"E'
del poeta il fin la meraviglia...chi non sa far stupir vada alla striglia"
[G.B.Marino]
Il
termine Barocco –che, secondo alcuni
studiosi, può essere fatto derivare dal termine francese baroque (in spagnolo barrueco
e in portoghese barrôco) che nel
Seicento indicava una perla di forma irregolare-, venne applicato dagli
scrittori di età Neoclassica per indicare, con chiaro intento dispregiativo,
l’arte prodotta dagli inizi del Seicento alla metà del Settecento e le licenze che quegli stessi artisti si
erano presi dalla tradizione. Al
rigore rinascimentale si sostituì, infatti, una grande fantasia creativa finalizzata a
sorprendere e stupire l’osservatore: per fare questo si crearono forme nuove e
complesse e si sfruttò il contrasto dato dall'uso nella stessa opera di
materiali diversi, curando in ogni minimo dettaglio la decorazione.
Anche
se l’arte barocca si diffuse in tutta Europa, essa si legò soprattutto alla
Chiesa cattolica che ne fece un potente strumento di propaganda, per colpire e
coinvolgere il maggior numero di fedeli. Non deve perciò sorprendere che il
centro più importante di produzione dell’arte barocca sia stata Roma, sede del
papato.
Nella
prima metà del Settecento la necessità di sorprendere e stupire condusse a vari
eccessi, attraverso espressioni artistiche sempre più attente alla forma e
sempre meno ai contenuti. Nacque così il Rococò,
il cui sviluppo coincise con la massima potenza delle monarchie assolute in
Europa. Per questi sovrani gli artisti palazzi sfarzosi, di enormi dimensioni e
ricchi di mobili preziosi e raffinati: le regge di Madrid e di Caserta per i
Borboni, Versailles in Francia, l’Ermitage di San Pietroburgo in Russia e la
palazzina di Stupinigi per i Savoia a Torino.
Uno
dei parametri che meglio definiscono l’estetica barocca è il concetto di immagine: l’apparenza illusoria di
qualcosa che nella realtà può anche essere diverso. In pratica nell'età barocca
che si apre una separazione tra l’essere e l’apparire dove il secondo termine
prende una sua indipendenza dal primo.
Durante
l’età umanistica, la conoscenza si era affermata attraverso l’osservazione
diretta dei fenomeni; cercando di capire ciò che si osservava si acquisiva una
nuova comprensione del reale. Era un notevole progresso rispetto ad una
conoscenza che in età medievale era ammessa solo come interpretazione simbolica
delle sacre scritture e in età umanistica artista e scienziato (anche se per
quell'età è improprio usare questo secondo termine) erano spesso la
stessa persona, si pensi, ad esempio, alla figura di Leonardo Da Vinci.
Nel
Seicento ciò non è più possibile. La nascita delle scienze sperimentali e i
progressi delle discipline matematiche portarono la conoscenza in ambiti
lontani da quelli che si potevano esprimere attraverso l’osservazione diretta.
Anzi, la conoscenza attraverso i sensi viene messa decisamente in crisi, se
pensiamo a quanto questi possano facilmente ingannarci, come nel caso della
sfericità della terra o del suo movimento rotatorio e di rivoluzione intorno al
sole. In pratica non sono più i sensi, ma è l’intelletto, la chiave di volta
per accedere alla conoscenza della realtà. L’emergere di figure specialistiche
come i matematici, che con verifiche
sperimentali tentano in modo sempre più articolato un approccio scientifico e
teorico a sostegno di scelte tecniche e strutturali complesse, apre il campo a
nuove identità professionali –che porteranno alla nascita dell’ingegneria- e.
chiude definitivamente la generazione in cui l’architetto è il padrone di tutte
le tecniche, il giudice supremo delle scelte artistiche in campo
architettonico, plastico e pittorico.
In
questa inevitabile evoluzione, l’arte resta confinata al rango di attività che controlla solo le apparenze,
senza doversi più preoccupare del vero e ciò finisce per essere in linea
anche con l’aspettativa del tempo, dove il problema del decoro, inteso come rappresentazione di sé nel contesto della
società, diviene punto nodale della vita sociale del tempo.
Ma
perché apparire ed essere non possono, o non riescono, a coincidere nel XVII
secolo?
Uno
dei motivi è sicuramente rintracciabile nella evoluzione del rapporto
chiesa-società a seguito della Controriforma e della imposizione di una rinnovata
ortodossia religiosa attraverso l’uso dei tribunali dell’Inquisizione. È
sicuramente vero che nel XVII secolo vengono gettate le basi del moderno
pensiero scientifico, ma è altrettanto vero che i conflitti con il pensiero
religioso furono altamente drammatici, come nel caso di Galileo Galilei. Il
Seicento non fu certo un secolo in cui era facile vivere, e salvare le
apparenze poteva risultare vitale per la propria sopravvivenza, anche a costo
della verità.
Un altro motivo di questa aumentata importanza dell’apparire va
rintracciato nell'aumento della ricchezza che investì l’Europa dopo lo
sfruttamento delle colonie da parte delle nazioni più attive nelle conquiste
militari, come la Spagna o l’Inghilterra, o più attrezzate nei commerci
marittimi e internazionali come i Paesi Bassi e il Portogallo. L’aumento di
benessere ebbe come conseguenza un divario maggiore tra classi ricche
(aristocratici, ecclesiastici, borghesi, militari e mercanti) e classi povere
(contadini, artigiani e proletari in genere), e siccome l’arte rimase ad ovvio
ed esclusivo servizio dei primi, non poteva che esaltare il loro status e la
loro condizione di decoro quale segno di potere ed importanza.
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Velasquez, Las Meninas, (1656) |
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Michelangelo Merisi (Caravaggio), la vocazione di San Matteo (1599-1600) |
Se
si entra in una siffatta mentalità è ovvio che la possibilità di controllare
l’immagine, fino al limite dell’illusione, è un’attività molto apprezzata, sebbene
di dubbie qualità etiche. Da qui uno dei capisaldi dell’arte barocca e della
sua critica posteriore: non si è mai certi se ciò che si vede è vero o è solo
un’illusione creata ad arte.
L’arte
barocca
Definire
i caratteri dell’arte barocco non è molto difficile.
Uno
dei primi parametri è sicuramente l’uso
privilegiato della linea curva. Nulla procede per linee rette ma tutto deve
prendere andamenti sinuosi. Le curve che un artista barocco usa non sono mai
semplici, quali un cerchio, ma sono sempre più complesse. Si va dalle ellissi
alle spirali, con una preferenza per tutte le curve a costruzione policentrica.
Tanto meglio se poi i motivi si ottengono da intrecci di più andamenti curvi.
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Guarino Guiarini, Palazzo Carignano, Torino (1679-1685) |
Un
altro parametro stilistico del barocco è sicuramente la complessità. Nulla deve essere semplice, ma deve apparire come
il frutto di un virtuosismo spinto agli estremi del possibile. In pratica
l’effetto che un’opera barocca deve suscitare è sempre la meraviglia. Dinanzi
ad essa si doveva restare a bocca aperta, chiedendosi come fosse possibile
realizzare una cosa del genere.
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Guarino Guarini 'interno della cupola della chiesa di San Lorenzo, Torino (1634-1680) |
Un
altro parametro del barocco può essere considerato l’horror vacui. Con tale termine si indica quell'atteggiamento di
non lasciare alcun vuoto nella realizzazione di un’opera. Ciò produce la
sensazione che un’opera barocca abbia una «densità» eccessiva: una pietanza con
troppi ingredienti.
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Andrea Pozzo, il trionfo di Sant'Ignazio, (1691-1694) |
Altro
elemento tipico del barocco è ovviamente l’effetto
illusionistico. Ciò è intimamente legato all'atteggiamento di considerare
l’arte soprattutto come decorazione. Per cui i finti marmi o le dorature erano
utilizzate in sovrabbondanza, per creare l’illusione di preziosità non reali ma
solo apparenti. Ma l’effetto illusionistico è utilizzato anche in pittura e in
scultura. Nel primo caso la grande padronanza tecnica della prospettiva
consentiva di creare effetti illusionistici di grande spettacolarità, come
avveniva spesso nelle grandi decorazioni ad affresco. In scultura la padronanza
tecnica al limite del virtuosismo più esasperato, consentiva di imitare nel
duro marmo aspetti di materiali più morbidi con effetti illusionistici
straordinari.
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Giuseppe Sammartino, Cristo velato (1753) |
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Giuseppe Sammartino, Cristo velato - dettaglio del busto- (1753) |
Un
ultimo parametro dello stile barocco è infine l’effetto scenografico. Le opere barocche, in particolare quelle
architettoniche e monumentali in genere, costituiscono sempre dei complessi
molto estesi che segnano con la loro presenza tutto lo spazio disponibile. In tal
modo il barocco è la quinta teatrale per eccellenza che faceva da cornice alla
vita del tempo, anch'essa regolata da aspetti e cerimoniali improntati a grande
decoro.
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Francesco De Sanctis, scalinata di Trinità dei Monti (Roma), 1725 |
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Francesco De Sanctis, scalinata di Trinità dei Monti (Roma), 1725 |
L’architettura barocca
Nel
corso del Seicento l’architettura svolgerà sempre più un ruolo trainante per
definire i nuovi parametri stilistici del barocco e il barocco troverà la sua
maggior definizione proprio in ambito architettonico influenzando anche le
altre forme d’arte si pensi al trompe l’oeil e agli spazi sfondati in pittura o
all'effetto teatrale e scenografiche dei gruppi scultorei di alcune cappelle,
prima fra tutte la cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria a Roma
realizzata dal Bernini.
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GianLorenzo Bernini, cappella Cornaro, (1647-1652) |
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GianLorenzo Bernini, cappella Cornaro - Estasi di Santa Teresa, (1647-1652) |
Non
è chiaro quando la libera elaborazione delle forme rinascimentali, propria del Manierismo,
ma in realtà già avviata da Michelangelo nel vestibolo della Biblioteca
Laurenziana, si trasformò nel Barocco.
Progredendo
la ricerca formale e, all'interno di un profondo rinnovamento culturale di cui
è artefice soprattutto la generazione dei matematici e dei filosofi, prende,
infatti, vita un mutamento profondo dell’estetica architettonica che condurrà a
espressioni tecniche e capacità artistiche in un continuo di venire di forme
complesse; gli architetti si allontaneranno sempre di più da una
rappresentazione plausibile delle strutture e muoveranno verso forzature
espressiva attraverso le quali rappresentare la ricerca del movimento e
dell’energia e la spinta delle masse murarie in un equilibrio perennemente
instabile che cerca di stupire e di suscitare una reazione di forte meraviglia.
Superato il modello architettonico rinascimentale, all'interno
dell’intelaiatura prevista dal sistema classico (ma non necessariamente
riconducibile alla codifica vitruviana), i muri cominciano a inflettersi e a
incurvarsi; l’edificio assume una configurazione planimetrica definita da
progressive espansioni e contrazioni, alternate a settori di parete rettilinei,
creando un effetto mosso e dinamico che dalla pianta si trasferisce all'intera
superficie delle pareti.
Anziché
tendere a perfezionare fino all'assoluto il tema della pianta centrale i
maggiori architetti barocchi, spinti anche dalle esigenze controriformistiche,
contaminarono le forme e cercarono di creare nuovi rapporti e nuove gerarchie
tra i volumi centrali e quelli minori spesso posti ai vertici delle figure
geometriche semplici che sono alla base del principio compositivo
dell’edificio; il processo, replicato e frammentato, conduce a generare piante
complesse, ricche di simbologie latenti. Nell'architettura sacra, il compito
dell’architetto sarà così quello di creare un edificio in grado di guidare il
fedele in un percorso verso un centro – il dogma – inteso come il cardine
dell’esistenza umana e spirituale. In ambito laico, si tratterà di creare nuove
organizzazioni urbane e territoriali, in cui da un luogo centrale, sede del
potere, si irradiano differenti sistemi minori, subordinati a un unico
principio ordinatore che ne controlla la genesi e la proliferazione.
Il
Barocco italiano e, in particolare quello romano, è essenzialmente
rappresentato dalle figure di due grandi protagonisti-antagonisti: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini.
Architetto,
pittore, scenografo, Gian Lorenzo Bernini è uno dei maggiori scultori del ‘600
italiano nonché uno dei maggiori rappresentanti del Barocco. e il maggior
interprete dell’arte della Chiesa cattolica nel periodo della Controriforma,
tant'è che ben otto papi, succedutisi nel corso della sua lunga vita, gli
commissionarono opere di notevole impegno e responsabilità. Le sue opere
superano i limiti della scultura, dialogando con lo spazio architettonico e
urbano, e portando a compimento l’ideale barocco di fondere tutte le arti.
Figlio
di uno scultore fiorentino Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre del 1598. Nel
1605 rientra a Roma con la famiglia e proprio in questa città compie la sua
formazione artistica studiando la scultura classica e la pittura di Caravaggio.
La sua grande abilità nella scultura emerge fin dalle prime opere, realizzate
intorno al 1615. Tra i suoi committenti iniziali ci sono le grandi famiglie
patrizie di Roma, successivamente Bernini viene scelto da Maffeo Barberini, il
futuro papa Urbano VIII, per la realizzazione di spettacolari progetti
urbanistici e architettonici a Roma, tra i quali l’innovativo Baldacchino di
San Pietro, con le sue colonne tortili, e nel 1629, al culmine della fama,
viene nominato architetto di San Pietro. Quando però diventa papa Innocenzo X,
la carriera di Gian Lorenzo subisce una battuta d’arresto: il suo ruolo di
primo piano nel cantiere della famosa basilica è messo in discussione dal
cedimento di uno dei campanili da lui stesso progettati e l’architetto
preferito del nuovo papa diventa Francesco Borromini. Nel 1651 realizza la
Fontana dei Quattro Fiumi di piazza Navona -opera ricca di riferimenti
allegorici e naturalistici dallo spettacolare impatto visivo- che gli permette
di risollevare le sorti della propria carriera artistica. Negli anni successivi
Bernini si dedica soprattutto alla realizzazione di progetti architettonici,
come il Palazzo di Montecitorio a Roma, la Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, ed
è incaricato di seguire la conclusione dei lavori per l’emiciclo di piazza San
Pietro: tutta la piazza è avvolta nell'abbraccio del suo colonnato. Gian
Lorenzo Bernini muore il 28 novembre del 1680, all'età di quasi 82 anni.
Il
Baldacchino di San Pietro è una scultura monumentale che si trova infatti al
centro della Basilica in corrispondenza della tomba di San Pietro, dove sorge
l’altare maggiore, e proprio sotto la maestosa cupola progettata da Michelangelo.
Quando riceve l’incarico per il Baldacchino di San Pietro, Bernini ha
venticinque anni, ha già dato prova della sua abilità realizzando sculture di
soggetto sacro e mitologico, e si è già conquistato una cerchia di committenti
importanti tra i nobili e i cardinali di Roma.
Bernini
concepisce un’opera innovativa e spettacolare che riassume in sè gli elementi
più caratteristici del Barocco. Una scultura monumentale, alta ventotto metri e
mezzo la cui forma riprende quella del baldacchino papale, la struttura che
accompagna il pontefice durante le processioni, nella quale le colonne tortili,
con capitelli compositi e i cornicioni ricurvi, creano un dinamico gioco di
effetti plastico-pittorici in grado di suscitare nello spettatore una
sensazione di leggerezza e insieme di stupore, per la straordinaria perizia
espressa dall'autore nella fusione delle colonne e nella definizione dei
particolari più minuti
Il
baldacchino di Bernini rappresenta una perfetta sintesi tra architettura e
scultura.
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GianLorenzo Bernini, Baldacchino della Basilica di San Pietro |
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GianLorenzo Bernini, Baldacchino della Basilica di San Pietro, vista verso l'abside |
La mole imponente del baldacchino ha infatti un impianto
architettonico: basti pensare che l’altezza del baldacchino (28 metri) supera
quella di un palazzo signorile. L’esecuzione, invece, è prettamente scultorea:
l’abilità di Bernini gli consente di trattare materiali duri come fossero
morbidi e leggeri, conferendo movimento e dinamismo alle forme. L’esecuzione
della grandiosa scultura si protrae per quasi dieci anni e verrà inaugurato da
Urbano VIII nel 1633.
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GianLorenzo Bernini, Baldacchino della Basilica di San Pietro, scorcio verso l'ingresso |
Il
Baldacchino è il primo monumento barocco dal significato universale. Esso
combina liberamente forme naturali, architettoniche e decorative, fondendole in
un insieme spettacolare che assume valore simbolico, per il fatto di essere una
rappresentazione sepolcrale ed un elemento di mediazione tra i fedeli e l’immensa
vastità della Basilica.
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GianLorenzo Bernini, Baldacchino della Basilica di San Pietro -dettaglio- |
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GianLorenzo Bernini, Baldacchino della Basilica di San Pietro -dettaglio- |
Il Colonnato e Piazza di S.Pietro in Vaticano
Nel
1629 moriva Carlo Maderno, l’architetto della fabbrica di San Pietro, autore dell’ampliamento nonché della
facciata della basilica. Nella prestigiosa ed ambita carica gli successe Gian
Lorenzo Bernini, che in quegli anni già lavorava in San Pietro per la
costruzione del baldacchino. Il nuovo ruolo consentì al Bernini di occuparsi in
maniera più diretta dell’architettura, ed egli fu sicuramente l’artista che più
contribuì a dare a Roma un volto barocco. E di certo, quale architetto, la sua
realizzazione più importante, ed anche la più originale e geniale, rimane la
sistemazione di piazza San Pietro.
La progettazione occupò undici anni di
lavoro, e le soluzioni vennero sviluppate con miglioramenti continui.Bernini
cominciò nell'estate del 1656, disegnando una piazza a forma di trapezio,
delimitata da palazzi con portici dagli archi a tutto sesto. Ma il risultato
non convinse l'artista che giudicò i palazzi troppo alti e l'effetto
complessivo un po' monotono e non abbastanza spettacolare. Serviva qualcosa che
creasse uno stacco con i palazzi apostolici, che armonizzasse l'insieme, che
mantenesse altezze più contenute per lasciar vedere bene la Loggia delle
benedizioni offrendo, al contempo, maggiore ampiezza spaziale jn grado di
garantire facilità di afflusso e deflusso dei fedeli e permettere lo svolgersi
di funzioni e processioni.
Nella primavera del 1657 aveva già impostato un
nuovo progetto, arrivando via via a definire una piazza di forma ovale e
sostituendo i palazzi porticati con un colonnato a trabeazione. Bernini cercò
anche di adattare le misure cercando di ridurre al minimo l'abbattimento di
strutture preesistenti, anche se questo avrebbe fatto sì che gli spazi ottenuti
non fossero perfettamente regolari. Ma era anche necessario risolvere il
problema delle proporzioni della facciata della Basilica e quello del
collegamento della forma ovale alla forma lineare dei palazzi apostolici.
Bernini quindi inserì la cosiddetta piazza retta, di forma trapezoidale davanti
alla chiesa, sviluppò in avanti due bracci porticati rettilinei leggermente
divergenti verso la facciata, in modo da collegare la chiesa con la piazza
ovale.
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Giovanni Battista Piranesi, veduta di piazza San Pietro |
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Gian Lorenzo Bernini, colonnato di piazza San Pietro, Roma |
veduta aerea |
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schema compositivo di piazza San Pietro, la piazza "retta" e la piazza ellittica |
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La sua grande esperienza sui rapporti ottici e dimensionali venne
applicata anche in questo caso per correggere i numerosi difetti che il
monumentale complesso di spazi ed edifici presentava. La leggera inclinazione
dei due portici rettilinei nella piazza trapezoidale permette una visione più
equilibrata della facciata, e ne restringe visivamente la larghezza eccessiva.
Le irregolarità nelle dimensioni, nella simmetria e tutti gli errori di
allineamento tra i diversi elementi, facciata, obelisco, piazze, vennero
risolti mediante calcoli geometrici e prospettive illusive, fino a renderli
impercettibili.
Il
diametro della piazza ovale misura 240 metri, mentre complessivamente la
lunghezza raggiunge 340 metri.
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piazza San Pietro, piastrella con l'indicazione di uno dei centri della piazza |
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schema della visibilità della cupola dalla piazza ellittica |
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piazza San Pietro, scorcio del colonnato |
Un
altro ingegnoso accorgimento ingegnoso adottato da Bernini è rappresentato
dalla disposizione delle colonne: l'allineamento delle colonne degli
emicicli è calcolato non sui raggi di un cerchio, ma sui raggi di un'ellisse,
il cui centro è indicato con una piastrella rotonda posta sul pavimento della
piazza. Questa soluzione offre allo spettatore un particolare effetto
dinamico-visivo: chi attraversa la piazza vede le colonne aggregarsi e
staccarsi passando da spazi vuoti a pieni, con un movimento continuo di
aperture e chiusure e offrendo un'immagine decisamente scultorea, di rotondità
e pienezza spaziale.
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Giovan Battista Falda, prospetto definitivo per piazza San Pietro con il "terzo braccio" (1667) |
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piazza san PIetro con la "spina di Borgo" nel 1922 , vista aerea |
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piazza san Pietro, prospettiva sulla "spina di Borgo" dalla cupola, prima del 1936. |
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Via della Conciliazione durante i lavori di realizzazione |
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piazza San PIetro, prospettiva su via della Conciliazione dalla cupola |
Francesco
Castelli, conosciuto come il Borromini, è un architetto italiano della prima
metà del XVII secolo. Insieme a Bernini è il maggior interprete
dell’architettura del periodo barocco.
Borromini
nasce il 27 settembre del 1599 a Bissone, in Svizzera. Intorno al 1608 si
trasferisce a Milano dove lavora come scalpellino e intagliatore di marmi. Nel
1620 è a Roma; la città vive in questi anni l’apice della cultura barocca. Si
diffonde una nuova concezione dello spazio: l’architettura si fa dinamica e
ricorre alla teatralità delle forme e a un uso suggestivo della luce. Borromini
inizia a collaborare con l’architetto Carlo Maderno nel cantiere della basilica
di San Pietro e alla sua morte diventa assistente del nuovo direttore dei lavori,
lo scultore-architetto Gian Lorenzo Bernini, che affiancherà anche a Palazzo
Barberini. Tra i due nasce una rivalità artistica e personale che andrà avanti
per tutta la vita, non soltanto per quanto attiene all'assegnazione delle
commesse di lavoro, quanto per il diverso modo di concepire l’architettura. Per
Bernini, che opera per la corte pontificia, la verità è emanazione di Dio,
mentre per Borromini, che opera alle dipendenze degli ordini monastici più
chiusi e rigorosi, scaturisce dalla ricerca dubbiosa di ognuno di noi.
A
36 anni riceve il suo primo incarico come architetto autonomo: la chiesa di San
Carlo alle Quattro Fontane. La sua particolare sensibilità, più propriamente
scultorea che architettonica, lo portò ad animare le sue costruzioni con contrastanti
movimenti ondulatori delle superfici murarie ed a farle protendere verso
l’alto; a tali caratteristiche, Borromini associa soluzioni stilistiche del
tutto nuove e, non di rado, bizzarre. Gli spazi sono concepiti in un’alternanza
di forme concave e convesse: le pareti si curvano, le colonne sporgono e
arretrano, la cupola appare schiacciata dall'effetto prospettico dei quattro
archi a cassettone. Tutto l’edificio segue una linea inquieta ed elaborata. Nel
1642 inizia la costruzione della chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, una delle
sue opere più rappresentative. Due triangoli invertiti e sovrapposti disegnano
la pianta dell’edificio, gli incroci delle pareti vengono smussati e morbide
curvature modellano l’andamento mosso della cupola.
Nel
1644 Innocenzo X diventa papa; Borromini entra nelle grazie del nuovo pontefice
che lo preferisce a Bernini e iniziano così le prime commissioni papali, tra
cui il restauro della basilica di San Giovanni in Laterano. Tra i numerosi
incarichi di questi anni c’è anche la progettazione della chiesa di Sant'Agnese
in Agone a piazza Navona, dove la curvatura concava della facciata interrompe
la linea retta della piazza. La sua ultima opera è la facciata di San Carlo
alle Quattro Fontane. Quando nel 1655 Innocenzo X muore, Borromini perde il suo
più illustre estimatore e la sua carriera s’interrompe. Colpito da una profonda
crisi si toglie la vita all'età di 68 anni trafiggendosi con una spada.
E’
il primo lavoro di Borromini ed è un’opera di particolare interesse per
l’esasperato movimento tridimensionale che anima le sue superfici in una
continua successione di curve e controcurve. Il tutto si traduce in una netta
ripulsa per le linee rette e per le superfici piatte.
L’interno
dell’edificio, di dimensioni alquanto ridotte (secondo la tradizione la chiesa
potrebbe essere contenuta in uno dei pilastri che sorreggono la cupola della
Basilica di San Pietro), ha pianta ellittica, con l’asse disposto
longitudinalmente: ciò, anziché ampliare gli spazi, tende a comprimerli.
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, spaccato assonometrico |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, pianta |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, schema geometrico della pianta |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, sezione |
Anche
in questo caso, le superfici delle pareti risultano notevolmente articolate, in
un continuo succedersi di cavità e convessità, scandite da colonne.
Sull'architrave che riprende l’andamento sinuoso delle pareti, poggiano quattro
arconi, su cui gravita una cupola ellittica a cassettoni. Quest’ultima, è
caratterizzata dalla ripetizione di motivi dello stesso tipo, ma di misure
gradualmente digradanti.
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, dettaglio di uno degli arconi che reggono la cupola |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, interno della cupola |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, il chiostro |
La facciata presenta una superficie ondulata (convessa
al centro e concava ai lati) che si articola su due piani della medesima
altezza, incorniciati da colonne ioniche (in basso) e corinzie (in alto). La
parte alta della costruzione è completata da un cornicione di coronamento su
cui gravita una balaustra che, nella parte mediana, è interrotta da un grande
medaglione ovale sorretto da angeli.
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, facciata |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, dettaglio sull'iscrizione |
Sant’Ivo allaSapienza (1642-1662)
La
costruzione è inserita in uno spazio ristrettissimo all'interno del cortile del
Palazzo della Sapienza, sede dal Quattrocento al 1935 dell’Università di Roma.
Il
grande cortile porticato, costruito nel Cinquecento, termina con una parete
semicircolare concava, dietro la quale Borromini costruisce, in pieno contrasto
volumetrico, il grande tamburo convesso che nasconde la cupola su cui svetta
un’alta lanterna, la cui copertura, avvolgendosi a spirale verso l’alto,
termina con un’originalissima struttura metallica. Il movimento ascensionale
della lanterna, non deve essere considerata una soluzione del tutto arbitraria
rispetto alla parte restante della costruzione ma, al contrario, è determinato
dal continuo succedersi di curve e controcurve e dalle ripetute sovrapposizioni
di corpi architettonici.
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Francesco Borromini, Sant'Ivo alla Sapienza, pianta |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, vista dal chiostro |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, spaccato assonometrico |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, schema compositivo della pianta |
La
cupola è certamente la soluzione più fantasiosa e tra le più spettacolari
dell’architettura borrominiana. La sua slanciata silhouette (che riprende il
motivo delle colonne binate della cupola michelangiolesca di San Pietro), è
paragonabile al vortice pirotecnico di una girandola, che conclude il suo moto
vorticoso, facendo improvvisamente apparire, fra l’ammirato stupore dei
presenti (essenziale componente dell’architettura barocca), un meraviglioso
oggetto: in questo caso, la croce, posta in cima alla costruzione.
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, interno della cupola |
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Francesco Borromini, San Carlo alle quattro fontane, dettaglio della lanterna |
Guarino
Guarini
Il
passo successivo nella ricerca di una completa interrelazione spaziale tra i
volumi che sono alla base delle concezioni architettoniche borrominiane, è
svolto da Guarino Guarini.
Guarini
considera l’architettura alla stregua di un organismo vivente, le cui strutture
portanti, esposte in tutta la loro forza vitale, sono come gli elementi
costitutivi di un sistema organico pietrificato, dove le forme, come egli
stesso scrive, sono espressione del «moto spontaneo di dilatazione e
contrazione […] diffuso per l’intero essere vivente». Tale concetto si
esplicita in una duplicità tecnico-formale, ben evidente se si osservano le
piante degli edifici di Guarini, che sono organizzate mediante la
sovrapposizione e la compenetrazione di figure geometriche indipendenti; queste
vengono ruotate e integrate, a definire spazialità complesse secondo schemi
continui, che a loro volta danno luogo a geometrie latenti che determinano la
definizione degli schemi strutturali essenziali, giocati sull'intreccio di
strutture talvolta portate all'estrema sintesi di resistenza dimensionale.
Cappella della Sacra
Sindone (1668-1694)
La
cappella fu inizialmente commissionata a Carlo
di Castellamonte dal
duca Carlo
Emanuele I di Savoia
per conservare il prezioso telo della Sindone che la famiglia ducale sabauda
custodiva da alcuni secoli. Con il tempo i progetti vennero modificati dal
figlio di Carlo, Amedeo
di Castellamonte, e poi
dallo svizzero Bernardino
Quadri, a cui si deve
la progettazione di un edificio a base quadrata incastonato tra il palazzo
ducale (ex palazzo vescovile e futuro palazzo
reale) e l'abside della
Cattedrale
di san Giovanni Battista.
Alla fine il progetto venne affidato al frate-architetto Guarino Guarini che rivoluzionò il progetto di Quadri (un
tradizionale corpo cilindrico con copertura a cupola sferica) realizzando una
pianta interna circolare, sopraelevata al presbiterio e comunicante
direttamente con alcune sale di Palazzo Reale. La base circolare è scandita in nove
sezioni, collegate due a due da un grande arco; a ogni coppia di sezioni se ne
alterna una terza che funge da ingresso.
Sviluppando
una straordinaria struttura a torre tutta giocato su una successione
decrescente di forme esagonali sovrapposte, Guarini trasfigura l’interno della
cappella in un’immagine di ascesa vertiginosa; la cupola, così fuori
dall’ordinario, prende la forma di un canestro rovesciato scorciato
illusoriamente verso l’alto (il gioco prospettico degli archi sormontati da
esagoni concentrici ruotati rispetto a loro stessi fa sì che la prospettiva
risulti accelerata, ovvero che all’osservatore posto al centro della cappella
la sua cupola appaia alta quasi il doppio), dove, sospesa a mezz’aria, una
grande stella lapidea a dodici punte filtra la luce proveniente dalla lanterna,
misteriosa e coinvolgente immagine del divino.
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, pianta, prospetto e sezione |
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, foto della cupola |
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone (sulla sinistra), schema delle generattrici geometriche |
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, schema della prospettiva accelerata |
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La
tecnologia costruttiva applicata nella cappella della Sindone rivela un sistema
costruttivo molto particolare, che varia in relazione al progredire in altezza
dell’edificio. Nella cupola traforata, in particolare, la massa muraria esterna
è ridotta ai minimi termini. Una serie di cerchiature esagonali in ferro
contiene, ai vari livelli, le spinte radiali, serrando la struttura traforata,
mentre all’esterno i contrafforti concentrano le forze verticali nei punti di
scarico prescelto, svolgendo nello stesso tempo il ruolo determinante di linee
di forza che per gravità caricano le loro masse verso l’asse verticale della
cupola, riducendo potenziali dissesti dovuti a possibili sforzi di trazione. Questo
sistema costruttivo, attuato mediante autonome intuizioni ed esperienze dirette
nei cantieri, fa sì che la cappella della Sindone sia un edificio eccezionale,
che sintetizza i traguardi raggiunti dalla tecnologia edilizia barocca,
portando a esaurimento le possibilità estreme nell’impiego dei materiali
tradizionali prima dell’affermazione, nel periodo dell’Illuminismo, di nuove
tecniche costruttive e, a partire dall’Ottocento, delle scienze matematiche
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, schema compositivo della cupola (sinistra), pavimentazione (destra) |
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, interno della cupola |
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Guarino Guarini, cappella della Sacra Sindone, interno della cupola |
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Esternamente
la cappella si presenta come un edificio a pianta quadrata che compenetra sia
il Duomo che Palazzo Reale. Sopra la base si innalza un tamburo in mattoni a pianta poligonale con 6
grandi finestroni ad arco, incorniciati da lesene e protetti da un tetto che
morbidamente si adagia sugli archi. Al di sopra vi è una copertura a cappella
sorretta da costoloni su cui sono installate numerose urne in pietra. Tra i
costoloni sbucano morbidamente linee arcuate orientaleggianti che disegnano
numerose aperture a semicerchio, fino a salire alla parte terminale della cupola, un piccolo tamburo circolare finestrato e prolungato con
una struttura a cannocchiale.
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