Il protorazionalismo


LA NASCITA DEL MOVIMENTO MODERNO
I primi due decenni del Novecento furono caratterizzati da profonde crisi sociali e culturali che cambiarono, ancora una volta, il volto dell’Europa: orribilmente devastata dalla Prima Guerra Mondiale e scossa dalle lotte operaie che portarono all’affermazione del comunismo in Russia.
Un’opera lenta e difficile di ricostruzione -fisica e morale- non poteva non coinvolgere anche le arti e in special modo l’architettura che, fra di esse, è da sempre quella più concretamente legata alle esigenze di vita e di quotidianità della gente: la committenza, il mondo della costruzione e della progettazione, messi di fronte a nuovi compiti, dovevano necessariamente rinnovare il linguaggio architettonico.
L’ultima importante esperienza architettonica prebellica era stata quella dell’Art Nouveau che, di fatto, aveva superato in modo definitivo il gusto classicista. Partita dalle ottime premesse di Horta, Wagner e Olbrich, però, l’architettura art nouveau si era ben presto incagliata in un nuovo e vuoto accademismo: all’iniziale liberazione dalle ormai inutili forme della tradizione storicistica, infatti, aveva finito per sostituirsi la meccanica riproduzione di forme sinuose e floreali, altrettanto arbitrarie di quelle precedenti.

I nuovi compiti degli architetti erano diventati quelli di utilizzare a fini sociali metodi della produzione industriale di serie, di rielaborare l’articolazione degli spazi interni degli edifici secondo criteri più razionali e di proporre nuove forme di organizzazione della città.

Sebbene sul piano tecnico molte delle innovazioni destinate a rivoluzionare l’impianto strutturale di un edificio (l’uso dei profilati in acciaio e del cemento armato) e la sua organizzazione interna (gli impianti fognari e i moderni sistemi di adduzione e di distribuzione idrica) fossero note già da tempo, solo dopo gli anni Venti esse investirono massicciamente l’architettura. 

Sul piano formale la posizione più avanzata –e provocatoria- fu quella dell’architetto Austriaco Adolf Loos, che si scagliò con forza contro l’ornamento fine a se stesso, da arrivando ad affermare “l’ornamento è delitto!” e stabilì un fondamentale punto di non ritorno per la cultura architettonica europea.Bisogna considerare che l'argomento fondamentale di Loos contro l'utilizzo dell'ornamento si basava non solo sul dispendio di tempo e di materiale provocato dalla decorazione, ne era per lui una caratteristica puramente formale. Secondo l'architetto l'ornamento era una forma di schiavitù della pratica, esercitata dal disegnatore sull'artigiano per mettere in scena la nostalgia del passato che occulta le vere forme della modernità.


Adolf Loos, 1912, palazzo in Marketplatz, Vienna

Adolf Loos, 1930, Villa Muller, Praga

Adolf Loos, 1930, Villa Muller, Praga
Adolf Loos, 1930, Villa Muller ,interni



Adolf Loos, 1930, Villa Muller interni
L’esperienza razionalista degli anni Venti riparte dunque proprio da Loos e da quei gruppi di avanguardia che, soprattutto in Germania, avevano già avviato interessanti esperienze di ricerca e di progettazione con l’impiego dei moderni materiali da costruzione e delle nuove tecnologie a essi connesse, per attuare una profonda revisione dei modi di organizzare e costruire gli edifici. Tra queste esperienze di anteguerra assunse particolare significato quella del DeutscherWerkbund (Federazione Tedesca del Lavoro) uno straordinario laboratorio di idee, all’interno del quale una nuova e vivacissima generazione di architetti e di intellettuali si impegnò, insieme ad alcuni rappresentanti più progressisti del mondo industriale, per sanare la storica frattura esistente tra arte, artigianato e industria, ponendo le fondamento di quel nuovo modo di affrontare ogni aspetto della pratica architettonica che prenderà il nome di Movimento Moderno.

Nell’ambito del Werkbund, maturano alcune delle personalità artistiche più significative dell’architettura razionalista. Fra tutti spicca il nome dell’architetto e designer tedesco Peter Behrens che, nelle sue costruzioni, rivoluziona in senso moderno ogni precedente regola edilizia, tenendo conto già in fase di progetto delle esigenze dei committenti, delle finalità funzionali (cioè della destinazione d’uso che ogni edificio doveva avere) e dell’ottimizzazione dei costi di realizzazione (cioè della scelta dei migliori materiali e delle più efficienti tecniche costruttive possibili). Uno dei suoi lavori più impegnativi è senza dubbio la Turbinenfabrik (Fabbrica di turbine), costruita nel 1909 a Berlino per conto della AEG, la più grande industria elettromeccanica del tempo.
Per sottolineare in modo simbolico l’importanza economica che il processo di industrializzazione sta rivestendo per l’impero tedesco, Behrens cerca di dare anche a un manufatto industriale la solenne imponenza di un tempio. Uno dei lati lunghi è scandito da immense vetrate inserite in una struttura portante d’acciaio, ottenendo con ciò il duplice e non indifferente vantaggio di un’adeguata illuminazione naturale e di un’estrema velocità di costruzione. Nei due lati corti dell’edificio, invece, Behrens mette in evidenza una sorta di massiccio frontone a profilo spezzato, che aggetta sulla muratura sottostante creando un significativo gioco di incastri fra materiali diversi. A tamponamento della facciata vi è poi un’altissima vetrata, anch’essa lievemente aggettante dal piano della parete, che con la sua trasparenza alleggerisce la compatta massa muraria del timpano.


Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino foto d'epoca

Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino sezione
Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino facciata



Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino vista d'angolo

Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino foto d'epoca degli interni

Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino dettaglio delle cerniere

Peter Behrens, 1909, Turbinefabrik, Berlino dettaglio delle cerniere
Funzione e decorazione si sposano con grande sobrietà e, per la prima volta, l’architettura (intesa come produzione di valore estetico) si interessa all’aspetto di una fabbrica (intesa come puro strumento di produzione

GLI OBIETTIVI CONDIVISI CON LE  AVANGUARDIE ARTISTICHE
Un atteggiamento comune agli architetti del Movimento Moderno fu il rifuto di considerare l’architettura soltanto un0erte del senso tradizionale. In tutta l’architettura dell’Ottocento nessuno metteva in discussione –anche nei casi di maggiore innovazione strutturale- che l’architettura rielaborava forme delle costruzioni precedenti, andando a ritroso sino alla più remota antichità.
Opponendosi a questa visione -che aveva trovato una propria specializzazione nelle Accademie e nella già citata separazione dalle scuole di ingegneria- gli architetti del Movimento Moderno rifiutarono l’idea dell’imitazione e del distacco tra architettura costruita e architettura rappresentata –in sintesi tra struttura e apparato decorativo- che, inevitabilmente, ne era conseguenza. D’altra parte anche le arti figurative -pittura e scultura- si stavano progressivamente allontanando dalla rappresentazione realistica della natura con il Cubismo, l’Espressionismo, il De Stijl e le altre avanguardie artistiche che confluiranno nell’Astrattismo. Artisti e architetti lavorano così nella convinzione, ormai consolidata, che l’uomo contemporaneo debba vivere in ambienti moderni, coerenti in ogni loro dettaglio (dalle opere d’arte agli oggetti d’uso, alle forme e agli spazi degli edifici), e che ciò abbia un rilievo nella positiva evoluzione della società nel suo complesso.
Tuttavia, arte e architettura sono sempre state e rimangono due attività profondamente differenti per il diverso grado di complessità del processo di produzione e il numero dei soggetti coinvolti. Mentre un pittore può dipingere un quadro da solo nel suo studio, l’architetto per costruire una casa ha bisogno di interagire per lo meno con le regole di pianificazione che riguardano il lotto su cui progetta, con gli utenti finali dell’edificio, con le imprese di costruzione, i fornitori e gli operai del cantiere.

LA PROVA DELLA REALTA’
Proprio in un momento di radicale trasformazione dei sistemi produttivi nell’edilizia (tecniche costruttive e nuovi materiali legati all’industrializzazione), la divaricazione tra arte e architettura si approfondisce e le correnti di rinnovamento che non si confrontano con questi sviluppi sono destinate, in architettura, a consumarsi in pochi anni, mentre le proposte restano per lo più sulla carta: tale, ad esempio, era stato il destino dell’architettura futurista. Inoltre, le diverse caratteristiche dei due contesti rendono difficili i rapporti tra artisti e architetti anche quando essi riconoscano le stesse finalità come nel caso Neoplasticismo, identificato con l'opera pittorica di Piet Mondrian e la sua ricerca di di un’armonia razionale e geometrica delle forme capace di esercitare il proprio influsso pacificatore sulla società e legato al movimento olandese De Stijl.

La più felice interpretazione architettonica dei principi Neoplastici è certamente la Casa Schröder realizzata nel 1929 a Utrecht dal designer e architetto olandese Gerrit Rietveld (già noto per la Sedia rosso-blu realizzata in legno senza incastri, ma giustapponendo quindici listelli e due piani in noce, come una geniale proiezione nelle tre dimensioni dell’estetica neoplastica).


Piet Mondrian, 1930, composizione rosso, giallo e blu

Gerrit Rietveld, 1917, sedia rosso-blu

Gerrit Rietveld, 1929 casa Schroder, Utrecht 

Gerrit Rietveld, 1929 casa Schroder, Utrecht

Gerrit Rietveld, 1929 casa Schroder, Utrecht

Gerrit Rietveld, 1929 casa Schroder, interni

Gerrit Rietveld, 1929 casa Schroder, interni
Il prisma dell’abitazione rivela l’appartenenza al filone neoplastico nelle forme, nell’uso dei colori e nella sua scomposizione ideale si disaggrega idealmente nelle facce che lo compongono generando uno spazio fluido e flessibile. Ai piani così ottenuti sono attribuiti valori plastici e cromatici: essi divengono una composizione artistica astratta, giocando un ruolo indipendente dalle funzioni che assolvono nell’edificio, ovvero dal loro essere muri o parapetti di balconi. È la traduzione in architettura della sovrapposizione e intersecazione dei piani;sorprendente se si considera che la casa è realizzata con tecniche costruttive tradizionali (solo i balconi sono in calcestruzzo armato, mentre la struttura è in mattoni con solai in legno).

Nell’ambito dell’Espressionismo tedesco –un movimento che vede nell’industrializzazione e nella condizione urbana una fonte di isolamento rispetto alla quale l’uomo deve recuperare la propria identità- è invece Erich Mendelsohn l’architetto che più di ogni altro riesce a tradurne in realtà la carica evocativa. La forma plastica in cui si concretizza al meglio la medesima inquietudine espressiva è la Torre Einstein: l’edificio, costruito fra il 1920 e il 1924 a Potsdam (Berlino), ospitava un osservatorio e, al piano terra e nell’interrato, un laboratorio di astrofisica destinato ad Albert Einstein. Intento del progettista era creare un edificio capace di rappresentare sotto il profilo formale la funzione alla quale è destinato e la cui superficie esterna simuli una costruzione in calcestruzzo armato, il materiale più adatto –secondo Mendelsohn– a esprimere il contenuto sperimentale di un’architettura proiettata verso il futuro; tuttavia, per ridurre i costi, la Torre Einstein venne realizzata in mattoni coperti da intonaco.


Ernst Ludwig Kirchner, 1909, Marzella

Erich Mendelsonh, 1920-1924, torre Einstein, Postdam

Erich Mendelsonh, 1920-1924, torre Einstein, Postdam
Il progettista cerca di armonizzare forme e dettagli in un’unica immagine dominante, che deve risultare immediatamente percepibile. La base allungata si lega all’alta torre-telescopio mediante forme sinuose e curvilinee; la cupola, posta alla sommità dell’edificio, ha il compito di riflettere la luce al laboratorio sottostante, cui giunge attraverso un sistema di specchi celato dalla struttura.

IL RITARDO DELL’ARCHITETTURA FUTURISTA
Nel movimento futurista (la prima e più importante avanguardia artistica italiana) la città è evocata come l’ambiente in cui si condensa la dinamica della vita nuova, il luogo, nelle parole del fondatore del movimento Tommaso Marinetti, delle "folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa" La città sognata dai futuristi è, quindi, quella del traffico e del rumore, degli arsenali e dei cantieri, delle stazioni e dei grattacieli: colorata e fumante, solcata da automobili, treni, aerei, illuminata dalla luce artificiale. 

Umberto Boccioni, 1913, forme uniche nella continuità dello spazio

Giacomo balla, 1912, dinamismo di un cane al guinzaglio

Umberto Boccioni, 1914, la strada entra nella casa
Una città d’acciaio e di cemento attraversata dai tunnel, con i ponti lanciati sopra le strade, da casa a casa. In realtà, se lo scenario urbano domina l’immaginario futurista, l’architettura è però l’ultima arte a fare la sua effettiva comparsa tra le dichiarazioni di poetica del movimento, dopo la letteratura, la pittura, la musica la scultura e il cinema. L’esordio è sancito l’11 luglio 1914 dalla pubblicazione del Manifesto dell’architettura futurista, a firma di Antonio Sant’Elia e articolato in otto punti:
  • la scelta di impiegare nuovi materiali;
  • la concezione di edifici che per le forme suggestive travalichino la loro funzione pratica;
  • il dinamismo delle linee al fine di trasmettere una più forte carica emotiva;
  • il riconoscimento della valenza estetica che i materiali in quanto tali posseggono;
  • l’ispirazione tratta dal mondo della macchina;
  • l’abbandono delle tradizioni compositive ereditate dal passato;
  • l’affermazione che il mondo delle cose è proiezione del mondo dello spirito;
  • la transitorietà dell’architettura.

Antonio Sant’Elia disegna fantasiose architetture, che sembrano interpretare perfettamente le immagini letterarie di Marinetti, dalle quali trae, nel 1913, una serie di tavole dal titolo La Città nuova che verranno esposte l’anno successivo suscitando l’ammirazione di Marinetti.


Antonio Sant'Elia, 1914, stazione per treni ed aerei
Antonio Ssnt'Elia, 1914, casamento con ascensori esterni



Antonio Sant'Elia, 1914, centrale elettrica
Partito volontario per la prima guerra mondiale, come molti altri futuristi,Sant’Elia muore al fronte nel 1916. Si interrompe così bruscamente l’elaborazione di una potente e personalissima visione dell’architettura e delle città nuove che dimostrerà però un impressionante potere visionario che anticipa la realtà contemporanea, caratterizzata dalla crescente industrializzazione e dall'espansione urbana, con il desiderio di una totale ricostruzione artificiale dell'universo.
Dei progetti dell’architetto, uno solo verrà più tardi costruito da Giuseppe Terragni, il Monumento ai caduti a Como (1931-33), che nella composizione dei volumi, nella ricerca di una monumentalità solenne ma essenziale e nel trattamento del basamento svasato riflette tanti dei disegni precedentemente pubblicati nella Città nuova.

IL BAUHAUS, UN RAPPORTO PIÙ MATURO TRA ARTE E ARCHITETTURA
Il Bauhaus (letteralmente "casa del costruire") rappresenta il più alto e significativo momento di sviluppo del Razionalismo tedesco. Fondato nel 1919 a Weimar dall’architetto, designer e urbanista Walter Gropius, costituì una palestra intellettuale per diverse generazioni di giovani artisti europei. Un po’ scuola, un po’ bottega artistica, un po’ laboratorio artigiano, esso incarnò il simbolo stesso della rinascita umana e morale della Germania nel breve e intenso periodo intercorrente tra la sconfitta della Prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura nazista. promuovendo la connessione tra ambito creativo e sistema industriale.
Dirigono la scuola figure di architetti diversi tra loro come Walter Gropius, Hannes Meyer e Ludwig Mies van der Rohe e vi insegnano artisti di spicco che, come Paul Klee o Vasilij Kandinskij, seguono percorsi indipendenti. Essi mirano a migliorare singoli aspetti della realtà, ciascuno con le proprie competenze disciplinari. Dall’arte, o meglio dal suo insegnamento, l’architettura del Bauhaus estrae dei metodi più che delle forme specifiche. In questo modo coloro che insegnano o imparano nella scuola riescono a salvaguardare e trasmettere la libertà di ispirazione e del percorso creativo, mentre non rinunciano a confrontarsi con le innovazioni del processo produttivo e con le ragioni economiche e produttive connesse al disegno di edifici, arredi e oggetti d’uso, realizzando per questa via più maturi ed efficaci scambi con l’arte delle Avanguardie.
Non è un caso che, mentre una parentela formale risulta evidente tra le opere di Mondrian e e la Casa Schröder, questa non si ravvisa, per esempio, tra la sede del Bauhaus, progettata da Gropius a Dessau (1925), e i contemporanei quadri di Kandinskij o le composizioni di Josef Albers.

Il successo che il Bauhaus dimostrava di riscuotere, richiamando a Weimar studenti e intellettuali da ogni parte della Germania, oltre che da numerosi altri Paesi d’Europa, indispettì non poco i gretti ambienti accademici locali. Questi, agitando lo spettro del presunto bolscevismo della scuola e di alcuni dei suoi insegnanti, ebbero buon gioco ad aizzarle contro la piccola e media borghesia del luogo, tanto che nel 1924 Gropius fu costretto a trasferire il suo istituto a Dessau, nella Germania centro-orientale. Ciò rappresentò senza dubbio la prima sconfitta politica dell’ideologia razionalista che, pur essendo assolutamente trasparente e democratica, finì per essere accusata addirittura di sovversione. Nonostante questo il trasferimento del Bauhaus significò anche la possibilità per Gropius di progettare e arredare, insieme ai suoi colleghi e allievi, la nuova sede.
Egli si riservò il progetto architettonicodell’edificio che, più di ogni altra cosa, avrebbe dovuto costituire il vero e proprio manifesto della scuola. Ciò gli diede l’opportunità di realizzare una delle prime e più perfette architetture razionaliste, esempio di straordinario equilibrio compositivo, di rigoroso studio delle funzioni, di grande abilità tecnica e di estrema coerenza nell’uso dei materiali.


Walter Gropius, 1924, edificio Bauhasu, Dessau

Walter Gropius, 1924, edificio Bauhasu, Dessau pianta
La struttura, stante la complessità organizzativa delle funzioni che vi si svolgono, è articolata in due volumi principali a forma di parallelepipedo. In uno vi sono le aule per le lezioni teoriche e nell’altro i laboratori per le esercitazioni pratiche. Un lungo corpo sospeso su pilastri in calcestruzzo armato collega i due settori accogliendo anche gli uffici amministrativi e la segreteria Gli unici materiali visibili sono pertanto il vetro (che individuai vuoti), il ferro (che incornicia i vuoti degli infissi) e l’intonaco bianco (che corrisponde ai pieni della muratura). Questo estremo rigore non può non richiamare alla mente la bicromia brunelleschiana (bianco-intonaco e grigio-pietra serena); gli intenti di Gropius sono, del resto, quelli di semplificare e geometrizzare la propria architettura fino a renderla pura funzione. In conseguenza di ciò non esistono cornici né altri elementi decorativi non direttamente necessari alla struttura,e questa attinge il proprio valore estetico dalla razionale semplicità delle forme e dei rapporti tra pieni e vuoti.


Walter Gropius, 1924, edificio Bauhasu, Dessau

Walter Gropius, 1924, edificio Bauhasu, Dessau

Walter Gropius, 1924, edificio Bauhasu, Dessau
Nel gennaio del 1928, mentre critiche sempre più aspre si vanno concentrando sul Bauhaus, il cui stesso clima interno si è politicamente radicalizzato, Gropius lascia la scuola e nomina suo successore Hannes Meyer, dedicandosi unicamente alla professione. Per il Bauhaus il destino è segnato; la reazione di destra ne pretende lo smantellamento. Il sindaco di Dessau, nel tentativo disperato di difenderla, sostituisce nel 1930 il direttore Meyer, dichiaratamente marxista, con un architetto meno politicamente connotato, Ludwig Mies van derRohe, ma nell’ottobre del 1932 ciò che ancora resta della scuola è trasferito in un garage alla periferia di Berlino. L’ondata reazionaria ne sancisce la definitiva scomparsa nove mesi più tardi, con l’irruzione della polizia nella nuova sede e l’arresto di trentadue studenti. Nel 1933 l’ascesa al potere del nazional-socialismo chiude ogni spazio operativo per gli architetti moderni, che saranno costretti a emigrare. 

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