LO STORICISMO E L’ECLETTISMO
Il 1815, l’anno in cui si concluse il
Congresso di Vienna e si affermò in Europa il principio di Restaurazione, è per
molti storici dell’architettura la data che individua l’inizio di un nuovo modo
di interpretare il progetto, la sua funzione e il suo rapporto con la
tradizione: lo Storicismo. Questo
termine, inizialmente utilizzato in senso dispregiativo per la sovrapposizione
o la compresenza in uno stesso edificio di più linguaggi architettonici, è poi
passata ad indicare, a partire dal Novecento, la manipolazione consapevole dei
diversi linguaggi architettonici e dei modelli del passato con l’intenzione di
creare qualcosa di nuovo; un confronto con
il passato quale condizione imprescindibile per ritrovare nel presente un modo
di esprimersi realmente contemporaneo.
L’abbandono del linguaggio classico come
unico riferimento possibile era stato già in parte preparato, dai teorici dell’Illuminismo,
che avevano opposto al sentimento del sublime, tipico del Barocco, la
razionalità costruttiva dell’architettura gotica. L’affermazione dei
nazionalismi, successiva alla caduta dell’Impero Naopoleonico, avrebbe così affermato,
anche in architettura, un atteggiamento culturale che non ricercava un
linguaggio architettonico universale, ma lasciava il posto a linguaggi architettonici
che si connotavano diversamente a seconda delle tradizioni locali. Gli
architetti non cercavano più un linguaggio coerente con il periodo nel quale
vivevano ma, al contrario, preferiscono rifugiarsi nel passato, ispirandosi
fantasiosamente agli stili che si sono via via succeduti.
I manuali di storia dell’architettura
fornivano formule e ricette per applicare con semplicità ogni stile del passato
alla progettazione degli edifici moderni, e così, solo ricorrendo a motivazioni
di gusto, e non più ideologiche, si sceglieva di adottare uno stile o un altro.
Si instaurò, anzi, una sorta di corrispondenza tra funzione e stile. Così,
quando si doveva costruire una chiesa si ricorreva allo stile neogotico, perché questo stile sembrava
più mistico; quando si doveva costruire una banca, si ricorreva allo stile neoromano, perché dava un’immagine di
maggior solidità; quando si doveva costruire un palazzo si ricorreva allo stile
neorinascimentale; per la
costruzione dei cimiteri, si adottava lo stile neoegizio; per la costruzione delle fabbriche, appariva più idoneo
lo stile neoromanico; e così via.
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Augustus Pugin, palazzo di Westminster, 1840-1870
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Augustus Pugin, palazzo di Westminster, pianta |
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Augustus Pugin, palazzo di Westminster, sala dei comuni |
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caffè Pedrocchi e Pedrocchino, Padova 1831-1842 |
Tra gli esempi italiani più noti ricordiamo la facciata di Santa Maria del Fiore a Firenze e la facciata del Duomo di Milano.
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Santa Maria del Fiore, Firenze: a sx ricostruzione della facciata medievale, a dx proposta di facciata dell'Accademia delle Arti del disegno (1635) |
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Santa Maria del Fiore senza facciata in una foto del 1860 ( si notano le tracce dipinte delle facciate posticce) |
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Emilio De Fabris, prima e seconda proposta per la facciata di Santa Maria del Fiore |
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Santa Maria del Fiore, la facciata in costruzione con le due ipotesi di coronamento affiancate |
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La facciata di Santa Maria del Fiore oggi |
Questo nuovo atteggiamento portò ben presto a ricorrere al repertorio delle architetture del passato con criteri e finalità del tutto nuovi, arrivando a contaminazioni stilistiche che in altre epoche sarebbero apparse inammissibili e inventando soluzioni talmente artificiose e bizzarre da non essere più riconducibili agli stili di partenza. Questo nuovo modo di ispirarsi al passato fu chiamato Eclettismo. Il senso dell’architettura eclettica, del resto, sta nel saper attingere all’immenso repertorio di forme e stili del passato, scegliendo fra essi gli accostamenti ritenuti più armoniosi e raffinati: un semplice atto formale che non tiene in alcun conto le motivazioni storiche e culturali che, nel corso dei secoli, hanno determinato il formarsi e l’evolversi dei vari stili. Questi, in altre parole, vengono scelti e mescolati con intenti puramente decorativi, cosicché l’architetto eclettico si riduce a essere, nel migliore dei casi, un fantasioso assemblatore di elementi architettonici liberamente estrapolati dai contesti più vari.
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John Nash, padiglione reale di Brighton, 1802-1803 |
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John Nash, padiglione reale di Brighton, sala dei banchetti |
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John Nash, padiglione reale di Brighton, sezione |
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Charles Garnier, operà de Paris, 1861-1875 |
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Charles Garnier, operà de Paris, la cupola da Rue de l'Operà |
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Giuseppe Sacconi, Vittoriano o Altare della Patria, 1885-1927 |
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Altare di Zeus a Pergamo, II sec. a.C., Pergamonmuseum, Berlino |
LA NASCITA DEL RESTAURO ARCHITETTONICO MODERNO
Lo storicismo fu un momento notevole per
l’architettura anche perché affrontò per la prima volta il problema del restauro architettonico. Agli inizi
dell’Ottocento, infatti, soprattutto in Francia, ci si pose il problema della
conservazione di quell’immenso patrimonio d’arte rappresentato dagli edifici
sorti nel medioevo, in particolare chiese e cattedrali. Edifici che in molti
casi avevano subìto devastazioni o guasti, in particolar modo durante la
Rivoluzione Francese per le posizioni anticlericali espresse dai rivoluzionari.
Il primo architetto che operò in maniera
scientifica nel campo del restauro, fu il francese Viollet Le Duc, la cui posizione fu quella definita del restauro di ripristino. In pratica, con
i suoi interventi, Le Duc cercava di riportare l’edificio ad una -ipotetica-
condizione iniziale che ne avrebbe caratterizzato la nascita. Facendo ciò,
cancellava tutti gli interventi posteriori e i loro segni, riportando
l’edificio ad una ideale omogeneità stilistica. Nel far ciò soprassedeva alla
verità storica dell’edificio, per perseguire un fine estetico che riconosceva
solo nella purezza dello stile e, in qualche caso, completava anche gli edifici
di parti, che magari non erano mai storicamente esistite, ma che potevano
rendere più compiuto l’organismo architettonico come nel progetto di restauro per la cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Il suo metodo di lavoro era
tuttavia rigoroso, e possibile solo grazie alla grande conoscenza che aveva
acquisito dei principi architettonici medievali, così che i suoi interventi
finivano per essere plausibili, anche quando erano dei falsi storici.
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Notre-Dame nel 1841 prima degli interventi di restauro (si noti l'assenza delle statue dei sovrani francesi dal primo loggiato perché distrutte durante i moti rivoluzionari) |
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Notre-Dame, progetto di restauro di Viollet-Le-Duc si notino i pinnacoli sulle due torri e quello sulla crociera (mai presenti nell'edifico originario e non realizzati) il ripristino delle statue distrutte e la modifica del portone centrale. |
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Notre-Dame durante i lavori di restauro |
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Nostre-Dame alla fine dei restauri |
Di contro a questa concezione del
restauro, l’inglese John Ruskin
sostenne invece la necessità di un
restauro più attento alla storia che non all’estetica. Condannava
l’intervento di ripristino operato da Viollet Le Duc, proponendo la sola
manutenzione degli edifici. Diceva, anzi, che era preferibile che gli edifici
cadessero, se giungevano a tale limite, piuttosto che tenerli artificiosamente
in piedi con interventi che cambiavano la sostanza e la materia dell’edificio.
Le posizioni di Viollet Le Duc e Ruskin,
sin da allora, hanno sintetizzato le problematiche connesse al restauro.
Infatti, generalizzando il discorso, si può dire che due sono gli aspetti da
considerare in un intervento di restauro: quello artistico e quello storico. Un
edificio, soprattutto se ha avuto una lunga vita, non è mai giunto a noi senza
subire alterazioni nel corso dei secoli., divenendo un insieme molto complesso
ed articolato di parti realizzate in differenti momenti storici e con
differenti linguaggi architettonici. Il Duomo di Milano ad esempio, iniziato in
stile gotico alla fine del Trecento, è stato ultimato solo nell’Ottocento, così
che alcune sue parti sono ad esempio rinascimentali e non più gotiche, perché
nel frattempo era cambiato il linguaggio architettonico, e così via. In pratica
questo edificio non ha mai avuto una unità stilistica. Altri edifici, anche se
l’hanno avuta, l’hanno poi persa per interventi successivi. In questi casi, un
intervento di restauro deve conservare le stratificazioni e le sovrapposizioni
o riportare il tutto ad una condizione iniziale che forse non è mai esistita?
Nella prima ipotesi caso avremmo un restauro rispettoso della storia
dell’edificio, considerando importanti anche le aggiunte posteriori, nel
secondo caso, invece, effettuiamo un restauro di ripristino.
L’ARCHITETTURA DEGLI INGEGNERI
Nel XVI secolo il Barocco, con il
distacco concettuale tra struttura (sempre più spesso nascosta e camuffata) ed
aspetto di un edificio (pomposo e magniloquente, sul quale si concentra un
lavoro decorativo ai limiti della scultura) aveva aperto una crepa tra questi
due aspetti della professionalità architettonica che sarebbe stata la premessa
per la separazione di competenze tra chi si occupava di strutture e chi di
ornamento. Ciò che portò ad un distacco definitivo, fu l’applicazione dei
metodi matematici al calcolo delle strutture edili.
Alla metà del Seicento, la nascita dei
metodi scientifici sperimentali, grazie a Galileo Galilei, e dei metodi
matematici infinitesimali, grazie a Leibniz e Newton, aveva già scisso la
figura dello scienziato da quella dell’artista. Se nel rinascimento la stessa
persona poteva ancora occuparsi di entrambe le attività – indicativo il caso di
Leonardo da Vinci –, nel XVII secolo i due campi si separarono definitivamente,
ognuno creandosi ambiti disciplinari e strumenti di lavoro assolutamente
distinti e separati. Lo stesso avvenne nell’architettura, grazie allo sviluppo
delle teorie matematiche sull’equilibrio delle strutture e sulla resistenza dei
materiali. Alla base, quindi, ci fu la nascita della matematica moderna e della
fisica sperimentale, ma ciò che poi favorì la definitiva separazione tra
ingegneri e architetti, fu soprattutto la scoperta, accelerata da quel grande
fenomeno di riconversione tecnologica e produttiva che va sotto il nome di Rivoluzione Industriale, di nuovi
materiali. Questi materiali innovativi
(il ferro, l’acciaio, il vetro, il calcestruzzo e, successivamente, il cemento
armato) non potevano essere impiegati, come accadeva con i materiali
tradizionali, sulla base della sola esperienza, ma richiedevano precisi calcoli
strutturali. A questo scopo era nata a Parigi alla fine del XVIII secolo l’Ecole Polytechnique, che aveva il
compito di dare una formazione matematica e scientifica ai tecnici
dell’esercito e delle opere pubbliche. Gli allievi si perfezionavano nelle
scuole di Applicazione delle diverse Armi o nell’Ecole des Ponts et Chasséeuses, riservata agli ingegneri che
avrebbero dovuto occuparsi di strade, ponti e ferrovie.
Gli architetti venivano
invece formati nelle Accademie di Belle Arti dalla quale uscivano con una
cultura quasi esclusivamente figurativa e formale. Si venne a creare, in questo
modo, una posizione di favore per gli ingegneri perché se inizialmente l’uso
dei nuovi materiali e delle nuove tecnologie era riservato ai ponti e alle
nuove infrastrutture id trasporto, ben presto fu esteso alle strutture degli
edifici, facilitando la possibilità di realizzare costruzioni sempre più alte e
complesse.
Si parla, così, di architettura degli ingegneri: le tecniche costruttive cambiano e,
anziché essere la risultante di una fusione di linguaggi architettonici
diversi, l’edifico si rivela nelle sue strutture portanti (come già aveva fatto
con l’architettura gotica) realizzate con elementi metallici, prefabbricati,
modulari e montati in cantiere.
Il primo esempio di questo nuovo modo di
costruire è il Cristal Palace
realizzato per l’Esposizione Universale di Londra del 1851 da Joseph Paxton come una gigantesca serra
in ferro e vetro e distrutto da un incendio nel 1936. Altri esempi sono le
biblioteche realizzate a Parigi da Henri
Labrouste e la Galerie des Machines
realizzata da Victor Cotamin per l’esposizione universale di Parigi del 1889,
ma l’esempio più famoso di architettura degli ingegneri è sicuramente la Torre
realizzata da Gustave Eiffel per la stessa esposizione parigina del 1889 per
celebrare il centenario della rivoluzione francese. Alta 324 metri e composta
di oltre 18.000 pezzi la torre doveva essere smontata dopo 20 anni, ma servendo
da antenna radio non fu più demolita.
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Joseph Paxton, Crystal Palace 1851-1936 |
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Joseph Paxton, Crystal Palace 1851-1936 |
facciata e pianta |
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Joseph Paxton, Crystal Palace 1851-1936
gli interni durante l'esposizione universale |
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Joseph Paxton, Crystal Palace 1851-1936
gli interni durante l'esposizione universale |
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Henri Labrouste, biblioteca di Saint Genevieve, 1838-1850 esterno |
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Henri Labrouste, biblioteca di Saint Genevieve, 1838-1850 interno |
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Henri Labrouste, biblioteca nazionale di Francia, 1868, sala di lettura |
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L'esposizione universale di Parigi del 1889 |
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Victor Cotamin, Galeries des Machines, 1887-1909 |
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Victor Cotamin, Galeries des Machines, 1887-1909 interno |
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Victor Cotamin, Galeries des Machines, 1887-1909 interno |
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Gustave Eiffel, fasi di costruzione della torre, 1886-1889 |
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Gustave Eiffell, stralcio del progetto della torre |
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Gustave Eiffell, stralcio del progetto della torre |
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Gustave Eiffel, 1886-1889, foto della torre durante l'esposizone universale del 1889 |
Anche in Italia le architetture in ferro
e vetro segnarono la nascita della città borghese e vengono utilizzate per la
realizzazione delle le Gallerie Urbane la galleria
Vittorio Emanuele a Milano, la galleria
Umberto I a Napoli, la galleria di piazza Colonna –oggi Alberto Sordi, a Roma),
ambienti di passeggio coperti da volte trasparenti, eredi dei passage e delle
gallerie parigine, sotto cui si trovavano ristoranti e negozi alla moda e dove
la borghesia poteva metter in scena il proprio ruolo sociale.
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Galleria Vittorio Emanuele II, 1865-1877, Milano |
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Vista aerea della Galleria Vittorio Emanuele nel tessuto urbano |
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Galleria Umberto I, 1887-1891, Napoli |
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vista aerea della Galleria Umebrto I nel tessuto urbano |
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Galleria Alberto Sordi(già galleria di Piazza Colonna), 1922, Roma |
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vista aerea della Galleria Alberto Sordi nel tessuto urbano |
In tutto questo agli architetti
restavano i palazzi del potere (compreso il potere economico delle banche), le
chiese e le residenze borghesi, ma le stazioni ferroviarie, le industrie, le
infrastrutture tecniche e, come abbiamo visto, le Gallerie - cioè gli elementi
del nuovo volto della città industriale - erano campo esclusivo degli ingegneri
che riducevano l’architettura a fenomeno più scenografico che costruttivo.
Progettare diventa pertanto una sorta di raffinato gioco compositivo,
assolutamente svincolato da qualsiasi valutazione di tipo strutturale e
funzionale, tanto che spesso gli architetti si limitano a intervenire sugli
esterni, mentre la soluzione di tutti i problemi statici e realizzativi viene
demandata agli ingegneri.
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