Fondamenti di Urbanistica - lezione 1

La pianificazione urbanistica é la disciplina che si occupa dell’organizzazione di un determinato ambito territoriale in vista della sua razionale utilizzazione.
Il processo di pianificazione si articola in tre fasi:

·         conoscitiva: consiste nello studio del territorio per acquisire gli elementi e le informazioni      che lo caratterizzano (storici, sociali, economici, geologici, etc...);

·         programmatica: identifica e definisce i bisogni ed i programmi di intervento;

·         progettuale: definisce gli strumenti urbanistici generali ed attuativi per la realizzazione dei   programmi.


L’urbanistica è una materia particolarmente complessa in quanto la programmazione e la progettazione del territorio, a monte, e la sua gestione e controllo, a valle, si scontrano con equilibri ed interessi economici e sociali di una certa rilevanza. La complessità della materia viene ulteriormente ad amplificarsi quando -come nel nostro Paese- la cornice normativa di riferimento risulta vecchia e disorganica. In Italia, la legislazione urbanistica è, infatti, evoluta lentamente e per grandi salti, dal 1942 ad oggi, determinando un quadro perennemente in ritardo rispetto ad analoghe esperienze europee e alquanto incerto che, soprattutto in sede di applicazione, disorienta non poco gli operatori del settore –amministratori, tecnici e privati cittadini.

L’EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE URBANISTICA IN ITALIA
PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI PRIMA DELLA LEGGE 1150/1942
L’urbanistica moderna nasce come tentativo di dare una risposta alle esigenze esigenze di organizzazione fisica e di organizzazione funzionale, nate dall’impetuoso e distorto sviluppo urbano seguito alla rivoluzione industriale. Da un lato c’è l’esigenza di evitare, o ridurre, il caos derivante dallo spontaneismo, dall’altro la necessità di programmare gli usi del territorio e di far sì che le trasformazioni, connesse allo sviluppo del sistema produttivo e ai conseguenti movimenti migratori della popolazione, avvengano secondo un disegno d’insieme. Si pone l’esigenza di regolare le trasformazioni fisiche e funzionali, e di valorizzare le proprietà fondiarie coinvolte nel processo di trasformazione. Per questo i primi strumenti di regolamentazione della crescita delle città sono legati alle leggi sull’esproprio

Legge n. 2359/1865
Per quasi un secolo rappresenta il primo testo legislativo a carattere generale in materia di urbanistica. Essa prevedeva, e prevede ancora oggi, che in caso di dichiarata pubblica utilità si potessero espropriare ai privati dei beni immobili (terreni e fabbricati ) per poter realizzare opere pubbliche (strade, ferrovie ed infrastrutture in genere, edifici pubblici ecc...). Per andare ad individuare tali opere (e poter quindi predisporre la dichiarazione di pubblica utilità), la suddetta legge introdusse la facoltà di redigere Piani Regolatori per i Comuni con oltre 10.000 abitanti. Accanto a questi sono inoltre introdotti i Piani di ampliamento per operazioni di ampliamento dell’aggregato urbano ai fini della salubrità e di una più “sicura, comoda e decorosa sua disposizione”
Legge n.2892/1885 per il Risanamento della città di Napoli
È una delle leggi che in quel periodo sono state promulgate per risolvere situazioni specifiche di singole città. Le gravissime condizioni igieniche di Napoli nei primi decenni di vita dello Stato unitario, e la situazione endemica di gravi malattie infettive resa evidente dall’ennesima epidemiadi colera, sollecitarono l’esigenza di risanare una vastissima area della parte più povera della città attraverso la demolizione dell’abitato esistente. Si introdusse così una una differente valutazione dell’indennità espropriativa, con un notevole aumento dei valori di indennizzo delle aree espropriate.

Dopo la fine della prima guerra mondiale vengono varate alcune disposizioni che portano ad intensificare la diffusione dello strumento del piano regolatore, anticipando i contenuti della legge nazionale del 1942. In particolare, decisive per la tutela dei beni culturali e ambientali furono le due leggi del 1939

Legge n. 1089/1939 per la tutela delle cose di interesse artistico e storico
Conosciuta anche come legge Bottai dal nome del suo relatore, è rimasta in vigore fino all’entrata in vigore del “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali” (a sua volta abrogato con l’entrata in vigore del Codice del Paesaggio D.Lgs. 42/2004), ma, stante la sua validità, molti dei suoi cardini restano introdotti nell’attuale Codice.
Art. 1. legge n. 1089/39
“Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi:a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d'interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio …
Legge n.1487/1939 sulla protezione delle bellezze naturali
Quest’ultima legge istituisce i piani territoriali paesistici. Alla protezione con mezzi esclusivamente vincolistici viene sostituita una pianificazione che preveda. 

Art. 1 legge 1497/39
“Sono soggette alla presente legge a causa del loro notevole interesse pubblico: 1. le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; 2. le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza; 3. i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; 4. le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.”

Sebbene per molto tempo ancora la tutela delle bellezze naturali sarà distinta dall’urbanistica, la legge 1487 ad una protezione esclusivamente vincolistica sostituisce una pianificazione che contempla la gestione di trasformazioni paesisticamente compatibili con l’istituzione dei Piani Territoriali Paesistici. In termini semplici e schematici, la legge individua aree soggette a vincolo (zone che vengono considerate di valenza paesaggistica) e le vincola. Tali vincoli saranno poi implementati negli anni con leggi specifiche. Ogni zona, in base alla tipologia di vincolo prevede anche specifiche azioni di tutela e i progetti presentati tali zone assoggettate a vincolo paesaggistico, devono ottenere una preventiva Autorizzazione Paesaggistica.


LEGGE N.1150/1942 LEGGE URBANISTICA NAZIONALE (O LEGGE FONDAMENTALE)
La legge 1150 del 17 agosto 1942 (legge Urbanistica Nazionale) è, di fatto, la prima (e unica considerando le successive modifiche e integrazioni) legge urbanistica italiana, che,  prevedendo organi, strumenti e mezzi disciplina: la disposizione e l’incremento edilizio dei centri abitati per un razionale assetto urbanistico territoriale.
La legge definisce un apparato legislativo che ha il compito di prevedere, regolare, controllare le trasformazioni che avvengono sul territorio ed in particolare individua un sistema rigidamente gerarchico di strumenti urbanistici organizzato su tre livelli che avrebbe dovuto garantire un completo e capillare controllo del territorio: il piano territoriale di coordinamento, con carattere di indirizzo, a livello regionale e provinciale, il piano regolare generale, con carattere di coattività intervenendo direttamente sulla proprietà privata, alla scala comunale e il piano particolareggiato, con carattere di esecutività, alla scala del quartiere o della porzione di territorio comunale, da attuarsi anche mediante esproprio di aree. La legge prevedeva inoltre, per i comuni di piccole dimensioni, anche un livello di pianificazione comunale esclusivamente regolamentativa (i piani di fabbricazione), poi abrogato. E' importante sottolineare che i piani regolatori, regolamentavano esclusivamente i centri abitati e le zone di espansione e, solo in queste aree, prevedevano l’obbligo della licenza edilizia.

Legge 765/1967 cosiddetta LEGGE PONTE
La legge ponte, nacque con lo scopo di sollecitare la formazione e l’approvazione degli strumenti urbanistici comunali, assicurando la loro rispondenza a criteri di corretta e razionale disciplina del territorio. Molto spesso, infatti, i Comuni, nella corsa all’edificazione che caratterizza il nostro paese nel dopoguerra, assecondano una eccessiva proliferazione edilizia (caratterizzata da densità elevate, limiti di altezza eccessivi, distacchi insufficienti e scarse dotazioni di spazi pubblici) che avrebbe poi portato al massacro urbanistico del nostro territorio.
In particolare la legge introduce: il divieto di lottizzare i terreni prima dell’approvazione del programma di fabbricazione o del piano regolatore generale, la modifica la disciplina delle lottizzazioni introducendo il piano di lottizzazione convenzionata; le sanzioni per abusi edilizi (in assenza di licenza o in contrasto con piano); l’onerosità della licenza edilizia con il pagamento da parte del privato degli oneri di urbanizzazione primaria e di parte di quella secondaria; l’estensione della gli standard urbanistici (la dotazione minima di spazio e attrezzature pubbliche per ogni nuovo abitante insediato); e gli standard edilizi (con indicazione della distanza minima delle abitazioni dalle strade e tra di loro, e di altezze massime).

Decreto Ministeriale 1444/68
La “legge ponte” venne approvata con un emendamento che ne rimandava l’attuazione di un anno; in quell’anno sono state rilasciate quasi il triplo delle licenze edilizie che venivano rilasciate mediamente ogni anno. Nel 1968 venne finalmente emanato il regolamento tecnico della legge 765 con Decreto Ministeriale n. 1444 che suddivide il territorio oggetto di pianificazione in zone omogenee e fissa i limiti minimi inderogabili per le dotazioni a standard.
Nell’ambito di ciascuna zona territoriale omogenea debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Nello specifico sono individuate 6 tipi di zone omogenee, così articolate

Zone Territoriali Omogenee
Dotazioni minime di standard
A) centri e zone di particolare pregio storico
La metà di quelle previste per le zone C
B) Zone di completamento
La metà di quelle previste per le zone C
C) Zone di espansione residenziale
Comuni >10000 ab: 18 m2/ab così suddivisi:
4,5 per istruzione e assistenza all'infanzia
2,00 per attrezzature di interesse collettivo
9,00 per verde, parchi, giardini, sport
2,50 per parcheggi pubblici (+1/10 di ve per parcheggi privati)

Comuni <10000 ab e zone residenziali con If<=1m3/m2: 12 m2 con 4,00 per istruzione

In zone paesaggisticamente delicate la dotazione di verde aumenta a 15,00 m2/ab
D) Zone per insediamenti produttivi
Una superficie >= 10% va destinata ad attività collettive, verde e parcheggi
E) Zone agricole
6,00 m2/ab per attività collettive ed istruzione
F) Zone per attrezzature di interesse generale
1,50 m2/ab per istruzione superiore
1,00 m2/ab per atterzzature sanitarie
15,00 m2/ab per parchi urbani e territoriali

Si intende per standard urbanistici la determinazione delle quantità minime di spazi pubblici o di uso pubblico, espresse in metri quadrati per abitante, che devono essere riservate nei piani, sia generali che attuativi.

Legge n.865/1971 cosiddetta LEGGE SULLA CASA
La legge stabiliva l’impiego unitario dei fondi stanziati per l’edilizia economica e popolare, con un coordinamento a livello nazionale tramite il CER (Comintato Edilizia Residenziale) e l’effettiva distribuzione affidata alle Regioni, in base a piani di localizzazione da esse approvati. Veniva anche prevista la creazione di Consorzi regionali degli IACP, il loro riordinamento e la determinazione dei canoni di affitto e delle quote di riscatto. Gli elementi fondamentali della legge 865 riguardano i problemi di pianificazione del territorio. Venivano ampliate le possibilità di intervento dei Comuni, consentendo l’espropriazione delle aree, edificate e non, per la formazione non solo dei PEEP, ma anche di Piani per gli Insediamenti Produttivi (PIP). Veniva inoltre stabilito che le aree PEEP possono coprire fino al 60% del fabbisogno totale di edilizia abitativa per un decennio. Innovazioni importanti contenute in questa legge sono l’estesa introduzione del diritto di superficie, con conseguente proprietà del bene edificato, su un terreno che rimane di proprietà altrui. Queste norme miravano evidentemente ad aumentare lo spazio a disposizione dell’edilizia pubblica, nell’intento di ridurre il peso della speculazione fondiaria.  L’indennità venne riferita non più al valore di mercato delle aree, ma al loro valore intrinseco. Nelle aree esterne ai centri edificati l’indennizzo veniva posto pari al valore agricolo medio corrispondente alle colture in atto nell’area da espropriare, con un raddoppio a favore del proprietario diretto coltivatore. Nelle aree comprese nei centri edificati e nelle zone delimitate come centri storici, veniva assunto come base il valore agricolo medio della coltura più redditizia fra quelle praticate nell’intera regione agraria. Tale valore doveva essere moltiplicato per un coefficiente (tra 1 e 5) per tenere conto dell’andamento di mercato delle aree.

Legge n.10/1977 cosiddetta LEGGE BUCALOSSI
Con l'approvazione della Legge 28 gennaio 1977, n. 10 il legislatore intese affermare nuovi principi in tema di edificabilità dei suoli. La facoltà di edificare NON doveva esser più ritenuta come essenzialmente collegata al diritto di proprietà del fondo e sarebbe stata di volta in volta concessa al privato alla fine di un procedimento amministrativo che avrebbe avuto inizio con la presentazione di una richiesta di concessione. Non a caso la legge non parlava più di licenza edilizia o di autorizzazione, bensì di provvedimento concessorio. Mentre la licenza era, concettualmente, la rimozione di un ostacolo ad esercitare un proprio diritto, la concessione si pone come attribuzione di un diritto di cui il soggetto non è in precedenza titolare. La concessione era comunque un atto dovuto, ogniqualvolta l'intervento edilizio per cui era richiesta poteva essere considerato conforme alle prescrizioni dei piani urbanistici, ed era connotata dall' irrevocabilità, dalla trasferibilità unitamente all'area per la quale viene rilasciata nonché dall'onerosità. Quest'ultimo carattere implicava che il rilascio fosse effettuato dietro la corresponsione di un contributo correlato alle spese di urbanizzazione primaria e secondaria ed ai costi di costruzione, essendo stato affermato il principio secondo il quale qualsiasi attività che comportasse trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale dovesse partecipare ai costi ad essa relativi. La concessione è infatti onerosa per due motivi: per ragioni urbanistiche, in quanto creando nuovi insediamenti l'amministrazione pubblica deve creare le infrastrutture che soddisfino le esigenze delle nuove opere (oneri di urbanizzazione) e per ragioni fiscali, infatti viene posta una tassa non motivata (oneri di concessione), calcolata in percentuale rispetto al costo di costruzione. In via straordinaria gli oneri di urbanizzazione possono essere tradotti in opere di interesse pubblico che dovranno essere realizzati durante la costruzione dell'edificio. Gli oneri di concessione dovranno invece sempre essere pagati in denaro.
In via ordinaria la concessione dura 3 anni, pertanto se non viene completata l'opera entro tale limite il richiedente deve richiederne un'altra e pagare nuovamente gli oneri legati al suo rilascio. I lavori inoltre devono iniziare entro 1 anno dal rilascio della concessione che deve essere immediatamente pagata.
OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA (opere a rete necessarie per il corretto funzionamento del quartiere o della parte urbana): 1. strade residenziali 2. spazi di sosta o di parcheggio pubblico; 3. fognature; 4. rete idrica; 5. rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; 6. rete di pubblica illuminazione; 7. spazi di verde attrezzato.
OPERE DI URBANIZZAZIONE SECONDARIA: 1. asili nido e scuole materne; 2. scuole dell’obbligo; 3. mercati di quartiere; 4. delegazioni comunali; 5. chiese e altri edifici per servizi religiosi;6. impianti sportivi di quartiere; 7. centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; 8. aree verdi di quartiere.

Legge n. 457/78 Norme per l’edilizia residenziale
La legge è una legge quadro, che riepiloga e sintetizza le normative precedenti in ambito di edilizia economica e popolare (a partire dalla legge 167/62), ma è in particolare nel titolo IV che viene introdotto il concetto di recupero del patrimonio edilizio esistente, prevedendo che i piani urbanistici individuino zone dove il rilascio della concessione edilizia sia subordinato alla redazione di uno specifico piano attuativo chiamato piano di recupero.Tale strumento si presenta come uno strumento semplice, invogliando al suo utilizzo, in quanto la legge non prescrive cose specifiche, ma lascia libertà di interpretazione, inoltre viene data una corsia privilegiata per la formazione del piano, in quanto la sua approvazione compete solo al consiglio comunale, e non come gli alti strumenti attuativi che a quei tempi dovevano essere approvati anche a livello regionale.
Nell'articolo 31 della legge viene definito cosa si intende in Italia per intervento di recupero. Si individuano in particolare 5 tipologie di interventi che vanno dal leggero al pesante e che sono: così definite:
a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli rivolti al mantenimento in efficienza dell’edificio. Riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti. Gli interventi di manutenzione ordinaria non sono soggetti ad autorizzazione;
b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Gli interventi di manutenzione straordinaria devono essere segnalati all'Ufficio Tecnico comunale presentando una denuncia di inizio attività (DIA) firmata dal proprietario o da un avente diritto e asseverata da un tecnico abilitato;
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;
d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti;
e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

Legge n.431/1985 cosiddetta LEGGE GALASSO
La legge Galasso è stata una delle leggi più importanti per la tutela dell'ambiente e rimane la più importante per la difesa del territorio nella sua totalità. Il territorio viene considerato nel suo insieme ed in riferimento ad ogni sua componente. Si considera una legge contenitore che, oltre alla tutela del territorio, crea un percorso normativo di base per tutta la normativa ambientale. La legge obbliga, infatti, le Regioni alla redazione di un piano paesaggistico che impone su diversi territori -individuati per morfologia e senza la necessità di procedimenti formali da parte dell’amministrazione pubblica- il vincolo paesaggistico-ambientale il quale, include il vincolo derivante dalla legge 1497/1939 e non va considerato come un divieto assoluto di edificabilità o di modifica del territorio in generale, ma come un vincolo legato a un più severo regime di autorizzazioni. Oltre alla concessione edilizia del Comune, infatti, è necessario anche un nulla osta della Regione, che è l'ente che gestisce il vincolo e alla quale è demandato il compito di preservare il territorio territori con un vaglio attento sulle opere da realizzare.

In particolare sono vincolati dalla legge Galasso:

a. i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b. i territori contermini ai laghi  compresi  in  una  fascia  della  profondità  di  300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c. i fiumi, i  torrenti  ed  i  corsi d'acqua  iscritti negli  elenchi di  cui  al  testo unico delle disposizioni di  legge  sulle acque ed  impianti elettrici, approvato con Regio decreto 11-12-1933, n. 1775, e  le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; 
d. le montagne per la parte  eccedente  1.600 metri  sul  livello  del mare  per  la  catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e. i ghiacciai e i circhi glaciali;
f. i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g. i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;
h.  le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i.  le zone umide  incluse nell'elenco di  cui  al decreto del Presidente della Repubblica 13-3-1976, n. 448 (…)
j.  i vulcani;
k.  le zone di interesse archeologico.

Nel caso di abusi non è prevista la possibilità di ottenere concessioni edilizie in sanatoria e, unitamente alle sanzioni pecuniarie, è previsto il ripristino dello stato dei luoghi a carico di colui che commette l'abuso.

Legge n. 179/1992
Tale legge introduce il principio della concertazione nella pianificazione urbanistica tramite i programmi integrati di intervento. Essi vengono definiti all’art. 16 della legge come metodi eccezionali della pianificazione urbanistica derivanti dall’accordo tra istituzioni pubbliche e privati sull’attuazione degli interventi programmati. Ulteriori metodologia di concertazione sono poi state previste dalla legge 669/1996.

LE SANATORIE EDILIZIE
Legge n.47/1985 cosiddetto PRIMO CONDONO
Si poneva come una provvisoria legge-quadro in materia urbanistico/edilizia, ma la sua maggiore conseguenza è stata quella di ammettere al condono edilizio tutti gli abusi realizzati fino al 1/10/1983. Per i  manufatti costruiti in aree a vario titolo vincolate il rilascio della concessione (o autorizzazione) in sanatoria era subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela. L'art. 13 della medesima legge 47/1985 prevedeva, inoltre, la possibilità di una sanatoria attraverso un accertamento di conformità, da effettuare entro stretti limiti temporali correlati alle ordinanze dei sindaci, "e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative", in base al quale le opere abusive potrebbero essere sanate, qualora esse fossero conformi agli strumenti urbanistici vigenti. Si tratta, come si vede, di cosa assolutamente diversa dal condono (che è un provvedimento eccezionale e tombale, in quanto porta tendenzialmente a legittimare tutti o quasi gli abusi). La sanatoria è invece un istituto permanente, che può essere invocato per quelle opere che - per qualche invero strana ragione - non hanno ottenuto la concessione edilizia, anche se avrebbero potuto ottenerla benissimo (si tratta evidentemente di rari casi, ovvero di abusi di piccole dimensioni). In seguito, è emerso il problema che nelle normative di tutela paesaggistica non esisteva una norma equivalente, di conseguenza nelle zone vincolate (il 47% del territorio nazionale) la sanatoria edilizia risultava inapplicabile, in quanto subordinata all'ottenimento, impossibile, dell'autorizzazione ambientale.
Legge n.724/1994 "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" cosiddetto SECONDO CONDONO
Riapre i termini della precedente legge 47/1985, estendendoli agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Vengono tuttavia introdotte alcune limitazioni: che le opere non abbiano comportato un ampliamento superiore al 30% della volumetria originaria, ed in ogni caso non superiore a 750 mc. Lo stesso limite volumetrico si applica alle nuove costruzioni, "per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria" (il che consente di condonare anche le lottizzazioni abusive). Resta fermo per le zone vincolate l'obbligo di acquisire preventivamente l'autorizzazione dell'autorità preposta. In più, l'ultimo periodo del 4° comma stabilisce anche il silenzio-assenso in caso di perdurante inerzia comunale.
d.l. 269/2003 cosiddetto TERZO CONDONO
Il terzo condono trova la sua fonte principale nell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326. Traccia tutta la procedura amministrativa concernente la sanatoria: termini, contributo concessorio, silenzio assenso, vincoli, indifferenza rispetto al diritto dei terzi, effetti della sanatoria su procedimenti penali. Si stabilisce la data dell’abuso e la quantità massima di costruzione condonabile (30 % della volumetria esistente, 750 metri cubi del nuovo). La Corte Costituzionale aveva imposto al legislatore statale, di lasciare più spazio alla competenza legislativa delle regioni e mentre la legge statale, in ossequi ai criteri dettati dalla Corte costituzionale, si era preoccupata: • di disciplinare la valenza delle domande di condono nel frattempo presentate sulla base del decreto legge n. 269 del 2003 istitutivo del terzo condono; • di congelare i procedimenti di condono in corso e non ancora conclusi allo scopo di consentire alle regioni di esplicare il potere normativo; si è venuta sviluppando tutta una serie di leggi regionali.


LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
Legge n.59/1997 cosiddetta LEGGE BASSANINI. “Riforma della Pubblica Amministrazione, semplificazione amministrativa mediante il conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle Regioni e agli Enti locali”.
La legge individua le materie e le funzioni che devono rimanere in capo allo Stato e quei compiti di rilievo nazionale, delimitati con riferimento a specifiche materie (protezione civile, difesa del suolo, tutela dell’ambiente e della salute, etc., come definiti dall’art. 1, co. 4, lett. c), che devono essere individuati previa intesa tra Governo e Conferenza Stato-Regioni. Mentre i restanti compiti e funzioni devono essere conferiti alle regioni e agli enti locali.

Legge di riforma costituzionale n°3/2001. ”Modifica del titolo V”
Con la modifica del Titolo V della Costituzione è attribuita alle Regioni ciascuna materia che, non rientra nella potestà esclusiva dello Stato. L’attuale art. 117, comma 3 della carta costituzionale annovera tra le materie di competenza legislativa concorrente (per le quali spetta alle Regioni legiferare, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali che spettano invece allo Stato) il governo del territorio.. In questo modo si è voluta abbracciare un’ottica di multi-level governance di stampo tipicamente europeo, per cui diversi livelli di governo possono intervenire nella formulazione e nella gestione di politiche di impatto generale.

Art. 118 della Costituzione della Repubblica Italiana
“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”

I Comuni sono confermati soggetti primari del governo del territorio, ad eccezione delle competenze attribuite in via espressa alle Regioni e alle Province, mentre allo Stato sono riservate la programmazione e la pianificazione delle reti infrastrutturali di interesse nazionale, la definizione della normativa tecnica, nonché l’individuazione dei livelli minimi degli standard urbanistici.
Il 2 marzo 2007 è stata presentata la proposta di legge n. 2319 contenente i “principi fondamentali per il governo del territorio”. In essa vengono enunciati diversi articoli contenenti i principi che informano la pianificazione urbanistica e territoriale: sostenibilità, tutela, sicurezza, sussidiarietà, adeguatezza, trasparenza, democrazia, equità e legalità del territorio. Relativamente ai rapporti fra gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, questi sono ora improntati al principio di coerenza, concetto più ampio che sostituisce quello tradizionale di conformità e implica il rispetto degli obiettivi e degli indirizzi fissati dal piano sovraordinato.
Attualmente non è ancora stata varata una disciplina armonica e coerente dei principi fondamentali dell’urbanistica, né del governo del territorio. Finché non vi sarà una legge-quadro dello Stato in tema di governo del territorio che modifichi i principi fondamentali della materia, tutte le leggi regionali in tema di pianificazione territoriale dovranno continuare a rispettare i principi fondamentali ricavabili dal complesso di disposizioni legislative statali al momento vigenti.

Legge .Regionale. n°20/2000 [EMILIA ROMAGNA]  "Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio"
Una delle prime Regioni a elaborare una propria legge per il governo del territorio è stata l’Emilia Romagna che, per la prima volta, articola il piano in diversi strumenti di pianificazione, separando gli aspetti strutturali di tutela validi a tempo indeterminato e le scelte strategiche di medio lungo termine dalle previsioni operative ed attuative più flessibili e dagli aspetti regolamentari. Il vecchio Piano Regolatore Generale (PRG), pur rimanendo immutato nei contenuti, viene dunque sostituito da uno strumento urbanistico diviso i tre parti,:

Piano Strutturale Comunale (PSC): individuazione degli ambiti, dei vincoli ambientali, dei vincoli storici e delle principali infrastrutture
Piano Operativo Comunale (POC): individuazione delle aree soggette a PUA (Piani Urbanistici Attuativi) e interessate da opere pubbliche
Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE): individuazione delle aree ad intervento diretto sia nel territorio urbano sia nel territorio rurale


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