Renato Guttuso, Vucciria, 1974, olio su tela, 300x300 cm
Renato Guttuso,
nasce a Bagheria (PA) nel 1911.
Giovanissimo
frequenta la bottega di un decoratore di carretti e a tredici anni firma i suoi
primi lavori, copie generalmente su tavolette di legno, di pittori realisti
locali o, meno spesso, francesi, ma anche opere originali.
La sua
arte, legata all’espressionismo, fu caratterizzata da un forte impegno sociale che
lo spinse a battersi, nel secondo dopoguerra, a favore di un’arte più realista
e descrittiva, che considerava popolare e maggiormente accessibile alle masse,
in coerenza con la sua adesione al partito comunista
Nonostante il
successo internazionale, che lo confermò come dei nomi più importanti dell’arte
del Novecento, non abbandonò mai né il suo stile figurativo realistico e
naturalistico, né la terra che meglio assecondava le sue caratteristiche, la
Sicilia nonostante il trasferimento a Roma nel 1933.
La sua
opera più famosa è la Vucciria conservata all'interno della sede istituzionale
dell’Università di Palermo, Palazzo Chiaramonte-Steri.
Dipinto nel
1974, quando aveva 63 anni ed era nel pieno della sua maturità artistica ed
espressiva, il quadro fotografa una scena realistica tratta dalla vita
quotidiana di Palermo.
La parola
vucciria deriva dal termine francese boucherie (macelleria).
Successivamente venne italianizzato in bocceria e infine sicilianizzato e usato
tutt’ora con il termine soprascritto con il significato di confusione relativo
al miscuglio incomprensibile di voci, di persone, di oggetti, di espressioni e
di azioni. Il nome in sé mette in evidenza la struttura stessa del mercato
palermitano, il quale ricorda moltissimo i suk, cioè i mercati arabi.
Nello
stretto spazio di vicoli, piazzette, crocicchi e scalinate, si accavallano i
numerosi banchi dei mercanti e le botteghe degli artigiani. Per rendere tutto
ciò nella bidimensionalità della tela, Guttuso sceglie un formato di 3m per 3m
e realizza un primo disegno di insieme e una serie di studi per trasformare in
azione la sua fervida immaginazione.
Basatosi su
un gran numero di fotografie, fatte da lui stesso l’artista decide poi di
discostarsi da un’immagine fotografica per proporre una sintesi di elementi
oggettivi, cose e persone, che creano una specie di natura morta in mezzo alla
quale la gente cammina e si incontra.
L’osservatore
è rapito a primo impatto dalla confusione (la “vucciria” appunto) di gente e
merce: i passanti si districano fra loro in un contatto fisico a cui
sembrano abituati a causa del poco spazio che lasciano le grandi bancarelle.
L’unico pezzetto di strada che si può trovare visibile è quello spazietto ai
piedi della donna con il vestito blu.
Lo spazio è
scandito ritmicamente dalle cassette ricche di pesci e dei crostacei a
sinistra, dal marmo in cui il pescivendolo mette in bella mostra le teste dei
pesce-spada, passando poi dalle casse di frutta e verdura che circondano i
passanti, per non parlare della macelleria dove si assiste al realismo crudo del
quarto di bue appeso sugli uncini, il vero protagonista della tela (le varietà
di prodotti esposti e rappresentati nell’opera sono più di ottanta). Nonostante
la scena sembri vaga e disordinata, l’autore valorizza ogni singola merce
grazie all’utilizzo ben equilibrato degli effetti cromatici (come ad esempio il
colore roseo del pesce-spada) e ad una composizione asimmetrica (la porzione destra
del quadro, quella occupata dalla macelleria, è larga la metà di quella
sinistra) che consente all’osservatore di non perdersi nel trambusto del
mercato.
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