LA CITTÀ BORGHESE
Non è possibile definire un rapporto di continuità fra la
città del XIX secolo e la città barocca più di quanto non lo si possa fare con
la città medioevale: il salto è drastico, qualitativo, quantitativo e
tecnologico ad un tempo e si delinea sotto la spinta di molteplici e potenti
fattori, fra i quali innanzitutto la crescita demografica in atto e gli
sviluppi dell'economia, in particolare dell'industrializzazione e dei trasporti.
Nelle società preindustriali, le città, pur essendo sede di
attività produttive, erano state soprattutto centri amministrativi, religiosi,
militari, commerciali. Nel corso dell'Ottocento le attività produttive
diventano sempre più importanti e la funzione economica assume un ruolo prevalente rispetto ad ogni altro: le città diventano elementi centrali nello sviluppo delle economie nazionali. Nel contempo le
campagne diventano ovunque sovraffollate e la coltivazione della terra, anche
per le trasformazioni in corso, non è in grado di assicurare la sussistenza a
un numero crescente di persone. Spinti dalla povertà, molti contadini
abbandonano così le campagne e migrano oltreoceano o nelle grandi città,
attratti dalla concentrazione di un numero sempre crescente di fabbriche e
opifici e allettati dalla speranza di un salario sicuro. La maggior parte delle
città non era però attrezzata per assorbire questo massiccio esodo di persone e
si trasformano in organismi sempre più congestionati e caratterizzati da
diseguaglianze stridenti: da una parte pochi privilegiati, borghesi e
aristocratici, dall'altra la numerosissima massa dei lavoratori dell'industria.
La struttura sociale si riflette nel volto della città: da un lato i quartieri
benestanti, spesso separati dal resto della città e collocati in prossimità di
grandi aree verdi con infrastrutture e servizi, dall'altro i quartieri operai
ai margini estremi degli agglomerati urbani, e comunque nelle zone in cui i
terreni erano meno costosi.
Realizzati in molti casi dagli stessi proprietari delle
grandi industrie, i nuovi quartieri sono malsani e sudici e costringono il
proletariato a condizioni di vita ancora più dura di quella in campagna:
l’inquinamento le condizioni igieniche catastrofiche e il sovraffollamento
delle abitazioni, determinarono emergenze sanitarie e sociali che furono alla
base di tutte le rivendicazioni sindacali e politiche che i movimenti operai
stavano via via organizzando in quegli anni.
Lo stretto rapporto tra industrializzazione e crescita
urbana è evidente se si considera il caso inglese. Qui la crescita urbana
precede quella di tutti gli altri paesi europei e, per tutto il XIX secolo,
l'Inghilterra è il paese con il più alto numero di abitanti che vivono in
città, specialmente nelle città industriali come Liverpool, Manchester,
Birmingham, Leeds, Bristol, Sheffield, Nottingham. Soprattutto qui, già nella
prima metà del secolo, le città crescono di dimensione, ma anche di numero, a partire
dall’insediamento delle fabbriche che sono spesso situate in borghi rurali
localizzati lungo le principali vie di comunicazione, o in siti ricchi di
materie prime o vicini a fonti di energia e dove, inoltre, i vincoli
corporativi sono deboli.
Il caso di Manchester,
città dell'industria tessile (per decenni il segmento principale della
produzione industriale britannica), è l’esempio più significativo di una città
formatasi per la crescita rapidissima delle attività industriali e della
popolazione. Nei primi decenni dell’Ottocento Manchester è Coketown, la città
del carbone descritta da Dickens nei suoi romanzi: una città di mattoni che
sarebbero stati rossi ma resa nera e fuligginosa dalle fabbriche che bruciano
carbone, piena di ciminiere fumanti e fabbriche rumorose, di lavoratori, di
disoccupati, di miserabili, di abitazioni malsane, di rifiuti, di acque
maleodoranti. La situazione abitativa e viaria era tale che, secondo quanto ci
ha descritto Friedrich Engels,
«[…] le strade, anche le migliori, sono strette e
tortuose, le case sporche, vecchie e cadenti […]. Singole schiere di case o gruppi di case sorgono qua e là, come piccoli
villaggi, sul nuovo suolo d’argilla, su cui non cresce nemmeno l’erba; le
strade non sono né pavimentate né servite da fognature, ma ospitano numerose
colonie di maiali chiusi in piccoli recinti o cortili, o vaganti senza
restrizione per il vicinato. A sinistra e a destra del fiume una quantità di
passaggi coperti conducono dalla via principale ai numerosi cortili, entrando
nei quali ci si imbatte in una rivoltante sporcizia […]. In uno di questi
cortili, proprio all’ingresso là dove termina il passaggio coperto, si trova
una latrina priva di porta, e così sporca che gli abitanti per entrare e per
uscire dal cortile devono attraversare una pozzanghera di orina imputridita e
di escrementi che la circonda».
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Gustave Dorè, quartiere operaio nel centro di Londra, 1872 |
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Gustave Dorè, Dundley street, Londra 1872 |
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Panorama di Manchester durante la rivoluzione industriale |
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Panorama di Manchester durante la rivoluzione industriale |
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pianta di un appartamento operaio a Glasgow |
A fronte di tali criticità, comuni alle principali città
europee, le amministrazioni civiche avvertirono per la prima volta la necessità
dell’intervento pubblico sul privato, applicato grazie a due nuovi istituti
giuridici: il piano regolatore e l’esproprio per pubblica utilità. Gli
interventi ebbero un carattere più legislativo che urbanistico, ma servirono a
porre all’attenzione della cultura e della politica il problema delle città e
della classe operaia e proletaria e porteranno alla nascita dell'urbanistica moderna (nel 1901 in Olanda viene approvata la prima legge sulla Casa -Woningwet- e nel 1909 viene emanata la prima legge urbanistica inglese il Town Planning Act).
La via scelta per questo processo di riorganizzazione delle
città è principalmente quella di adeguarne la viabilità che, salvo rare
eccezioni, era ancora quella, minuta e frammentata, di origine medioevale,
spesso costretta all’interno di antiche cinte murarie considerate ormai una
barriera a ogni possibile espansione edilizia. Abbattere le mura, demolire i quartieri più insalùbri, scavare trincee
per interrarvi nuove reti di fognature e acquedotti, raddrizzare e allargare tracciati viari minuti e tortuosi, costruire le prime linee di metropolitana,
servire adeguatamente le nuove stazioni
ferroviarie saranno alcune delle principali direttrici comuni di azione
alle quali si aggiunge la necessità di ricostruire edifici e quartieri con standard igienici e di decoro più adeguati al
tempo. Le nuove capitali europee, emblema di Stati ormai proiettati verso
l’economia di mercato, rinnovano la propria veste e disegnano il volto della città borghese dei viali e dei parchi,
dei grandi magazzini, delle piazze e dei numerosi monumenti, dei tram e delle
ferrovie, dei musei, dei teatri, delle università e delle società scientifiche,
dei cortei e degli scioperi e, soprattutto, della produzione e dei consumi.
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Gustave Caillebotte, giornata di pioggia a Parigi, 1877 |
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grand magasins Printemps, Parigi, 1865 |
Alcuni modi d’intervento urbanistico saranno utilizzati
nelle più diverse realtà e possono essere considerati modelli, ad esempio
l'abbattimento delle mura di cinta (Vienna 1859-1872 e Firenze 1865-1875 ) o di
altre antiche barriere difensive che ostacolano l'espansione, lo sventramento
di quartieri vecchi e malsani (Barcellona 1859, Parigi 1853-1869), la
costruzione di edifici simbolo e di nuove grandi arterie (il Ring di Vienna o i
boulevards di Parigi).
L’ESEMPIO DI PARIGI
Tra tutte le capitali europee Parigi è forse stata quella
che per prima si è posta il problema della propria riorganizzazione
urbanistica. Ciò avvenne già nel XVII secolo, quando JeanBaptiste Colbert consigliere di Luigi XIV, fece demolire tra il
1670 e il 1676 l’imponente cinta delle fortificazioni parigine sulla riva
destra della Senna, realizzando al loro posto un viale alberato largo circa 35
metri: nacquero così i grand boulevards
una nuova e organica rete stradale che intrecciava quella di derivazione
medievale e, al tempo stesso, liberava le vie di accesso alla città smistandole
in modo scorrevole. Il piano di Colbert pone le premesse per il radicale
intervento realizzato nel XIX dal barone Eugène
Haussman, prefetto della Senna (un titolo equiparabile a quello di sindaco
di Parigi) dal 1853 al 1869, che porta alle estreme conseguenze il sistema dei
grand boulevards rivoluzionando l’assetto urbanistico della città facendola
diventare un modello per tutte le altre capitali europee del tempo. Sventrando
gran parte della vecchia Parigi con la realizzazione di circa 165 kilometri di
nuove strade Hausmann taglia letteralmente ciò che rimaneva del nucleo
medievale di Parigi, spazzando via, in nome delle ragioni igieniche, molti dei
vecchi e caratteristici quartieri popolari che, storicamente, erano stati il
focolaio delle rivolte popolari, dalla Rivoluzione del 1789 ai moti del 1848.
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vista aerea del centro di Parigi dove sono evidenti le trasformnazioni Hauusmanniane |
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schema dove sono evidenti gli interventi di trasformazione operati sui tessuti edilizi |
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Sovrapposizione della nuova viabilità sui tessuti edilizi esistenti |
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vista area dell'area tra place dell'Etoile e il Louvre |
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l'area del nuovo teatro dell'Opera, si nostano sull asinistra le sostituzioni nei tessuti edilizi |
Gli interventi di Hausmann sovrappongono all’antica città
una nuova maglia funzionale di strade larghe e rettilinee che formano una rete
di comunicazione fra i principali nodi della vita urbana e le stazioni
ferroviarie, assicurando, al contempo, efficaci direttrici di traffico
commerciale, di attraversamento veloce e di riparo strategico. La nuova rete di
boulevards ha infatti molteplici valenze. La prima, di tipo economico, consiste
nel favorire gli investimenti privati mobilitando capitali e determinando un
vigoroso rilancio del settore edilizio e commerciale.
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Rue de Rivoli nel 1900 |
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pianta e prospetto tipo di una palazzina d'affitto |
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caricatura della struttura sociale in una palazzina d'affitto |
La seconda, di tipo
sociale, era di costruire il nuovo salotto buono della Parigi borghese e imprenditoriale,
desiderosa di proporsi come la vera capitale morale e culturale d’Europa, ricca
di teatri, musei, ristoranti e caffè alla moda. La terza è relativa all’ordine
pubblico. Hausmann, infatti, era un prefetto di polizia e non un architetto e
il nuovo sistema di boulevards avrebbe consentito veloci ed efficaci
spostamenti di truppe e cariche di cavalleria in caso di sommosse o barricate
di protesta.
LA BARCELLONA DI CERDÁ
Negli anni cinquanta del XIX secolo iniziò anche l’espansione
trasformazione di Barcellona, con la demolizione dei bastioni e l’ampliamento
della città (eixample in catalano, ensanche in castigliano), i cui terreni
limitrofi erano rimasti fino ad allora liberi a causa di un vincolo militare.
Benché la capitale catalana fosse periferica nello scenario geopolitico e
culturale europeo dell’epoca, il suo piano di sviluppo rivestirà un ruolo
cruciale nella storia dell’urbanistica. Ne fu autore l’ingegnere civile Ildefonso Cerdá (1815-76), il primo
professionista a rendere esplicita l’intenzione di trasformare l’urbanistica in
scienza, in accordo con il clima positivista dell’epoca.
Secondo Cerdá la nuova disciplina si deve articolare in
quattro fasi: l’analisi dei dati e della topografia; la definizione di bisogni
e funzioni; la motivazione delle scelte; la traduzione di queste in
planimetria.
Il Piano di ampliamento di Cerdá, ispirato all’impianto delle
città americane e soprattutto dal recente piano di New York, prevede una scacchiera
regolare costituita da isolati quadrati di 113 metri di lato, smussati sugli
angoli in maniera da favorire la circolazione stradale (in particolare la
svolta dei tram). Le strade sono perpendicolari o parallele alla linea di
costa, tranne i due assi che attraversano la maglia diagonalmente (fu
realizzato solo quello che punta al mare percorrendo la città da sud-ovest a
nordest). Il piano originale limitava la densità abitativa, prevedendo che
ciascun isolato fosse destinato per due terzi a giardino, oltre a definire
precisamente il rapporto tra servizi e numero di isolati: un mercato ogni 4, un
parco pubblico ogni 8, un ospedale ogni 16, un centro sociale e religioso ogni
25. Anche se il piano fu solo in parte rispettato (nella realtà la densità
abitativa fu quasi quintuplicata), l’influenza di Cerdá è di lungo periodo:
tutta l’urbanistica della prima metà del Novecento sarà fondata sul tentativo
di applicare i princìpi della bassa densità abitativa e della puntuale
definizione di standard di servizi per gli abitanti.
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il piano di espansione di Ildefonso Cerdà |
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il piano di espansione di Ildefonso Cerdà - dettaglio sul centro storico di Barcellona |
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vista aerea di Barcellona dettaglio su Placa e Catalunya |
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l'articolazione degli isolati e il loro sviluppo nel tempo |
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vista aerea di Barcellona, |
ROMA E VIA DELLA CONCILIAZIONE
Gli anni ’30 del Novecento vedono, in Italia, una nuova
stagione di vaste demolizioni, con obiettivi politici, economici, di immagine:
il regime fascista vuole allontanare dal centro città i ceti sociali più poveri
e meno controllabili; offrire agli ambienti che hanno sostenuto l’ascesa del
fascismo occasioni di condurre lucrose operazioni immobiliari e celebrare il regime
con un linguaggio architettonico capace di impressionare il pubblico e
accattivare il consenso.
Nel programma di ammodernamento e ampliamento di Roma,
enunciato da Benito Mussolini nel 1925, si previde di demolire quanto costruito
nei secoli della decadenza affinché i monumenti della romanità tornassero a giganteggiare nella loro solitudine.
Si attuarono così operazioni quali l'isolamento del
Mausoleo di Augusto, la realizzazione di piazza Argentina, il tracciamento di
via dell'Impero (oggi via dei Fori Imperiali) e di via della Conciliazione. Ma
quasi ogni città mise in atto un proprio programma di sostituzione edilizia, di
cui restano esempi considerevoli, da Torino (via Roma) a Brescia (piazza della
Vittoria), da Genova (piazza Dante) a Napoli (attuale piazza Matteotti).
La via della Conciliazione, progettata dagli architetti Marcello Piacentini
e Attilio Spaccarelli, collega
idealmente la capitale d'Italia con lo Stato Vaticano in seguito alla firma dei
Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929 che
segnavano riconciliazione ufficiale tra lo Stato Italiano e la Santa Sede.
Realizzata a partire dal 1936 con la demolizione dell'isolato della cosiddetta Spina di Borgo, venne completata
in occasione del giubileo del 1950 con l'installazione di due file di portalampioni a forma
di obelisco
e costituisce una delle opere urbanistiche più discusse e aspramente criticate
del Novecento.
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la spina di borgo prima della demolizione |
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la spina di borgo prima della demolizione |
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la spina di borgo nella "Nova Topografia di Roma" incisa da Nolli e Piranesi (1748) |
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la configurazione del quartiere di Borgo dopo l'apertura di via della Conciliazione |
a sua realizzazione annullò
l'invenzione barocca ideata da Gian Lorenzo Bernini, che aveva creato un
suggestivo gioco prospettico, ponendo, in asse con la scomparsa via di Borgo
Nuovo, il portone in bronzo che conduceva alla Scala Regia,
all'interno della cittadella vaticana; un sorprendente percorso che
accompagnava lo spettatore dalle anguste e articolate strade della "Spina
di Borgo" alla grandiosità della piazza San Pietro, dalla quale venivano
offerti scorci verso la facciata della basilica e verso la cupola michelangiolesca.
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via della Conciliazione durante i lavori |
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gli studi di Bernini sulla visibilità della cupola dalla piazza |
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la spina di borgo vista dalla cupola |
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via della Conciliazione vista dalla cupola |
LE UTOPIE URBANE
Nell'Ottocento si assiste ad un acceso dibattito
sulle problematiche della città capitalistica: i profondi mutamenti del paesaggio
fisico e sociale delle città passa attraverso tensioni e squilibri rispetto ai
quali si hanno; a questi scompensi si hanno fondamentalmente due tipi di
risposte.
Da un lato la nuova società capitalistica
industriale si sforza di dimostrare che quello attuale è, nonostante gli
inevitabili effetti negativi, il migliore dei mondi possibili. Dall’altro lato
numerose correnti che rifiutano questa nuova società ed elaborano proposte
correttive o alternative. Si tratta di posizioni molto diverse tra loro che
partono però tutte da un punto in comune, cioè la critica alla società
industriale. Il socialismo utopistico, in particolare, cerca di correggerne gli
orientamenti
Nei primi anni del secolo assumono particolare
importanza, i socialisti utopisti che costituiranno un punto di
riferimento per una vasta parte della produzione successiva proponendo di
correggere gli orientamenti della città industriale con piani di riforma sociale
appoggiati a modelli insediativi alternativi. Il più noto tra questi sarà Charles
Fourier.
Fourier immagina un modello urbanistico che si
identifica nel falansterio, il modello edilizio che rappresenta forse l'aspetto
più noto e interessante del suo pensiero.
l falansterio è una struttura sociale ed urbana unica,
razionalmente organizzata, che si oppone al caos delle città. Al suo interno si
vivrà come in un grande albergo, e ai suoi abitanti (fissati in 1.600 individui) non saranno concessi
alloggi separati: i vecchi saranno alloggiati al piano terra, i ragazzi al
mezzanino e gli adulti nei piani superiori. Al centro del falansterio, nella
Place de Parade si troveranno i servizi pubblici: la Tour de Ordre
con l'orologio e i mezzi per comunicare ovvero il telegrafo ed i piccioni
viaggiatori. Dalla torre si diramano due ali che contengono tutte
le funzioni residenziali e produttive, pubbliche e private. Le ali sono servite
in tutta la loro lunghezza da una strada-galleria (rues intérieures) situata al primo piano.
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Charles Fourier, falansterio |
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Charles Fourier, falansterio |
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Charles Fourier, falansterio - sezione schematica |
Il falansterio è quindi un complesso organismo,
dove si cerca di mantenere l'equilibrio alternando spazi pubblici a spazi
privati, in modo da far convivere vita individuale e comunitaria. Ogni
falansterio è un'unità produttiva autonoma agricolo-industriale. La reggenza
della falange (così è chiamata la comunità ospitata nel Falansterio) anticipa ad ogni membro povero il vitto, l'alloggio ed il
vestiario di terza classe.
Tra i vari tentativi di attuazione dei principi
di Fourier va sicuramente ricordato il Familisterio di Jean Baptiste André
Godin, una comunità sperimentale basata sull'integrazione tra capitale e lavoro
operaio.
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modello del Familisterio di Guise |
Il familisterio di Godin, realizzato tra il 1859 e il 1870, è un rimpicciolimento
del falansterio: l'edificio è sempre costituito da tre blocchi di abitazioni
comunicanti, ma i cortili sono di dimensioni molto più ridotta, e svolgono la
funzione delle rues intérieures del falansterio. I tre blocchi delimitano la
piazza d'ingresso che è a sua volta chiusa a distanza sul quarto lato dal teatro
e dalle scuole.
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Familisterio di Guise, immagine d'epoca |
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Familisterio, sezione e pianta tipo |
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Familisterio di Guise, la corte coperta in un'immagine d'epoca |
Le abitazioni, che in questo caso sono autonome ed indipendenti,
si affacciano tutte sui cortili-ballatoio coperti da vetrate, destinati a
spettacoli e riunioni collettive. Si rinuncia così alla vita comunitaria
prevista nel falansterio, pur mantenendo i vantaggi assicurati dai servizi in
comune; lo stesso concetto che è tra l'altro sarà alla base della unité
d'habitation di Le Corbusier. Del fourierismo restano, infatti, alcuni aspetti
come l'assistenza sociale molto avanzata (cassa pensioni, cassa malattia
lavoratori, cassa medicinali, assicurazione lavoratrici) e il sistema
pedagogico, che trasferisce dalla famiglia alla comunità l'educazione dei
figli:
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Il Familisterio di Guise,oggi |
IN INGHILTERRA MATURA LA CONCEZIONE DELLA CITTÀ GIARDINO
Il teorico inglese di urbanistica Ebenezer Howard (1850-1928), nel ricercare un equilibrio armonico
tra residenza, industria e agricoltura, riprese dal modello del villaggio
operaio il principio dell’autosufficienza economica per formulare un programma
di carattere universale, la città
giardino illustrato nel suo libro Tomorrow: A Peaceful Path to Real Reform (1898), ripubblicato quattro anni
dopo con il più noto titolo di Garden
Cities of Tomorrow. La città giardino avrebbe dovuto unire i vantaggi di
una moderata concentrazione urbana (salari più alti, maggiori opportunità
sociali) con quelli tipici della campagna (salubrità dell’ambiente, basso costo
dei generi alimentari), azzerando così i contrasti tra i due mondi e attraendo flussi
di popolazione altrimenti destinati ad addensarsi nei grandi centri.
A scala territoriale è proposto un sistema di città satelliti, piene di verde e sufficientemente
distanziate, disposte a corona attorno a una città centrale e collegate tra
loro da un sistema viario principale, da una rete di canali e dalla ferrovia.
La singola città giardino, con una popolazione massima prevista di 32 000
abitanti, ha struttura radiocentrica
divisa in una serie di fasce concentriche, riservate alle diverse funzioni:
nell’anello più esterno, e più ampio, avrebbero trovato posto le attività
agricole e alcune piccole attività industriali; una corona intermedia, con
depositi, laboratori e scalo ferroviario, avrebbe separato la campagna dalla città;
nel mezzo, attorno a un parco centrale, avrebbero trovato posto le fasce
residenziali, tutte rigorosamente a bassa densità. Le schiere di cottages,
dotate di orto e di giardino privati, sarebbero state intervallate da scuole,
campi gioco e altre attrezzature per il tempo libero.
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Ebenezer Howard, sistema di città satelliti a corona di una città centrale (tratto da Garden cities of tomorrow) |
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Ebenezer Howard, schema di una Garden city (tratto da Garden cities of tomorrow) |
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Ebenezer Howard, schema della struttura radiale di una Garden City (tratto da Garden cities of tomorrow) |
Lo schema di Howard sarà l’unica utopia urbanistica del
ventesimo secolo a diventare realtà, -applicata, con le dovute differenze, alle
periferie urbane a bassa densità di tutto il mondo: dai garden suburb e neighborhood
unit (unità di vicinato) anglosassoni, dimostrando la flessibilità
necessaria ad adeguarsi, in vari tempi e vari luoghi, alle esigenze di uno
sviluppo pianificato.
Lo schema di Howard sarà l’unica utopia urbanistica del
ventesimo secolo a diventare realtà, dimostrando la flessibilità necessaria ad
adeguarsi, in vari tempi e vari luoghi, alle esigenze di uno sviluppo
pianificato. Con le dovute differenze il modello della garden city sarà
applicato alle periferie urbane a bassa densità di tutto il mondo: dai garden suburb e neighborhood unit (unità di vicinato) anglosassoni ai sobborghi
IN FRANCIA SI PROGETTA LA CITTÀ INDUSTRIALE
Negli stessi anni in cui si diffondeva l’idea della città
giardino venne proposto da uno studente di architettura francese, Tony Garnier (1869-1948), uno schema
dettagliato per un’ipotetica città industriale. Le premesse non erano dissimili
da quelle che avevano ispirato la nascita dei villaggi operai: anche in questo
caso all’origine c’era il principio dell’autosufficienza, unito al proposito di
ridefinire il rapporto tra industria, servizi e residenza.
Tony Garnier tracciò, in una serie di grandi tavole acquerellate
raccolte sotto il titolo di Cité
industrielle, i contorni precisi di una città ideale, rigidamente suddivisa
in zone funzionali: l’area industriale da un lato, la parte residenziale
dall’altro, le attrezzature collettive al centro.
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Tony Garnier, pianta della Citè industrielle |
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Tony Garnier, citè industrielle, vista a volo d'uccello |
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Tony Garnier, citè industrielle, vista a volo d'uccello |
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Tony Garnier, citè industrielle, il quartiere residenziale |
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Tony Garnier, citè industrielle, la stazione ferroviaria |
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Tony Garnier, citè industrielle, le officine |
Ciò che nella tradizione
utopistica dell’Ottocento era stato nascosto o mimetizzato venne esaltato da
Garnier: i segni più invadenti del paesaggio industriale – come l’altoforno, i
docks, lo scalo ferroviario – diventarono i protagonisti della nuova scena. Lo
schema fu definito una prima volta tra il 1901 e il 1903 durante un soggiorno a
Roma presso l’Accademia di Francia: in quel clima classicista, Garnier delineò
una sorta di nuova Atene destinata a celebrare il mito del progresso tecnico e
sociale. Nel suo progetto il riscatto delle classi lavoratrici non passa
infatti attraverso grandi edifici collettivi o idilli rurali, ma in una serie
di grandi e moderne strutture (macelli, depositi, ospedali, quartieri popolari
…) che, nel corso degli anni, riprenderanno l’idea di monumento al lavoro che
stava alla base della sua proposta.
L’ARCHITETTURA AMERICANA
LA SCUOLA DI CHICAGO E LO
SVILUPPO VERTICALE DELLA CITTÀ
In contrapposizione al modello disperso e provvisorio di
abitare delle grandi praterie, che trovava nelle case in legno a balloon frame il suo carattere più
emblematico, le grandi città americane arrivarono, negli ultimi decenni
dell’Ottocento, a livelli di densità e congestione inimmaginabili. Nodo di
scambio fra le città della costa atlantica e le sterminate pianure dell’Ovest, Chicago visse, in particolare, una
straordinaria trasformazione nel corso degli ultimi due decenni del secolo XIX.
Devastata nel 1871 da un incendio che distrusse larga parte della zona
centrale, risorse a nuova vita pochi anni dopo, quando imprenditori,
commercianti, industriali, società di assicurazioni e banche iniziarono a investire
nella ricostruzione, i professionisti arrivarono da ogni parte degli Stati
Uniti per sfruttare le opportunità offerte dalla fervida attività edilizia.
Da questa particolare combinazione nacque la Scuola di Chicago, e la città divenne il
laboratorio di alcune delle innovazioni più significative per la definizione di
moderni edifici alti destinati a sfruttare al massimo il valore dei suoli: i grattacieli.
Realizzati all’interno della maglia regolare dei lotti
urbani per ospitare funzioni rappresentative e commerciali, gli edifici di
Chicago crebbero in altezza grazie all’applicazione di due invenzioni tecniche:
l’ascensore e lo scheletro portante (telaio) in metallo,
leggero e a prova di fuoco. Il primo edificio alto in cui l’ascensore fece la
sua comparsa si trova in realtà a New York: si tratta dell’Equitable Life Assurance, costruito tra il 1868 e il 1870, alto 40
metri; sempre a New York sorsero negli anni successivi edifici alti anche 80
metri. Ma è a Chicago che nel 1883-85 venne realizzato il primo grattacielo con
una struttura portante interamente in metallo: lo Home Insurance Building che poggiava su un basamento in pietra e
sfruttava le potenzialità della struttura metallica, rivestita da materiale ignifugo,
per la realizzazione di pareti quasi interamente finestrate.
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Equitable life insurance building, New York, 1868-1870 |
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Home Insurance Builidinf, Chicago 1838-1885 |
Tra il 1889 e il
1892 venne realizzato il Monadnock
Building, alto 60 metri e caratterizzato dai bow-window, corpi finestrati
in aggetto che ne ondulano il profilo; il Monadnock fu anche l’ultimo edificio
commerciale di Chicago a impiegare un anello di muratura portante all’esterno e
colonne in ghisa e travi in ferro saldato all’interno. Quasi
contemporaneamente, nel Reliance Building
l’immagine dell’edificio fu affidata a una struttura in metallo mascherata solo
da un leggero rivestimento in terracotta chiara, finemente decorata in
corrispondenza delle fasce marcapiano.
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Monadnock building, Chicago 1889-1892 |
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Monadnock building, Chicago 1889-1892 |
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Reliance Building, Chicago 1894-1895 |
Con lo scopo di conferire dignità architettonica alla
tipologia dell’edificio commerciale alto, Louis
Sullivan, il più importante architetto della sua generazione e futuro
maestro di Frank Lloyd Wright, teorizzò un’organica corrispondenza tra forma e
funzione: con il progetto e la realizzazione del Wainwright Building a St. Louis e del Guaranty Building a Buffalo, egli definì il grattacielo come una
costruzione tripartita, fornita di una base (gli ingressi, gli spazi
commerciali e le vetrine del piano terra), un corpo principale (i diversi piani
destinati a uffici) e un coronamento (che copre, come un cappello, l’intero
edificio. Secondo l’architetto americano il trattamento formale deve essere
diverso per ciascuna delle diverse parti di un grattacielo: ampie aperture al
piano terreno, una successione di livelli scanditi da finestre, un coronamento
dove può trovare spazio la decorazione – come le foglie in cima a un albero.
Pur nella persistenza del modello, gli edifici sono però pensati come individui,
ciascuno con la propria fisionomia, definita per Sullivan in particolare
dall’ornamento.
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Wainwright building, St Louis 1890-1891 |
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Guaranty building, Buffalo, 1896 |
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