Fondamenti di Urbanistica - lezione 1
La pianificazione urbanistica é la
disciplina che si occupa dell’organizzazione di un determinato ambito
territoriale in vista della sua razionale utilizzazione.
Il processo di pianificazione si
articola in tre fasi:
·
conoscitiva: consiste nello studio del territorio
per acquisire gli elementi e le informazioni che lo caratterizzano (storici,
sociali, economici, geologici, etc...);
·
programmatica: identifica e definisce i bisogni ed i
programmi di intervento;
·
progettuale: definisce gli strumenti urbanistici
generali ed attuativi per la realizzazione dei programmi.
L’urbanistica è una materia
particolarmente complessa in quanto la programmazione e la progettazione del
territorio, a monte, e la sua gestione e controllo, a valle, si scontrano con
equilibri ed interessi economici e sociali di una certa rilevanza. La
complessità della materia viene ulteriormente ad amplificarsi quando -come nel
nostro Paese- la cornice normativa di riferimento risulta vecchia e
disorganica. In Italia, la legislazione urbanistica è, infatti, evoluta
lentamente e per grandi salti, dal 1942 ad oggi, determinando un quadro
perennemente in ritardo rispetto ad analoghe esperienze europee e alquanto
incerto che, soprattutto in sede di applicazione, disorienta non poco gli
operatori del settore –amministratori, tecnici e privati cittadini.
L’EVOLUZIONE
DELLA LEGISLAZIONE URBANISTICA IN ITALIA
PRINCIPALI
RIFERIMENTI NORMATIVI PRIMA DELLA LEGGE 1150/1942
L’urbanistica moderna nasce come
tentativo di dare una risposta alle esigenze esigenze di organizzazione fisica
e di organizzazione funzionale, nate dall’impetuoso e distorto sviluppo urbano
seguito alla rivoluzione industriale. Da un lato c’è l’esigenza di evitare, o
ridurre, il caos derivante dallo spontaneismo, dall’altro la necessità di
programmare gli usi del territorio e di far sì che le trasformazioni, connesse
allo sviluppo del sistema produttivo e ai conseguenti movimenti migratori della
popolazione, avvengano secondo un disegno d’insieme. Si pone l’esigenza di regolare
le trasformazioni fisiche e funzionali, e di valorizzare le proprietà fondiarie
coinvolte nel processo di trasformazione. Per questo i primi strumenti di
regolamentazione della crescita delle città sono legati alle leggi
sull’esproprio
Legge
n. 2359/1865
Per quasi un secolo rappresenta il primo
testo legislativo a carattere generale in materia di urbanistica. Essa
prevedeva, e prevede ancora oggi, che in caso di dichiarata pubblica utilità si
potessero espropriare ai privati dei beni immobili (terreni e fabbricati ) per
poter realizzare opere pubbliche (strade, ferrovie ed infrastrutture in genere,
edifici pubblici ecc...). Per andare ad individuare tali opere (e poter quindi
predisporre la dichiarazione di pubblica utilità), la suddetta legge introdusse
la facoltà di redigere Piani Regolatori per i Comuni con oltre 10.000 abitanti.
Accanto a questi sono inoltre introdotti i Piani di ampliamento per operazioni
di ampliamento dell’aggregato urbano ai fini della salubrità e di una più
“sicura, comoda e decorosa sua disposizione”
Legge
n.2892/1885 per il Risanamento della città di Napoli
È una delle leggi che in quel periodo
sono state promulgate per risolvere situazioni specifiche di singole città. Le
gravissime condizioni igieniche di Napoli nei primi decenni di vita dello Stato
unitario, e la situazione endemica di gravi malattie infettive resa evidente
dall’ennesima epidemiadi colera, sollecitarono l’esigenza di risanare una
vastissima area della parte più povera della città attraverso la demolizione
dell’abitato esistente. Si introdusse così una una differente valutazione
dell’indennità espropriativa, con un notevole aumento dei valori di indennizzo
delle aree espropriate.
Dopo la fine della prima guerra mondiale
vengono varate alcune disposizioni che portano ad intensificare la diffusione
dello strumento del piano regolatore, anticipando i contenuti della legge nazionale
del 1942. In particolare, decisive per la tutela dei beni culturali e
ambientali furono le due leggi del 1939
Legge
n. 1089/1939 per la tutela delle cose di interesse artistico e storico
Conosciuta anche come legge Bottai dal
nome del suo relatore, è rimasta in vigore fino all’entrata in vigore del
“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali” (a
sua volta abrogato con l’entrata in vigore del Codice del Paesaggio D.Lgs.
42/2004), ma, stante la sua validità, molti dei suoi cardini restano introdotti
nell’attuale Codice.
Art. 1. legge n. 1089/39
“Sono soggette alla presente legge le
cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico
o etnografico, compresi:a) le cose che interessano la paleontologia, la
preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d'interesse numismatico; c) i
manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli,
nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio
…
”
”
Legge
n.1487/1939 sulla protezione delle bellezze naturali
Quest’ultima legge istituisce i piani
territoriali paesistici. Alla protezione con mezzi esclusivamente vincolistici
viene sostituita una pianificazione che preveda.
Art. 1 legge 1497/39
“Sono soggette alla presente legge a causa
del loro notevole interesse pubblico: 1. le cose immobili che hanno cospicui
caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; 2. le ville, i
giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose
d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune
bellezza; 3. i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico
aspetto avente valore estetico e tradizionale; 4. le bellezze panoramiche
considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di
belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle
bellezze.”
Sebbene per molto tempo ancora la tutela
delle bellezze naturali sarà distinta dall’urbanistica, la legge 1487 ad una
protezione esclusivamente vincolistica sostituisce una pianificazione che
contempla la gestione di trasformazioni paesisticamente compatibili con
l’istituzione dei Piani Territoriali Paesistici. In termini semplici e
schematici, la legge individua aree soggette a vincolo (zone che vengono
considerate di valenza paesaggistica) e le vincola. Tali vincoli saranno poi
implementati negli anni con leggi specifiche. Ogni zona, in base alla tipologia
di vincolo prevede anche specifiche azioni di tutela e i progetti presentati
tali zone assoggettate a vincolo paesaggistico, devono ottenere una preventiva Autorizzazione
Paesaggistica.
LEGGE
N.1150/1942 LEGGE URBANISTICA NAZIONALE (O LEGGE FONDAMENTALE)
La legge 1150 del 17 agosto 1942 (legge
Urbanistica Nazionale) è, di fatto, la prima (e unica considerando le
successive modifiche e integrazioni) legge urbanistica italiana, che, prevedendo organi, strumenti e mezzi disciplina:
la disposizione e l’incremento edilizio dei centri abitati per un razionale
assetto urbanistico territoriale.
La legge definisce un apparato
legislativo che ha il compito di prevedere, regolare, controllare le
trasformazioni che avvengono sul territorio ed in particolare individua un
sistema rigidamente gerarchico di strumenti urbanistici organizzato su tre
livelli che avrebbe dovuto garantire un completo e capillare controllo del
territorio: il piano territoriale di coordinamento, con carattere di indirizzo,
a livello regionale e provinciale, il piano regolare generale, con carattere di
coattività intervenendo direttamente sulla proprietà privata, alla scala
comunale e il piano particolareggiato, con carattere di esecutività, alla scala
del quartiere o della porzione di territorio comunale, da attuarsi anche
mediante esproprio di aree. La legge prevedeva inoltre, per i comuni di piccole
dimensioni, anche un livello di pianificazione comunale esclusivamente
regolamentativa (i piani di fabbricazione), poi abrogato. E' importante sottolineare che
i piani regolatori, regolamentavano esclusivamente i centri abitati e le zone
di espansione e, solo in queste aree, prevedevano l’obbligo della licenza
edilizia.
Legge
765/1967 cosiddetta LEGGE PONTE
La legge ponte, nacque con lo scopo di
sollecitare la formazione e l’approvazione degli strumenti urbanistici
comunali, assicurando la loro rispondenza a criteri di corretta e razionale
disciplina del territorio. Molto spesso, infatti, i Comuni, nella corsa
all’edificazione che caratterizza il nostro paese nel dopoguerra, assecondano
una eccessiva proliferazione edilizia (caratterizzata da densità elevate,
limiti di altezza eccessivi, distacchi insufficienti e scarse dotazioni di
spazi pubblici) che avrebbe poi portato al massacro urbanistico del nostro
territorio.
In particolare la legge introduce: il
divieto di lottizzare i terreni prima dell’approvazione del programma di
fabbricazione o del piano regolatore generale, la modifica la disciplina delle
lottizzazioni introducendo il piano di lottizzazione convenzionata; le sanzioni
per abusi edilizi (in assenza di licenza o in contrasto con piano); l’onerosità
della licenza edilizia con il pagamento da parte del privato degli oneri di
urbanizzazione primaria e di parte di quella secondaria; l’estensione della gli
standard urbanistici (la dotazione minima di spazio e attrezzature pubbliche
per ogni nuovo abitante insediato); e gli standard edilizi (con indicazione
della distanza minima delle abitazioni dalle strade e tra di loro, e di altezze
massime).
Decreto
Ministeriale 1444/68
La “legge ponte” venne approvata con un
emendamento che ne rimandava l’attuazione di un anno; in quell’anno sono state
rilasciate quasi il triplo delle licenze edilizie che venivano rilasciate
mediamente ogni anno. Nel 1968 venne finalmente emanato il regolamento tecnico
della legge 765 con Decreto Ministeriale n. 1444 che suddivide il territorio
oggetto di pianificazione in zone omogenee e fissa i limiti minimi inderogabili
per le dotazioni a standard.
Nell’ambito di ciascuna zona
territoriale omogenea debbono essere osservati limiti inderogabili di densità
edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati, nonché rapporti massimi tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati
alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Nello specifico sono
individuate 6 tipi di zone omogenee, così articolate
Zone Territoriali
Omogenee
|
Dotazioni minime di
standard
|
A)
centri e zone di particolare pregio storico
|
La
metà di quelle previste per le zone C
|
B)
Zone di completamento
|
La
metà di quelle previste per le zone C
|
C)
Zone di espansione residenziale
|
Comuni
>10000 ab: 18 m2/ab così suddivisi:
4,5 per istruzione e assistenza all'infanzia 2,00 per attrezzature di interesse collettivo 9,00 per verde, parchi, giardini, sport 2,50 per parcheggi pubblici (+1/10 di ve per parcheggi privati) Comuni <10000 ab e zone residenziali con If<=1m3/m2: 12 m2 con 4,00 per istruzione In zone paesaggisticamente delicate la dotazione di verde aumenta a 15,00 m2/ab |
D)
Zone per insediamenti produttivi
|
Una
superficie >= 10% va destinata ad attività collettive, verde e parcheggi
|
E)
Zone agricole
|
6,00
m2/ab per attività collettive ed istruzione
|
F)
Zone per attrezzature di interesse generale
|
1,50
m2/ab per istruzione superiore
1,00 m2/ab per atterzzature sanitarie 15,00 m2/ab per parchi urbani e territoriali |
Si intende per standard urbanistici la determinazione delle quantità minime di
spazi pubblici o di uso pubblico, espresse in metri quadrati per abitante, che
devono essere riservate nei piani, sia generali che attuativi.
Legge
n.865/1971 cosiddetta LEGGE SULLA CASA
La legge stabiliva l’impiego unitario
dei fondi stanziati per l’edilizia economica e popolare, con un coordinamento a
livello nazionale tramite il CER (Comintato Edilizia Residenziale) e
l’effettiva distribuzione affidata alle Regioni, in base a piani di
localizzazione da esse approvati. Veniva anche prevista la creazione di
Consorzi regionali degli IACP, il loro riordinamento e la determinazione dei
canoni di affitto e delle quote di riscatto. Gli elementi fondamentali della
legge 865 riguardano i problemi di pianificazione del territorio. Venivano
ampliate le possibilità di intervento dei Comuni, consentendo l’espropriazione
delle aree, edificate e non, per la formazione non solo dei PEEP, ma anche di
Piani per gli Insediamenti Produttivi (PIP). Veniva inoltre stabilito che le
aree PEEP possono coprire fino al 60% del fabbisogno totale di edilizia
abitativa per un decennio. Innovazioni importanti contenute in questa legge
sono l’estesa introduzione del diritto di superficie, con conseguente proprietà
del bene edificato, su un terreno che rimane di proprietà altrui. Queste norme
miravano evidentemente ad aumentare lo spazio a disposizione dell’edilizia
pubblica, nell’intento di ridurre il peso della speculazione fondiaria. L’indennità venne riferita non più al valore
di mercato delle aree, ma al loro valore intrinseco. Nelle aree esterne ai
centri edificati l’indennizzo veniva posto pari al valore agricolo medio
corrispondente alle colture in atto nell’area da espropriare, con un raddoppio
a favore del proprietario diretto coltivatore. Nelle aree comprese nei centri
edificati e nelle zone delimitate come centri storici, veniva assunto come base
il valore agricolo medio della coltura più redditizia fra quelle praticate
nell’intera regione agraria. Tale valore doveva essere moltiplicato per un
coefficiente (tra 1 e 5) per tenere conto dell’andamento di mercato delle aree.
Legge
n.10/1977 cosiddetta LEGGE BUCALOSSI
Con l'approvazione della Legge 28
gennaio 1977, n. 10 il legislatore intese affermare nuovi principi in tema di
edificabilità dei suoli. La facoltà di edificare NON doveva esser più ritenuta
come essenzialmente collegata al diritto di proprietà del fondo e sarebbe stata
di volta in volta concessa al privato alla fine di un procedimento
amministrativo che avrebbe avuto inizio con la presentazione di una richiesta
di concessione. Non a caso la legge non parlava più di licenza edilizia o di
autorizzazione, bensì di provvedimento concessorio. Mentre la licenza era,
concettualmente, la rimozione di un ostacolo ad esercitare un proprio diritto,
la concessione si pone come attribuzione di un diritto di cui il soggetto non è
in precedenza titolare. La concessione era comunque un atto dovuto,
ogniqualvolta l'intervento edilizio per cui era richiesta poteva essere
considerato conforme alle prescrizioni dei piani urbanistici, ed era connotata
dall' irrevocabilità, dalla trasferibilità unitamente all'area per la quale
viene rilasciata nonché dall'onerosità. Quest'ultimo carattere implicava che il
rilascio fosse effettuato dietro la corresponsione di un contributo correlato
alle spese di urbanizzazione primaria e secondaria ed ai costi di costruzione,
essendo stato affermato il principio secondo il quale qualsiasi attività che
comportasse trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale
dovesse partecipare ai costi ad essa relativi. La concessione è infatti onerosa
per due motivi: per ragioni urbanistiche, in quanto creando nuovi insediamenti
l'amministrazione pubblica deve creare le infrastrutture che soddisfino le
esigenze delle nuove opere (oneri di urbanizzazione) e per ragioni fiscali,
infatti viene posta una tassa non motivata (oneri di concessione), calcolata in
percentuale rispetto al costo di costruzione. In via straordinaria gli oneri di
urbanizzazione possono essere tradotti in opere di interesse pubblico che
dovranno essere realizzati durante la costruzione dell'edificio. Gli oneri di
concessione dovranno invece sempre essere pagati in denaro.
In via ordinaria la concessione dura 3
anni, pertanto se non viene completata l'opera entro tale limite il richiedente
deve richiederne un'altra e pagare nuovamente gli oneri legati al suo rilascio.
I lavori inoltre devono iniziare entro 1 anno dal rilascio della concessione
che deve essere immediatamente pagata.
OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA (opere
a rete necessarie per il corretto funzionamento del quartiere o della parte
urbana): 1. strade residenziali 2. spazi di sosta o di parcheggio pubblico; 3.
fognature; 4. rete idrica; 5. rete di distribuzione dell’energia elettrica e
del gas; 6. rete di pubblica illuminazione; 7. spazi di verde attrezzato.
OPERE DI URBANIZZAZIONE SECONDARIA: 1.
asili nido e scuole materne; 2. scuole dell’obbligo; 3. mercati di quartiere;
4. delegazioni comunali; 5. chiese e altri edifici per servizi religiosi;6.
impianti sportivi di quartiere; 7. centri sociali e attrezzature culturali e
sanitarie; 8. aree verdi di quartiere.
Legge
n. 457/78 Norme per l’edilizia residenziale
La legge è una legge quadro, che riepiloga
e sintetizza le normative precedenti in ambito di edilizia economica e popolare
(a partire dalla legge 167/62), ma è in particolare nel titolo IV che viene
introdotto il concetto di recupero del patrimonio edilizio esistente,
prevedendo che i piani urbanistici individuino zone dove il rilascio della
concessione edilizia sia subordinato alla redazione di uno specifico piano
attuativo chiamato piano di recupero.Tale strumento si presenta come uno
strumento semplice, invogliando al suo utilizzo, in quanto la legge non
prescrive cose specifiche, ma lascia libertà di interpretazione, inoltre viene
data una corsia privilegiata per la formazione del piano, in quanto la sua
approvazione compete solo al consiglio comunale, e non come gli alti strumenti
attuativi che a quei tempi dovevano essere approvati anche a livello regionale.
Nell'articolo 31 della legge viene
definito cosa si intende in Italia per intervento di recupero. Si individuano
in particolare 5 tipologie di interventi che vanno dal leggero al pesante e che
sono: così definite:
a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli rivolti al mantenimento in
efficienza dell’edificio. Riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o
mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti. Gli interventi di
manutenzione ordinaria non sono soggetti ad autorizzazione;
b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per
rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare
ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino
i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino
modifiche delle destinazioni di uso. Gli interventi di manutenzione
straordinaria devono essere segnalati all'Ufficio Tecnico comunale presentando
una denuncia di inizio attività (DIA) firmata
dal proprietario o da un avente diritto e asseverata da un tecnico abilitato;
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare
l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e
strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi
compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il
rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione
degli elementi estranei all'organismo edilizio;
d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti;
e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire
l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme
sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei
lotti, degli isolati e della rete stradale.
Legge
n.431/1985 cosiddetta LEGGE GALASSO
La legge Galasso è stata una delle leggi
più importanti per la tutela dell'ambiente e rimane la più importante per la
difesa del territorio nella sua totalità. Il territorio viene considerato nel
suo insieme ed in riferimento ad ogni sua componente. Si considera una legge
contenitore che, oltre alla tutela del territorio, crea un percorso normativo
di base per tutta la normativa ambientale. La legge obbliga, infatti, le Regioni
alla redazione di un piano paesaggistico
che impone su diversi territori -individuati per morfologia e senza la
necessità di procedimenti formali da parte dell’amministrazione pubblica- il vincolo paesaggistico-ambientale il quale,
include il vincolo derivante dalla legge 1497/1939 e non va considerato come un
divieto assoluto di edificabilità o di modifica del territorio in generale, ma
come un vincolo legato a un più severo regime di autorizzazioni. Oltre alla
concessione edilizia del Comune, infatti, è necessario anche un nulla osta della Regione, che è l'ente
che gestisce il vincolo e alla quale è demandato il compito di preservare il
territorio territori con un vaglio attento sulle opere da realizzare.
In particolare sono vincolati dalla
legge Galasso:
a. i territori
costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di
battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b. i
territori contermini ai laghi
compresi in una
fascia della profondità
di 300 metri dalla linea di
battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c. i fiumi,
i torrenti ed
i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di
cui al testo unico delle disposizioni di legge
sulle acque ed impianti
elettrici, approvato con Regio decreto 11-12-1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per
una fascia di 150 metri ciascuna;
d. le
montagne per la parte eccedente 1.600 metri
sul livello del mare
per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del
mare per la catena appenninica e per le isole;
e. i
ghiacciai e i circhi glaciali;
f. i
parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione
esterna dei parchi;
g. i
territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal
fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;
h. le aree assegnate alle università agrarie e
le zone gravate da usi civici;
i. le zone umide
incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica
13-3-1976, n. 448 (…)
j. i vulcani;
k. le zone di interesse archeologico.
Nel caso di abusi non è prevista la possibilità di ottenere concessioni edilizie in
sanatoria e, unitamente alle sanzioni pecuniarie, è previsto il ripristino
dello stato dei luoghi a carico di colui che commette l'abuso.
Legge
n. 179/1992
Tale legge introduce il principio della concertazione nella pianificazione
urbanistica tramite i programmi
integrati di intervento. Essi vengono definiti all’art. 16 della legge come
metodi eccezionali della pianificazione
urbanistica derivanti dall’accordo tra istituzioni pubbliche e privati sull’attuazione
degli interventi programmati. Ulteriori metodologia di concertazione sono poi
state previste dalla legge 669/1996.
LE
SANATORIE EDILIZIE
Legge
n.47/1985 cosiddetto PRIMO CONDONO
Si poneva come una provvisoria
legge-quadro in materia urbanistico/edilizia, ma la sua maggiore conseguenza è
stata quella di ammettere al condono edilizio tutti gli abusi realizzati fino
al 1/10/1983. Per i manufatti costruiti
in aree a vario titolo vincolate il rilascio della concessione (o
autorizzazione) in sanatoria era subordinato al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela. L'art. 13 della medesima legge 47/1985
prevedeva, inoltre, la possibilità di una sanatoria attraverso un accertamento
di conformità, da effettuare entro stretti limiti temporali correlati alle
ordinanze dei sindaci, "e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative", in base al quale le opere abusive potrebbero essere
sanate, qualora esse fossero conformi agli strumenti urbanistici vigenti. Si
tratta, come si vede, di cosa assolutamente diversa dal condono (che è un
provvedimento eccezionale e tombale, in quanto porta tendenzialmente a
legittimare tutti o quasi gli abusi). La sanatoria è invece un istituto permanente,
che può essere invocato per quelle opere che - per qualche invero strana
ragione - non hanno ottenuto la concessione edilizia, anche se avrebbero potuto
ottenerla benissimo (si tratta evidentemente di rari casi, ovvero di abusi di
piccole dimensioni). In seguito, è emerso il problema che nelle normative di
tutela paesaggistica non esisteva una norma equivalente, di conseguenza nelle
zone vincolate (il 47% del territorio nazionale) la sanatoria edilizia risultava
inapplicabile, in quanto subordinata all'ottenimento, impossibile,
dell'autorizzazione ambientale.
Legge
n.724/1994 "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"
cosiddetto SECONDO CONDONO
Riapre i termini della precedente legge
47/1985, estendendoli agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Vengono
tuttavia introdotte alcune limitazioni: che le opere non abbiano comportato un
ampliamento superiore al 30% della volumetria originaria, ed in ogni caso non
superiore a 750 mc. Lo stesso limite volumetrico si applica alle nuove costruzioni,
"per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria" (il che
consente di condonare anche le lottizzazioni abusive). Resta fermo per le zone
vincolate l'obbligo di acquisire preventivamente l'autorizzazione dell'autorità
preposta. In più, l'ultimo periodo del 4° comma stabilisce anche il
silenzio-assenso in caso di perdurante inerzia comunale.
d.l.
269/2003 cosiddetto TERZO CONDONO
Il terzo condono trova la sua fonte
principale nell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito
con legge 24 novembre 2003, n. 326. Traccia tutta la procedura amministrativa
concernente la sanatoria: termini, contributo concessorio, silenzio assenso,
vincoli, indifferenza rispetto al diritto dei terzi, effetti della sanatoria su
procedimenti penali. Si stabilisce la data dell’abuso e la quantità massima di
costruzione condonabile (30 % della volumetria esistente, 750 metri cubi del
nuovo). La Corte Costituzionale aveva imposto al legislatore statale, di
lasciare più spazio alla competenza legislativa delle regioni e mentre la legge
statale, in ossequi ai criteri dettati dalla Corte costituzionale, si era
preoccupata: • di disciplinare la valenza delle domande di condono nel
frattempo presentate sulla base del decreto legge n. 269 del 2003 istitutivo
del terzo condono; • di congelare i procedimenti di condono in corso e non
ancora conclusi allo scopo di consentire alle regioni di esplicare il potere
normativo; si è venuta sviluppando tutta una serie di leggi regionali.
LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA
COSTITUZIONE
Legge
n.59/1997 cosiddetta LEGGE BASSANINI. “Riforma della Pubblica Amministrazione,
semplificazione amministrativa mediante il conferimento di funzioni e compiti
amministrativi alle Regioni e agli Enti locali”.
La legge individua le materie e le funzioni
che devono rimanere in capo allo Stato e quei compiti di rilievo nazionale,
delimitati con riferimento a specifiche materie (protezione civile, difesa del
suolo, tutela dell’ambiente e della salute, etc., come definiti dall’art. 1,
co. 4, lett. c), che devono essere individuati previa intesa tra Governo e
Conferenza Stato-Regioni. Mentre i restanti compiti e funzioni devono essere
conferiti alle regioni e agli enti locali.
Legge
di riforma costituzionale n°3/2001. ”Modifica del titolo V”
Con la modifica del Titolo V della
Costituzione è attribuita alle Regioni ciascuna materia che, non rientra nella
potestà esclusiva dello Stato. L’attuale art. 117, comma 3 della carta
costituzionale annovera tra le materie
di competenza legislativa concorrente (per le quali spetta alle Regioni
legiferare, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali che
spettano invece allo Stato) il governo del territorio.. In questo modo si è voluta
abbracciare un’ottica di multi-level
governance di stampo tipicamente europeo, per cui diversi livelli di governo
possono intervenire nella formulazione e nella gestione di politiche di impatto
generale.
Art. 118 della Costituzione della
Repubblica Italiana
“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni
salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province,
Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza.”
I Comuni sono confermati soggetti
primari del governo del territorio, ad eccezione delle competenze attribuite in
via espressa alle Regioni e alle Province, mentre allo Stato sono riservate la
programmazione e la pianificazione delle reti infrastrutturali di interesse
nazionale, la definizione della normativa tecnica, nonché l’individuazione dei
livelli minimi degli standard urbanistici.
Il 2 marzo 2007 è stata presentata la
proposta di legge n. 2319 contenente i “principi fondamentali per il governo
del territorio”. In essa vengono enunciati diversi articoli contenenti i
principi che informano la pianificazione urbanistica e territoriale: sostenibilità,
tutela, sicurezza, sussidiarietà, adeguatezza, trasparenza, democrazia, equità
e legalità del territorio. Relativamente ai rapporti fra gli strumenti di
pianificazione territoriale ed urbanistica, questi sono ora improntati al principio
di coerenza, concetto più ampio che
sostituisce quello tradizionale di conformità e implica il rispetto degli obiettivi e degli indirizzi fissati dal piano
sovraordinato.
Attualmente non è ancora stata varata una disciplina armonica e coerente dei
principi fondamentali dell’urbanistica, né del governo del territorio. Finché
non vi sarà una legge-quadro dello Stato in tema di governo del territorio che
modifichi i principi fondamentali della materia, tutte le leggi regionali in
tema di pianificazione territoriale dovranno continuare a rispettare i principi
fondamentali ricavabili dal complesso di disposizioni legislative statali al
momento vigenti.
Legge
.Regionale. n°20/2000 [EMILIA ROMAGNA]
"Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio"
Una delle prime Regioni a elaborare una
propria legge per il governo del territorio è stata l’Emilia Romagna che, per
la prima volta, articola il piano in diversi strumenti di pianificazione,
separando gli aspetti strutturali di
tutela validi a tempo indeterminato e le scelte
strategiche di medio lungo termine dalle previsioni operative ed attuative più flessibili e dagli aspetti regolamentari. Il vecchio Piano
Regolatore Generale (PRG), pur rimanendo immutato nei contenuti, viene dunque
sostituito da uno strumento urbanistico diviso i tre parti,:
Piano
Strutturale Comunale
(PSC): individuazione degli ambiti, dei vincoli ambientali, dei vincoli storici
e delle principali infrastrutture
Piano
Operativo Comunale
(POC): individuazione delle aree soggette a PUA (Piani Urbanistici Attuativi) e
interessate da opere pubbliche
Regolamento
Urbanistico Edilizio
(RUE): individuazione delle aree ad intervento diretto sia nel territorio
urbano sia nel territorio rurale
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