELLI DELLA PIANIFICAZIONE

PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO
La legge urbanistica nazionale del 17 agosto 1942 n°1150 all’art. 5, introduce i piani territoriali di coordinamento che rappresentano il primo grado d’intervento con funzione di programmazione e indirizzo delle pianificazioni. Tali piani, originariamente nati senza un predeterminato orizzonte spaziale, sono anche detti oggi piani territoriali regionali (PTR) dopo, che con l’istituzione delle Regioni (art.117 della Costituzione) nel 1971, viene ad esse delegato il potere pianficatorio e, di norma, si estendono nell’ambito della regione e coincidono con il suo territorio.

Funzione principale dei piani in esame è di attuare una perfetta ed omogenea sistemazione di vasti comprensori, per quanto riguarda
  • l’assetto edilizio presente e futuro,
  • le principali vie di comunicazione d’ogni genere,
  • la creazione, l’ubicazione e la sistemazione delle industrie e delle altre attività economiche.

Nello specifico l’art. 5 della Legge Urbanistica precisa:
“Nella formazione di detti piani debbono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in rapporto principalmente:
  • alle zone da riservare a speciale destinazione ed a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge;
  • alle località da scegliere come sede di nuovi nuclei edilizi ad impianti di particolare natura ed importanza;
  • alla rete delle principali linee di comunicazioni stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti ed in programma”.




I piani territoriali di coordinamento non sono piani essenzialmente urbanistici perché a differenza dei piani comunali (generali e particolareggiati) costituiscono strumenti di coordinamento di tutte le forme di attività e quindi oltre all’edilizia disciplinano i trasporti, le comunicazioni, le industrie, i commerci i servizi pubblici le attività culturali e in sostanza tutte le attività economiche e sociale delle Regioni. La pianificazione territoriale si presenta pertanto omogenea e completa dando modo di attuare la migliore utilizzazione del territorio e il miglior sfruttamento delle risorse in esso contenute senza creare scompensi.
Inoltre essi sono provvedimenti amministrativi che creano soltanto oneri poiché non obbligano a fare alcunché né impongono vincoli su beni privati -tant’è che la legge non ha neppure prescritto l’obbligo della pubblicazione del piano prima dell’approvazione, ma soltanto dopo, allo scopo di dare ordine e disciplina anche all’attività privata. Per questo motivo, il PTR si dice dotato di efficacia giuridica indiretta, in quanto le indicazioni contenute in esso non sono direttamente ascrivibili alla proprietà privata, ma vengono attuate mediante il recepimento negli strumenti urbanistici comunali che, invece, hanno efficacia giuridica diretta sulla proprietà privata.

Organo competente per la formazione dei detti piani, sono le regioni e più precisamente l’ufficio tecnico che nel formulare il piano ne indica i confini che possono coincidere con quella dell’intera regione oppure con una parte più o meno estesa. La legge urbanistica prevede poi che gli studi di formazione siano condotti d’intesa con altre amministrazioni che alle direttive del piano sono tenuti a confermare la propria attività (i comuni compresi nel perimetro stabilito, le camere di commercio, le amministrazioni delle Ferrovie, i consorzi di bonifica, gli enti che svolgono attività urbanistica e le principali urbanizzazione di interesse pubblico). Il piano sottoposto all’esame del consiglio regionale, è approvato con decreto del Presidente della giunta regionale e successivamente pubblicato nel Bollettino Ufficiale della regione. Una copia del piano viene depositata nella segreteria di ciascun comune del territorio interessato perché tutti possono prenderne visione. Il piano territoriale ha vigore a tempo indeterminato, ma come per tutti gli altri piani è suscettibile di varianti.

Elaborati tecnici del piano territoriale
  • Planimetria, tabelle, tavole illustrative dalle quali risulta evidenziata la situazione attuale del comprensorio sotto il profilo geo-economico e le trasformazioni di carattere generale che si dovranno apportare;
  • Una relazione che illustri la natura e gli scopi delle direttive da seguire nell’attuazione delle suddette trasformazioni, e indichi gli enti cui spetterà la responsabilità delle opere previste;
  • Un regolamento d’esecuzione che contenga le norme che i vari enti interessati dovranno applicare nello svolgimento delle attività dirette alla formazione di piani regolatori locali, all’attuazione delle più importanti comunicazioni stradali, ferroviarie e idriche e alla realizzazione degli impianti che interessano le varie circoscrizioni comunali.


PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE
Fino alla fine degli anni 80 l’utilizzazione del PTR, salvo qualche rara eccezione, restarono quasi sempre sporadica, ci si interrogò quindi sul loro cattivo funzionamento individuandone alcune cause:
  • la regione è una dimensione troppo lontana dalle realtà comunali per poter recepire le loro istanze e avviare un efficace rapporto dialettico;
  • le prescrizioni che la regione può dare risultano troppo generali per costituire efficaci linee di indirizzo e di orientamento;
  • la scala di rappresentazione è troppo piccola per poter tradurre graficamente su carta vincoli e prescrizioni.


Ma allora quale è la giusta base territoriale; il più opportuno ambito territoriale di riferimento per la programmazione e il coordinamento in urbanistica?

La legge 142/90 sull’Ordinamento delle Autonomie Locali, all’art. 15, risolve la questione individuando l’ambito ottimale di riferimento nella dimensione del territorio provinciale e attribuisce alle province (poi alle Città Metropolitane) la competenza a predisporre e ad adottare il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) che determina indirizzi generali di assetto del territorio, mentre il PTR si trasforma in un più generico programma di sviluppo territoriale che traduce in termini urbanistici i programmi di sviluppo della stessa, evitando, in tal modo, la sovrapposizione di due PTC.
I contenuti del piano sono, in parte diversi da quelli indicati dalla legge n° 1150/1942 e riguardano in particolare:
  • le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti; 
  • la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle maggiori linee di comunicazione;
  • le linee d’intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica e idraulico-forestale e in generale per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
  • le aree sulle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.


Il piano territoriale di coordinamento provinciale è trasmesso, insieme con il programma di sviluppo, alle Regioni affinché ne possa essere accertata la conformità agli indirizzi regionale della programmazione socio-economica e territoriale. Gli enti e le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle loro competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle Province e tengono conto dei programmi pluriennali dalle stesse adottate. Anche il PTCP è dotato di efficacia giuridica indiretta; nel piano possono essere, tuttavia, contenute prescrizioni relativamente a reti infrastrutturali e opere pubbliche le quali incidono direttamente sulla proprietà privata (in quanto, però, attuate da soggetti dotati di efficacia giuridica diretta).

IL PIANO TERRITORIALE PAESISTICO
Questo strumento è stato istituito dalla Legge 1497/39 sulla protezione delle bellezze naturali, di cui ne definisce esattamente le caratteristiche generali (art. 1). Sulla base di questa definizione, dal 1977, è competenza delle Regioni l’individuazione esatta dei beni paesaggistici presenti nel proprio territorio, individuazione che costituisce un vincolo ovvero una limitazione del potere di trasformazione della proprietà privata e che si traduce nell’obbligatorietà del rilascio di un nulla-osta ad edificare preventivo a qualsiasi richiesta di nuova costruzione o di trasformazione.
Per queste zone di territorio le Regioni, dal 1985, devono predisporre il Piano Territoriale Paesistico (PTP) (o un Piano urbanistico territoriale con particolare considerazione dei valori paesistici e ambientali). Tale predisposizione può anche avvenire, oggi, d’intesa con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero dell’ambiente, mediante la stipula di accordi specifici.
Finalità del PTP sono:
a.la definizione di zone di rispetto
b.la definizione del rapporto tra aree libere ed aree fabbricabili nelle diverse zone
c.le norme per i diversi tipi di costruzione
d.la distribuzione ed l’allineamento dei fabbricati
e.le istruzioni per la scelta e la distribuzione della flora.

Viste le finalità, si potrebbe affermare che il PTP si qualifica propriamente come un piano di settore.

Sulla base delle ulteriori specificazioni dettate dal Codice dei Beni Culturali e Ambientali (Dlgs 42/2004), il PTP individua:
le aree, oggetto di tutela, nelle quali, in considerazione del livello di eccellenza dei valori paesaggistici o della opportunità di valutare gli impatti su scala progettuale, la realizzazione delle opere e degli interventi consentiti comunque il preliminare rilascio dell’autorizzazione;
le aree, non oggetto di tutela, nelle quali, invece, la realizzazione di opere ed interventi può avvenire sulla base della verifica della conformità alle previsioni del PTP e dello strumento urbanistico comunale, senza il rilascio dell’autorizzazione;
le aree significativamente già compromesse o degradate nelle quali la realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione non richiede il rilascio dell’autorizzazione.

L’approvazione del PTP compete alla Regione. Tuttavia, si può procedere alla formazione e relativa approvazione di un PTP anche in modo congiunto con il Ministero per i Beni e le Attività culturali. Inoltre, in caso di inadempienza della Regione, in Ministero stesso può subentrare, avvalendosi del potere sostitutivo, e procedere alla formazione e approvazione del PTP.

PIANO REGOLATORE GENERALE
È importante ricordare che mentre la pianificazione territoriale coordina i programmi e gli interventi relativi a comprensori assai più vasti di quelli che competono alle autorità municipali, la pianificazione urbana riguarda, invece, le città e la sfera di immediata e diretta influenza che corrisponde alla circoscrizione amministrativa comunale.
Possiamo dire, quindi, che la funzione del piano regolatore comunale è quella di assicurare la migliore composizione urbanistica dei singoli insediamenti ed indicare la futura configurazione del territorio comunale, fissando le direttive necessarie per attuarla in relazione alle condizioni dell’ambiente e all’esigenze della popolazione.

DEFINIZIONE E FUNZIONE DEL P.R.G.
Il Piano Regolatore Generale comunale (P.R.G.), come disciplinato nella legge 1150/42, è lo strumento urbanistico che fissa le direttive generali dello sviluppo e della sistemazione dell’intero territorio comunale, anche attraverso limiti e condizioni di utilizzo alla proprietà privata dei suoli, così da consentirne la funzione sociale di cui all’art. 42 della Costituzione.
Scopo del Piano regolatore è, dunque, quello di assicurare la migliore composizione urbanistica dei singoli insediamenti e di indicare la futura configurazione del territorio comunale, fissando le norme e le prescrizioni necessarie per attuare detti scopi, in relazione alle peculiari condizioni dell’ambiente ed alle esigenze della popolazione.
Il Piano regolatore comunale deve rispondere ad obiettivi di salvaguardia delle risorse territoriali e di utilizzo del suolo a fini sociali, nel rispetto dei criteri di economicità (coerenza con le risorse disponibili) e di flessibilità (per adeguarsi al possibile sviluppo tecnologico ma anche finanziario e legislativo). A tal fine dovrà anche tener conto di eventuali direttive e indirizzi forniti dagli strumenti pianificatori sovracomunali.

Condizione preliminare per la redazione di un P.R.G. e quella di operare una serie d’indagini analitiche volte alla stesura di un dossier della città, il quale prevede:
  • L’esame storico delle trasformazioni che si sono verificate nell’ambito cittadino;
  • L’esame dell’andamento demografico della popolazione;
  • Censimento delle abitazioni e delle attrezzature, degli impianti pubblici e privati;
  • Censimento economico della città;
  • Andamento del traffico e delle comunicazioni;
  • Annotazioni, osservazioni e rilievi grafici e fotografici.

Tutti questi elementi, previsioni e indagini preliminari permettono di poter aver un quadro completo delle città e dell’intero territorio comunale da pianificare.

CONTENUTO DEL PIANO REGOLATORE
L’art. 7 della legge 1150/42, come modificato dall’art. 1 della legge 1187/68, disciplina il contenuto del piano regolatore che si articola in previsioni di localizzazione (con cui alcune aree vengono destinate a servizi di interesse pubblico e sono pertanto preordinate all’espropriazione) e previsioni di zonizzazione (il territorio comunale viene diviso in zone e vengono determinati i vincoli e i limiti da osservare in ciascuna di esse).
Con riferimento alle localizzazioni il Piano deve contenere:
  • la localizzazione della rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti. Ovviamente devono essere indicate anche le vie esistenti e quelle previste da fonte speciale o sopra-ordinata. L’indicazione delle vie di comunicazione ha immediato effetto di vincolo, nel senso di impedire l’edificazione nell’area riservata e di prevedere l’attuazione dell’opera pubblica mediante esproprio. Tale vincolo è soggetto a decadenza quinquennale.
  • la localizzazione delle aree destinate ad uso pubblico (si pensi alla realizzazione di un parco giochi pubblico) o delle aree sottoposte a speciali servitù (si pensi alle aree circostanti ad un aeroporto in cui per non creare ostacoli al traffico aereo le costruzioni non devono superare certi limiti di altezza);
  • l’individuazione di aree destinate alla realizzazione di pubblici edifici o di uso pubblico ovvero di opere ed impianti di interesse collettivo o sociale (si pensi alla realizzazione di un ospedale, di una scuola o di un impianto sportivo).

Tutte queste aree, come si accennava in precedenza, sono assoggettate a vincolo preordinato all’esproprio che ha durata di 5 anni. Entro tale termine può essere emanato il provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’opera.

Rispetto alle zonizzazioni nel Piano regolatore devono essere indicate:
  • la divisione in zone del territorio comunale. Al riguardo vanno indicate le zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e precisati i vincoli ed i caratteri da osservare in ciascuna di esse. La divisione in zone del territorio può non coincidere con l’individuazione delle zone territoriali omogenee di cui al D.M. 1444/1968. Può accadere, infatti, che in una zona territoriale omogenea sia compresa più di una destinazione di P.R.G. Si parla al riguardo di zone miste o speciali, le quali contemplano simultaneamente varie destinazioni funzionali, a garanzia del superiore interesse della comunità ad una migliore qualità della vita urbana.


Secondo il D.M. n. 1444 del 2-4-1968 il territorio comunale si divide in:
  • zona A: definisce il centro storico (si riferisce alle parti del territorio interessato da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio o porzioni di esso, comprese le aree circostanti che possono considerarsi parte integrante degli agglomerati stessi);
  • zone B: sono zone di completamento, cioè parti del territorio comunale già completamente o prevalentemente edificate diverse dalle zone A (si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12, 5% della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq);
  • zone C: sono zone di espansione, ovvero aree nelle quali si prevede il futuro sviluppo dell’edilizia residenziale;
  • zone D: porzioni del territorio comunale destinate ad attività industriali, turistiche e commerciali;
  • zone E: zone destinate all’agricoltura;
  • zone F: destinate alla localizzazione dei servizi di pubblico interesse e delle opere pubbliche.


  • l’indicazione dei vincoli da osservare nelle zone di pregio storico, ambientale e paesistico;
  • la ricognizione del patrimonio edilizio-urbanistico da recuperare (art. 27 l. n. 457 del 5 agosto 1978), con specifica indicazione delle zone degradate dove è necessario porre in essere attività di conservazione, risanamento e ricostruzione (piani di recupero);
  • la definizione delle norme tecniche necessarie alla attuazione del P.R.G.


DOCUMENTI DI CUI CONSTA IL PIANO REGOLATORE
Pur non prevedendo la legge n. 1150 del 1942 nulla al riguardo, si può con certezza affermare che il Piano regolatore si compone generalmente:
  • di una relazione relativa alla struttura e alla funzione del Piano regolatore. Nella relazione sono descritte la situazione geografica ed ambientale del territorio comunale, le esigenze economiche, demografiche e sociali della popolazione residente, i criteri che hanno ispirato la redazione del piano e gli scopi che esso intende perseguire. Essa costituisce un valido strumento per interpretare eventuali aspetti del piano che dovessero risultare ambigui. Tale relazione conterrà la motivazione e la giustificazione tecnica delle disposizioni contenute nel piano regolatore;
  • di una parte grafica, consistente in una serie di planimetrie del territorio comunale che ne inquadrano la posizione geografica, individuano la zonizzazione generale e riproducono singole zone aventi caratteristiche particolari. Le tavole di piano vanno realizzate secondo la scala più opportuna o in quella eventualmente prevista dalla legge regionale. In caso di incongruenza tra tavole aventi scala differente, se il progettista non ha specificato quali hanno carattere indicativo e quali prescrittivo, prevale la tavola più dettagliata;
  • di una parte normativa che stabilisce i caratteri e le prescrizioni riguardanti ciascuna zona, con specificazione degli interventi ammessi, degli indici di fabbricabilità, e delle destinazioni d’uso consentite. Le norme di attuazione costituiscono il principale documento del piano, prevalendo in caso di contrasto sul contenuto delle planimetrie.


ESTENSIONE TERRITORIALE DEL PIANO E ITER DI APPROVAZIONE
L’art. 7 della l. n. 1150 del 1942 prevede che il piano regolatore generale consideri la totalità del territorio comunale.
L’iter di approvazione prevede, in primo luogo, l’adozione del PRG da parte del Consiglio Comunale.
Da questo momento e fino alla definitiva approvazione del PRG, entrano in vigore le misure di salvaguardia introdotte con la Legge 1.902/52, in virtù delle quali il Sindaco può motivatamente sospendere il rilascio di tutti le richieste di permessi di costruzione (concessioni edilizie) che risultino essere in contrasto con il PRG adottato. Dopo l’adozione, il PRG viene depositato ed esposto presso la Segreteria del Comune per un periodo di 30 giorni, durante il quale chiunque può prenderne visione. Nei 30 giorni successivi, singoli, associazioni, enti e altre istituzioni interessate possono presentare osservazioni al PRG con l’obiettivo di dare suggerimenti per migliorare lo strumento di piano in merito a obiettivi, interventi, modalità attuative. Tali osservazioni vengono vagliate, accettate o respinte, con le relative controdeduzioni.
L’approvazione del PRG, corredato di tutte le osservazioni e controdeduzioni, è competenza della Regione (ma, in alcuni casi, a secondo delle vigenti normative regionali, anche della Provincia).
Nel caso in cui fosse ritenuto opportuno, la Regione ha comunque la facoltà di proporre al Comune o di procedere direttamente a modifiche al PRG adottato. Rari sono i casi di provvedimenti di rigetto del PRG da parte della Regione.
Il PRG diviene efficace il giorno seguente la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione di appartenenza. Da quel momento in poi, il PRG non ha scadenza temporale.
Tuttavia il piano regolatore può essere modificato anche in modo sostanziale attraverso lo strumento della variante. La variante è dunque lo strumento mediante il quale si può procedere ad una revisione del piano regolatore, qualora questa sia necessaria per sopravvenute ragioni che determinano la totale o parziale inattuabilità del piano medesimo o la convenienza di migliorarlo.
In relazione alle loro funzioni le varianti possono essere distinte in:
  • varianti generali: consistono in sostanza in un nuovo piano regolatore generale e sono necessarie dal momento che tale strumento urbanistico ha durata illimitata e quindi, deve poter essere soggetto a revisioni generali periodiche;
  • varianti specifiche: interessano solo una parte del territorio e rispondono all’esigenza di far fronte a sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate. Si pensi, ad esempio, alle variabili di adeguamento (adeguamento agli standards urbanistici posti da disposizioni statali o regionali) o alle varianti necessarie a seguito della decadenza di vincoli preordinati di esproprio;
  • varianti normative che riguardano solo le norme di attuazione del P.R.G. e non le planimetrie e quindi l’assetto urbanistico del territorio.

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