Il Cibo nell'arte

Mangiare è una delle pratiche fondamentali delle comunità umane.

Mangiamo per nutrirci, ma anche per stare insieme, per interagire con chi ci sta accanto e con l’ambiente.
L’atto di mangiare ha da sempre, in tutte le culture, un valore simbolico e sociale, oltre che, naturalmente, vitale ed esiste, in tutte le religioni uno stretto rapporto tra il cibo e il divino e, per questi stessi motivi, gli artisti si confrontano da sempre con questo soggetto.
Cucinare o, più in generale, preparare il cibo, significa simbolicamente sottomettere la natura (gli ingredienti, i materiali grezzi o gli animali che cacciamo) e trasformarla in cultura (il piatto finito); si tratta di un processo alchemico, magico, che serve ad allontanare la potenziale pericolosità del cibo: un copro estraneo che, attraverso la bocca, si introduce nel nostro corpo.


Da sempre, il cibo ha ricoperto un ruolo molto speciale nelle opere d’arte di tutte le epoche.

Partendo dalle scene di caccia dei graffiti preistorici, passando dai mosaici pompeiani e bizantini, fino alle opere più famose del Rinascimento come L’ultima cena, il cibo ha sempre occupato un posto di rilievo, destinato a comunicare all'osservatore la natura del quadro (religiosa, profana ecc).

In età preistorica, il cibo era la base di numerosi riti sacri, e la rappresentazione del suo approvvigionamento, in particolare con la caccia, assolveva ad una doppia funzione magica e propiziatoria: avere il consenso e la benevolenza di Madre Natura assicurandosi una caccia fruttuosa e contemporaneamente togliere la colpa per aver sottratto le materie prime alla terra.

Grotte di Lascaux, pitture rupestri con animali

Grotte di Lascaux, pitture rupestri con scene di caccia

La pittura greca aveva sostanzialmente ignorato il tema del cibo, preferendo l'immagine dell'uomo. I piatti con le vivande, che troviamo nelle scene di banchetto delle ceramiche e delle pitture, esistono, ma sono soltanto funzionali alla scena complessiva, nella quale il ruolo principale è giocato dall'uomo. 

cd. Cratere del naufragio, VII sec. a.c.

Paestum, tomba del tuffatore - scena di banchetto, V sec. a.c.

 Gli antichi chiamavano le rappresentazioni di cibo xenia, cioè doni ospitali: essi erano dipinti direttamente sulle pareti della casa e rappresentavano i doni di benvenuto per gli ospiti (un po’ come si usa negli alberghi moderni in cui agli ospiti si serve un cestino di frutta).Ne troviamo una eco negli affreschi ritrovati nelle ville di Pompei dove sono raffigurati infatti fichi, noci, pere, ciliegie, uva, miele, formaggi, e del latte con i vasi, cacciagione, pane e vino.

Oplontis (Torre Annunziata),, cd, Villa di Poppea, affresco con vaso di mele

A questi si aggiungono i mosaici pavimentali asarotos oikos (pavimento non spazzato) diffusi dal II sec a.C. fino al II d.C. I che illustravano i resti dei banchetti che rimanevano sul pavimento ed erano destinati ai parenti defunti.


Musei vaticani, mosaico di Vigna Lupi, II sec. a.c.

Un altro elemento che concorre al formarsi della natura morta nell'antichità è l'uso di dotare la tomba di un corredo di oggetti o di cibi per la vita dell'aldilà. In quest'ambito si scopre che, da un determinato momento, i cibi (uova, uva, melograni vari a simboleggiare la rinascita, la ricchezza e il sacrificio) per loro natura deperibili, sono sostituiti dalle loro rappresentazioni in pittura, in terracotta e forse anche in legno e in cera.

Con l’affermarsi della simbologia cristiana il cibo passa lentamente da essere una rappresentazione del reale e un indice del benessere e della posizione sociale di colui che ha ordinato l’opera, per assumere una vera e propria valenza simbolica.


Catacombe di S. Callisto, affresco con pani e pesci eucaristici, III sec. d.c.

Museo del bardo, mosaico del VI sec. d.c. con simboli ciristiani

Soprattutto nel Medioevo i cibi assumono assumono significati allegorici, non tanto legati al sostentamento e alla nutrizione, quanto al fattore culturale, rendendo espliciti i rapporti e la differenza tra le classi sociali, identificando regioni geografiche, il susseguirsi delle stagioni e persino le fasi della vita.
In particolare le scene di banchetti diventano simbolo di convivialità e socializzazione, nei quali le sontuose portate si contrappongono alla vita spirituale e forniscono un ottimo pretesto per lanciarsi in raffinati virtuosismi stilistici in un trionfo di frutta e verdura, vassoi traboccanti di pesci e cacciagione, stoviglie, alzate, trasparenze di vetri e cristalli, trine e pizzi finissimi, sfarzose sale da pranzo o spoglie cucine descritte nei minimi particolari.

Ricamo di Bayeus, scena di banchetto, XI sec.

Les Très rich heurs del Dica di Berry, miniatura con scena id banchetto, 1413-1416


Jean Fouquet, miniatura con Banchetto in onore di Carlo IV, 1455-1460
Sul finire del Cinquecento, la rappresentazione del cibo nei quadri fornisce una vera e propria lettura sociologica del periodo. Principalmente si dà importanza al cibo dei poveri o alla contrapposizione del cibo consumato da poveri e ricchi. Il mangiatore di fagioli di Annibale Carracci è, non a caso considerato un capolavoro per l’abilità dell’artista di rendere un rozzo e umile paesano per quello che è, rozzo e umile senza intenti grotteschi. La minuziosa rappresentazione di un pasto popolare, l’agognata ricompensa per il duro lavoro svolto dai più miseri, anticipa il tema della natura morta e non fa che perfezionare l’intenzione del pittore.


Annibale Carracci, 1583, Il mangiatore di fagioli
Intanto si cominciano a diffondere i quadri di genere e gli oggetti diventano sempre più importanti e protagonisti della scena al pari delle persone.
Partendo dal Nord Europa, fanno capolino scene di mercati e cucine, cronache di feste e banchetti, interni di botteghe e anche in Italia si comincia a sentire questo cambiamento. Particolarmente interessanti sono le opere di Giuseppe Arcimboldo, che nei suoi quadri dà alla frutta, alla verdura, ai pesci di mare ed ai volatili, le forme antropomorfe più curiose, talvolta usando le immagini per composizioni ambigue e di doppia lettura come nell’ Ortolano.

Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1585

Giuseppe Arcimboldo, L'ortolano, 1590

Con il XVII secolo la Natura Morta è pronta ad affermarsi nella pittura al pari degli altri generi; in questi anni gli alimenti raffigurati non saranno concepiti come comparse ma diventeranno i veri protagonisti dell’arte. Frutta e verdura vengono rappresentati nei loro minimi particolari, nella loro naturalezza, nella loro imperfezione, stando ad indicare la bellezza corrosa dal tempo, la precarietà della vita terrena e il ciclo della natura.

Principali fautori sono i pittori fiamminghi olandesi e in Italia è Caravaggio che sfida  la pittura del suo tempo dipingendo la celebre Canestra di frutta, prima opera conosciuta nella quale il cibo non è accessorio, ma protagonista assoluto della tela.
La precisione fotografica con cui Caravaggio dipinge la canestra è a dir poco sorprendente, tanto che consigliamo di guardarlo da vicinissimo per coglierne al meglio i particolari; ogni frutto e ogni foglia diventa letteralmente un protagonista proprio come se fosse una rappresentazione sacra o mitologica. I frutti fragranti e succosi, diventano i protagonisti della rappresentazione, definitivamente separati da secondi significati religiosi o filosofici, e collocati sullo stesso piano della figura umana.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, canestra di frutta, 1599

Facendo un salto di qualche secolo arriviamo a Van Gogh, il quale si propone di rappresentare i più umili, nel tentativo, attraverso l’arte, di ridare dignità a tutti gli esseri viventi indipendentemente dalla loro classe sociale. Nel celebre quadro “I Mangiatori di patate”, dipinto nel 1855, la patata, ortaggio alquanto comune e base dell’alimentazione contadina, rappresenta, ancora una volta, la ricompensa per il duro lavoro svolto.


Vincent Van Gogh, Mangiatori di patate, 1855
Arriviamo così al Novecento con le sue con le sue contraddizioni e la potente spinta avanguardistica. La Natura Morta continua ad essere uno dei soggetti preferiti dagli artisti, elemento ispiratore di realtà oniriche (De Chirico) o talvolta di notevole verismo (Guttuso), ma in ogni caso testimone dei cambiamenti che si susseguono nel mondo dell’arte.
Paul Cezanne, Natura morta con vaso, caffettiera e frutta, 1872

Henri Matisse, Natura morta con piatti e frutta, 1901
Pablo Picasso, Natura morta con pane e fruttiera, 1909

Giorgio De Chirico, Il sogno trasformato, 1913
Umberto Boccioni, Natura morta con cocomeri, 1912

Pablo Picasso, Nature morte. Corbeille de fruits et boutillie. 1937


Nella seconda metà del XX secolo, dopo un periodo di guerre e tensioni politico-sociali, in cui sembrava non ci fosse spazio da dedicare all'arte, riappare il cibo come forma d’espressione artistica negli anni ’60.
In particolare la pop art, con il suo elogio della banalità e della quotidianità, assume il cibo come il simbolo del consumismo, rappresentato in veste industriale e non naturalistica e con una forte connotazione di satira sociale.


Roy Liechtenstin, 1962

Renè Magritte, Il figlio dell'uomo, 1964


Andy Warhol, Velvet Banan, 1967
Andy Warhole, Barattolo di zuppa Campbell, 1968

Mario Schifano, Coca Cola, 1972

Roy Liechtenstein, Vaso di cristallo con frutta, 1973

Renato Guttuso, Vucciria, 1974




Commenti

Post più popolari