LA RISPOSTA ALL’ECLETTISMO
Per tutto l’Ottocento l’architettura,
pur con motivazioni diverse, si era caratterizzata per il revival storicistico.
Alla lunga, tale ossessiva applicazione di forme senza alcuna ispirazione,
iniziò a mostrare la sua stanchezza. Assillata dalla produzione industriale che
aveva invaso il mercato con finte colonne doriche, fregi corinzi, profili
rinascimentali e pseudo capitelli, portando al livellamento verso il basso
della produzione artistica e alla scomparsa della tradizione artigianale, la
critica architettonica inizia a interrogarsi sul ruolo che può avere
l’artigianato, in un’epoca in cui tutto può e deve essere prodotto in serie: come devono essere ridefiniti, in questa
nuova prospettiva, il bello e il vero?
La domanda ha un risvolto estetico e
pratico, ma soprattutto morale in quanto investe il progetto di società che si
vuole realizzare, un equilibrio di valori senza i quali perde senso ogni
ragionamento di edilizia o di urbanistica.
Abbandonata la grammatica degli stili,
l’architettura torna così a rivolgersi ai suoi elementi costitutivi che sono il
piano, il volume, la linea e il gioco delle funzioni. È la riscoperta del valore delle forme, di una storia non da copiare, ma
da assimilare nei suoi principi costitutivi, ed è soprattutto nel campo della progettazione residenziale che si
delinea un modo di vedere comune. Le abitazioni realizzate in questi anni,
infatti, al di là di specifici aspetti stilistici, condividono le stesse
preoccupazioni di onestà strutturale,
di uso di materiali naturali, di integrazione nell’ambiente naturale, di
articolazione volumetrica, di prevalenza per la dimensione orizzontale,
di assenza di decorazioni
classicheggianti. Gli interni sono liberamente disposti, senza gerarchie,
con ambienti concatenati, proiettati all’esterno tramite bovindi o centrati
all’interno sull’elemento simbolico del camino.
L’ART AND CRAFTS
Ancorata l’architettura alla rappresentazione
di valori morali, i protagonisti di questi anni si rivolgono alla tradizione
delle Arts and Crafts. (letteralmente
arti e mestieri, ma in italiano generalmente chiamate arti applicate o arti
decorative) definizione attribuita a quell’universo di tessuti stampati e di
carta da parati, di legni intagliati e di ferri battuti, di gioielli incisi a
bulino e di vetri smaltati tipici della produzione pre-industriale, ma che
voleva anche essere una dichiarazione di intenti: ricostituire, attraverso l’artigianato artistico, un ideale microcosmo
produttivo e quindi sociale. Nella lettura idealizzata che si era diffusa
in Inghilterra già a partire dagli anni venti dell’Ottocento, la società
medievale appariva, infatti, immune dai conflitti tipici del mondo
industrializzato: il cantiere della cattedrale e, a una scala ridotta, la
bottega dell’artigiano costituivano un modello di organizzazione del lavoro nel
quale ideatori e artefici si sovrapponevano in una operosa collaborazione.
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Manifesto di un'esposizione Art and Crafts |
Fra coloro che a metà dell’Ottocento
tentarono di riprodurre quello schema virtuoso, William Morris (1834-96) investì ogni propria energia nella
rinascita dell’artigianato artistico, un’idea che condivise con il teorico
dell’architetura John Ruskin, con il pittore preraffaellita Edward Coley
Burne-Jones e con l’architetto Philip Webb (1831-1915). Nel suo pensiero la
nuova affermazione della qualità del lavoro e dell’oggetto d’uso aveva una
connotazione etico-politica e si collocava nella prospettiva di un superamento
del principio capitalistico del profitto.
Insieme a Webb, Morris progettò tra il
1858 e il 1859 la propria abitazione, la
Casa rossa a Bex ley Heath, nel Kent considerata, per le sue innovazioni
linguistiche ed il distacco dalla tradizione, come il capolavoro che sta all'origine dell'architettura moderna.
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the Red House |
Concepita
come un manifesto rappresentativo dei propri ideali la casa Rossa diventa il
laboratorio privilegiato per sperimentare nuove modalità progettuali e
produttive. Nella casa infatti la dimensione pratica deve necessariamente
raccordarsi a quella estetica configurandosi come un’opera d’arte totale che partiva dagli interni (Morris lavorò
insieme ad altri artisti alla realizzazione degli arredi e di tutti gli oggetti
d’uso) e si rifletteva all’esterno: la pianta asimmetrica, che corrisponde a
una articolazione non classica dei vani, fu disegnata dall’architetto per
assolvere al meglio le funzioni abitative e tradurre in forme costruite il
concetto di comfort e le facciate non costituivano più un tema a sé stante,
come invece accadeva nell’architettura in stile, tipica dell’Eclettismo; sono
infatti lasciate in mattoni a vista e prive di decorazioni, mentre è curata la
continuità con l’architettura domestica inglese e l’integrazione con il sito.
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the Red House, piante |
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the Red House, disegni per la copertura |
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the Red House, gli interni |
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the Red House, gli interni |
Nei suoi tentativi di contrastare la
produzione seriale con oggetti artigianali di qualità, il movimento delle Arts
and Crafts incappò ben presto nell’insormontabile ostacolo dei costi: le
lavorazioni contraddicevano le regole dell’economia industriale e,
contrariamente agli scopi originari di carattere egualitario –prodotti
accessibili a chiunque-, le società per le arti minori dovevano rivolgersi, per
sopravvivere, al mercato del lusso, trovando paradossalmente il loro unico
interlocutore nell’alta borghesia, spesso di origine industriale. Gli ideali
del movimento persero così parte della loro primitiva impronta socialista -dare
abitazioni decorose alla classe operaia- e si tradussero in un modo di
costruire che incontrava il gusto delle classi medie emergenti e che fu
adottato dai progettisti più affermati. Si affermò così quel genere di
abitazioni tipico dell’ultimo Ottocento inglese con stile semplice e pianta
libera, cesterni caratterizzati da coperture con spioventi molto accentuati,
cornicioni sporgenti e frontoni appiattiti e con interni dai toni omogenei,
mobili in legno di quercia e decorazione minima.
L'espressione Art nouveau fu utilizzata
per la prima volta nel 1894 per identificare la produzione artistica di Henry
van de Velde, tuttavia in quegli anni i forti sentimenti nazionalistici si
rifletteranno anche sui nomi che identificheranno il nuovo stile nei vari
stati: Liberty in Inghilterra, Art Noveau in Francia e Belgio, Jugendstijl in Germania, Secessione in Austria, stile floreale in Italia e Modernismo in Spagna.
L'Art Nouveau si configurò come stile ad
ampio raggio, che abbracciava i più disparati campi: architettura, decorazione
d'interni e urbana, gioielleria, mobilio e tessuti, utensili e oggettistica,
illuminazione, arte funeraria. Il movimento si ispirò all’ideologia estetica
anglosassone delle Arts and Crafts, che aveva posto l'accento sulla libera
creazione dell'artigiano come unica alternativa alla meccanizzazione e alla
produzione in serie di oggetti di dubbio valore estetico, ma successivamente
rielaborò quei principi e cercò nell'industria un alleato piuttosto che un
nemico, dando alla progettazione il ruolo di premessa indispensabile ad ogni
intervento creativo ed aprendo la strada al design e all'architettura moderni. Un
punto importante per la diffusione di quest'arte fu l'Esposizione Universale
del 1900, svoltasi a Parigi, nella quale il nuovo stile trionfò in ogni campo.
Ma il movimento si diffuse anche attraverso altri canali: la pubblicazione di
riviste, soprattutto dedicate al pubblico femminile, e l'istituzione di scuole
e laboratori artigianali.
Per l’architettura, questo nuovo stile
internazionale, costituì un significativo elemento di rottura. Per la prima volta nel corso dell’Ottocento
il riferimento non fu più agli stili del passato, che avevano variamente
caratterizzato l’Eclettismo, ma alla natura
e alla geometria come sorgenti di forme –in primo luogo la linea curva –
che se trasferite all’architettura ne garantiscono la leggibilità da parte di
tutti.
La comprensione dell’architettura, così
come la intendevano i progettisti che a diverso titolo si riconobbero nell’Art
Nouveau, non è tuttavia fondata sulla razionalità, ma piuttosto sull’empatia
che queste forme suscitano nello spettatore. La capacità di controllo del progettista su ogni dettaglio che avrebbe
contribuito a un’esperienza estetica priva di interferenze da parte del mondo
esterno assunse pertanto un’importanza
cruciale e molti protagonisti di questa stagione, come il belga Henry van
de Velde o lo scozzese Charles Rennie Mackintosh, si dedicarono anche alle arti
applicate disegnando arredi e oggetti di uso quotidiano. Alla predilezione per
la produzione artigianale si associò perfino il tentativo di piegare a finalità
prima di tutto estetiche anche i nuovi materiali, come ferro, ghisa, alluminio,
vetro e addirittura il cemento, altrimenti associati al progresso industriale.
L’ESPERIENZA BELGA E FRANCESE
Il primo grande interprete della nuova
stagione in architettura fu Victor Horta
(1861-1947) che, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bruxelles venne
nominato nel 1892 professore di architettura nella locale università. Sempre a
Bruxelles realizzò il suo primo edificio pubblico e la sua opera più incisiva,
dal punto di vista architettonico e sociale la Maison du Peuple (Casa del Popolo) edificata tra il 1896 e il 1898
per il partito socialista belga -il progettista era infatti vicino alle
posizioni del socialismo riformista e intendeva contribuire attraverso il
proprio lavoro alla sua affermazione.
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Maison du peuple, la facciata in una foto d'epoca |
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Maison du peuple, la facciata in una foto d'epoca |
In questo edificio (demolito nel 1965), che
ben riflette i cardini dell’architettura di Horta, le strutture in ferro e
vetro vengono esibite, sia in facciata sia negli interni, come materiali di per
sé legati alla società industriale e quindi al progresso materiale. La
facciata, che riporta sul coronamento in ferro le parole d’ordine e i nomi
degli eroi del socialismo, alterna concavità e convessità per adattarsi all’andamento
della strada ed è quasi interamente vetrata: una scelta che proclama nei fatti
come aria e luce siano un diritto di tutti. La Maison du Peuple ospitava,
inoltre, un grande caffè e un auditorium da duemila posti, rispettivamente a
piano terra e all’ultimo piano, che nella loro spazialità monumentale e nella
valenza scultorea assegnata alle strutture, materializzano l’intenzione di
edificare una cattedrale laica, la cui missione era di mettere a disposizione
di ciascuno il progresso estetico e tecnico.
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Maison du peuple, sezione |
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Maison du peuple, dettaglio della facciata |
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Maison du peuple, dettaglio della soluziome d'angolo |
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Maison du peuple, la scala d'ingresso |
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Maison du peuple, la scala interna |
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Maison du peuple, la sala da caffè |
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Maison du peuple, l'auditorium |
La cultura dell’Art Nouveau arrivò in
Francia direttamente dal Belgio e il suo più originale esponente in
architettura fu Hector Guimard che, fortemente
suggestionato dal razionalismo neogotico e dall’attenzione agli aspetti strutturali
di Viollet-le-Duc, realizzò gli accessi
delle 141 stazioni della metropolitana parigina, molti dei quali ancora
oggi in uso e caratterizzati da forme ricavate dal mondo vegetale; sicuramente
tra le sue opere più conosciute. Tutti i principali elementi strutturali -
pensiline, balaustre e lampioni- sono in ghisa, vetro e ceramica e tutti
prefabbricati in modo da poterli usare in differenti combinazioni nelle diverse
stazioni.
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Hector Guimard, pensilina della metropolitana di Parigi |
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Hector Guimard, pensilina della metropolitana di Parigi |
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Hector Guimard, pensilina della metropolitana di Parigi, dettaglio dei lampioni |
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Hector Guimard, elemento prefabbricato in ghisa |
L’applicazione del nuovo linguaggio artistico a un ambiente popolare
come gli ingressi della metropolitana contribuì enormemente alla diffusione in
Francia dell’Art Noveau che venne ribattezzata style Métro.
Nel clima parigino dell’Art Nouveau vennero
tuttavia realizzati anche i primi edifici d’abitazione con struttura in cemento
armato. Pioniere dell’applicazione della nuova tecnica fu Auguste Perret (1874-1954), architetto e imprenditore edile. La volontà
di spostare l’attenzione dalle questioni di stile alle questioni strutturali e
costruttive è evidente nel suo capolavoro: la
Casa ad appartamenti di Rue de Franklin (1903), la cui forza risiede nella
dimostrazione delle immense possibilità offerte dalla nuova tecnica. A causa
delle limitate dimensioni del lotto, infatti, tutto l’edificio è proiettato
verso la luce grazie a una rientranza nel prospetto pubblico e questa soluzione,
insieme alla massimizzazione delle superfici finestrate, fu resa possibile proprio
dall’uso della struttura a scheletro in cemento armato, che consentiva anche il
massimo sfruttamento dei ridotti spazi interni, dal momento che eliminava la
necessità di spessi muri portanti. La presenza di decorazioni floreali, che
segnalano l’influenza dell’Art Nouveau, è accessoria e resta nettamente
distinta dalla struttura che è invece rivestita con listelli lisci di ceramica.
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casa d'appartamenti in Rue Franklin, facciata |
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casa d'appartamenti in Rue Franklin, pianta |
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casa d'appartamenti in Rue Franklin, dettaglio della facciata |
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casa d'appartamenti in Rue Franklin, dettaglio del rivestimento |
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Tra il 1908 e il 1909 il ventunenne Le
Corbusier lavora come disegnatore presso il suo studio che, nel frattempo, è
diventato uno dei principali punti di diffusione della costruzione in cemento
armato in Francia. L’esperienza lo segnerà profondamente, imponendogli una
radicale riflessione che lo condurrà, negli anni venti, a tradurre in precetti
estetici le possibilità offerte dalla nuova tecnica: nasceranno i cinque punti
dell’architettura moderna.
LA
GLASOW SCHOOL OF ART
Nel mondo anglosassone il rinnovamento
della progettazione passò soprattutto attraverso l’architettura domestica. La
ricerca sui caratteri storici della casa di campagna inglese aveva portato alla
valorizzazione dei materiali tradizionali (legno, pietra, mattone a vista) e
alla rivisitazione di elementi legati agli usi locali (portico, tetto a falde
ripide). Tra gli architetti influenzati da questa riscoperta fu Charles Rennie Mackintosh (1868-1928),
la cui fama è legata all’ampliamento della Glasgow
School of Art (“Scuola d’arte di Glasgow”), dove lavorò come insegnante. Il
progetto, realizzato in due fasi (1896-97 e 1907-08), combina tradizione e novità
in una brillante sintesi legata all’idea tipicamente Art Nouveau di assimilare
l’edificio a un’opera d’arte totale, dove ogni dettaglio è disegnato
dall’architetto e dove nella concezione degli spazi è cruciale lo studio
dell’illuminazione naturale.
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Glasgow School of art, facciata principale |
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Glasgow School of art, dettaglio sull'ingresso |
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Glasgow School of art, facciata ovest |
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Glasgow School of art, lampione |
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Glasgow School of art, la biblioteca |
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Charles Rennie Mackintosh, sedia |
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Charles Rennie Mackintosh, poltrona |
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Charles Rennie Mackintosh, credenza |
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Il progetto colpisce per la semplicità e
la funzionalità degli spazi interni, la cura del dettaglio e per l’introduzione
di accorgimenti tecnici moderni quali il riscaldamento e la ventilazione
forzata. È caratterizzato da un elegante prospetto in cui pietra e vetro si
alternano in un raffinato gioco tra simmetria e asimmetria, tra matericità e
trasparenza. I valori plastici sono rafforzati da alcuni calibrati aggetti: il
bow window della guardiola e del bagno del secondo piano e, infine, la
torretta. Il balcone, che lega questi partiti, sottolinea l’ingresso
all’edificio e determina una cesura visiva rispetto alla verticalità delle
sequenze chiaroscurali per controbilanciarle lungo l’orizzontale.
Con i suoi massicci muri in pietra su
cui si innestano stretti corpi finestrati in aggetto, ai quali si alternano le
grandi vetrate delle aule, la scuola divenne subito il manifesto di
un’architettura che riusciva a essere innovativa e insieme a rivendicare la
propria appartenenza a una tradizione locale, evocata nei materiali così come
nelle forme dell’edificio.
L’ARCHITETTURA DI FINE SECOLO IN
CATALOGNA E IN OLANDA
Un personaggio di grande autonomia e
originalità all’interno del panorama dell’architettura di fine secolo è il
catalano Antoni Gaudí (1852-1926); attivo
essenzialmente nell’area di Barcellona, fu l’ideatore di un’architettura
fantastica e intensamente espressiva nella quale convivono arte, poesia,
industria e artigianato e le forme sono caricate di un’inimitabile esuberanza scultorea.
La sua è una ricerca orientata verso tre
poli: della verità strutturale, della perizia artigianale, dell’apertura
simbolica. Della verità strutturale perché è il solo modo intelligente per
mettere insieme i materiali, per farli lavorare secondo le loro reali caratteristiche.
Della perizia artigianale perché è il lavoro dell’uomo che rende gli oggetti
degni di attenzione e, umanizzandoli, li trasforma in beni. Ecco il motivo per
cui adopererà materiali poverissimi, quali pezzi di mattonelle, mattoni mal
cotti, pietre spezzate: più la valorizzazione è difficile, più il lavoro è
meritorio. Dell’apertura simbolica, perché nulla ha senso se esprime solo se
stesso, se non si collega ad altro e, in particolare, al trascendente –Gaudì
era un devoto credente e di recente si è avviato il processo per la sua
beatificazione. È nella sovrabbondanza dei significati, che trionfa la
ricchezza del creato. Motivo per il quale una chiesa può assomigliare ad un
termitaio e a una cattedrale gotica allo stesso tempo.
La sua scatenata fantasia spaziale che
si manifesta già dalle prime opere. Il
Palazzo Güell a Barcellona (1888), liberamente ispirato all’architettura
medievale, si svolge intorno a un prodigioso vuoto centrale, la casa Battlò (1904-1907) è rivestita
da incrostazioni di mosaici e maioliche colorate fino al coronamento,
realizzato con tegole di ceramica vetrificata colorata mentre la casa Milá presenta facciate
caratterizzate da concavità e convessità che richiamano un rilievo roccioso (da
qui la denominazione di Pedrera, “cava di pietra”, con cui è nota).
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Casa Battlo, facciata |
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casa Battlo, dettaglio della facciata |
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casa Battlo, dettaglio della copertura |
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casa Battlo, dettaglio della copertura |
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Casa Milà, facciata |
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casa Milà, dettaglio della facciata |
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casa Milà, i comignoli in copertura |
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casa Milà, le corti interne |
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casa Milà, le corti interne |
Ogni
dettaglio è subordinato all’ottenimento di un effetto plastico: dal ruvido
bugnato della parete ai pesanti pilastri in pietra, alle balaustre in ferro.
Asimmetria e irregolarità dominano le piante degli appartamenti, che sono uno
diverso dall’altro per forma, dimensioni e orientamento dei locali. Alla
sommità dell’edificio, il tetto adibito a terrazza è animato dalla varietà dei
comignoli scultorei che vagamente ricordano i giochi elicoidali della cupola di
Sant’Ivo di Borromini. Arcaica sino al paradosso è, infine, la chiesa della Sagrada Famiglia (iniziata nel 1883, ma
la cui costruzione è ancora in corso, come in un immenso cantiere medioevale)
che propone ancora una volta l’originale commistione d’influenze neogotiche e
moderniste che caratterizzano l’opera dell’architetto. Esasperante, eccessiva, certo fuori misura
nella sua fusione di architettura e scultura, la cattedrale esplora nuove possibilità
simboliche che aggrediscono il nostro sistema di valori con un potere
comunicativo che di rado le opere di architettura riescono a raggiungere.
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La Sagrada Famiglia |
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la Sagrada Famiglia, dettaglio della facciata |
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la Sagrada Famiglia, interno della facciata |
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la Sagrada Famiglia, volta della navata |
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la Sagrada Famiglia, vista dall'alto |
Contemporaneo di Gaudí è l’olandese Hendrik Petrus Berlage (1856-1934) che
concentrò la propria ricerca sugli aspetti costruttivi e sulle qualità dei
materiali avviando il rinnovamento dell’architettura dei paesi bassi.
L’architettura più nota della sua lunga carriera professionale è la Sede della Borsa di Amsterdam
(1898-1903). Realizzata sull’asse centrale della città storica, l’imponente
costruzione è l’esito finale di una, serie di progetti che si susseguirono per
più di dieci anni.
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sede della Borsa di Amsterdam, facciata principale |
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sede della Borsa di Amsterdam, vista sulla torre d'angolo |
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sede della Borsa di Amsterdam, vista aerea |
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sede della Borsa di Amsterdam, gli interni |
L’ininterrotta cortina muraria dominata dal rosso caldo del
mattone, la torre dell’orologio che funge da snodo plastico, le finestrature a
più luci, le aperture ad arco segnate dalla pietra chiara, le decorazioni sono
ridotte al minimo e sostituite dai mattoni colorati che si alternano a comuni
mattoni lasciati a vista e dai giochi chiaroscurali dei vuoti delle logge e dei
parapetti richiamano e insieme rivisitano la tradizione locale. Berlage volle rendere
ben distinguibili le parti di cui l’edificio si compone e leggibili le sue
strutture portanti: per questo pose l’enfasi sulle massicce murature,
esaltandone la continuità e sottolineando per contrasto gli altri elementi strutturali,
come gli architravi delle finestre o le capriate in ferro che reggono l’ardita
copertura vetrata della sala di contrattazione.
AUSTRIA: LA SECESSIONE VIENNESE
Si tratta di un Movimento diverso da quello
belga che attinge dalla tradizione classica, che non si discosta mai troppo
dagli schemi compositivi tradizionali,
simmetrici e bloccati. La novità stilistica si riduce all’applicazione di elementi
decorativi dichiaratamente Art Nouveau su impianti volumetrici di chiara matrice
neoclassica.
OTTO
WAGNER, JOSEF HOFFMAN, JOSEPH MARIA OLBRICH
Dopo una prima fase classica, a partire
dal 1894, con un rapido mutamento di fronte, Wagner si fa affascinare dall’Art Nouveau e ne sperimenterà le
possibilità negli edifici della metropolitana di Vienna tra il 1894 e il 1901.
Sebbene ancora caratterizzata da una certa simmetria e rigidezza planimetrica,
la nuova architettura proposta da Wagner, fonde l’estetica con la funzionalità
e presenta molte innovazioni compositive, come le ampie superfici vetrate,
l'uso di nuovi materiali (alluminio, vetro, gomma) e della decorazione quali
elementi di rinnovamento del repertorio tradizionale; il suo capolavoro è la Cassa di Risparmio Postale a Vienna,
realizzato tra il 1903 e il 1912. Si caratterizza per il rivestimento
denunciato come tale mediante bulloni a vista che fissano le lastre in pietra,
per raffinati dettagli costruttivi di vago sapore macchinista e per una poetica
degli spazi sobri, misurati, luminosi.
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, facciata |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, dettaglio della facciata |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, dettaglio della facciata |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, salone delle casse |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, salone delle casse |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, salone delle casse -dettaglio dell'illuminazione |
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Otto Wagner, sede della Cassa di risparmio postale, salone delle casse -calorifero |
Josef
Hoffmann prosegue la
strada del maestro verso la conciliazione tra forme nuove e motivi della
tradizione classica. La sua opera più riuscita è il Palazzo Stoclet, dove però introduce una sperimentazione autenticamente
moderna: l’edificio è sorprendentemente dinamico sia lungo l’orizzontale,
grazie alla libera conformazione della pianta, sia lungo le verticali, grazie a
una vibrante articolazione volumetrica che culmina con la caratteristica torre.
Palazzo Stoclet sarà anche un’officina in cui lavoreranno i più importanti artisti
della secessione: Klimt, Moser, Czeschka, Metzner, Minne, Knhopff.
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, pianta del piano terra |
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, vista |
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, vista |
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, ingresso |
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, foto d'epoca degli interni |
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Josef Hoffmann, palazzo Stoclet, la sala da pranzo |
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È Joseph
Maria Olbrich, l’altro grande discepolo di Wagner, che con passione e
felicità figurativa si muove con maggiore coerenza in direzione del
rinnovamento delle arti e di una nuova stagione espressiva. Responsabile, per
conto di Wagner, dei lavori della metropolitana viennese, fonda nel 1897 con
Hoffmann, Koloman Moser e Gustav Klimt l’associazione d’artisti della Secessione viennese e tra il 1897 e il
1898 ne realizza la sede: un volume cubiforme alla cui pesantezza si
contrappone una leggerissima cupola in lamine dorate.
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, vista |
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, facciata principale |
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, dettaglio della facciata |
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, dettaglio della facciata |
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, salone del fregio di Beethoven, foto d'epoca |
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Joseph Olbrich, palazzo della Secessione, salone del fregio di Beethoven, oggi |
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