Donato
di Pascuccio di Antonio, detto Bramante, è un architetto e pittore italiano del
Quattrocento. Considerato fra i massimi esponenti del Rinascimento, con le sue
opere influenzò lo sviluppo dell'architettura cinquecentesca, anticipando il
cosiddetto manierismo -quella tendenza architettonica che si sviluppò dopo il
1520-25, caratterizzata dall'uso delle forme classiche e rinascimentali in
maniera libera e fantasiosa- e fu il primo architetto incaricato di progettare
la nuova basilica di S. Pietro, dove le sue scelte furono determinanti anche
per Raffaello e Michelangelo.
Bramante
nasce nel Ducato di Urbino nel 1444 e si forma come pittore nella bottega di
Fra’ Carnevale e specializzandosi nel dipingere sfondi, che riproducono
elementi architettonici, usati come sorta di quinte teatrali per varie
rappresentazioni. Urbino è un importante centro umanistico: Bramante entra in
contatto con opere di artisti quali Andrea Mantegna e Piero Della Francesca, e
lavora probabilmente alla corte del duca Federico da Montefeltro, celebre
mecenate del tempo. A 33 anni inizia a viaggiare: lavora a Mantova, Bergamo,
Milano, Roma. Nel
1482 si trasferisce a Milano e inizia l’attività di architetto riedificando la
chiesa di Santa Maria presso San Satiro (1482-83) di chiara ispirazione
classica. Straordinaria fu in questo edificio la sua soluzione per l'abside,
che non poteva essere realizzata secondo i canoni tradizionali per mancanza di
spazio oltre la parete di fondo: Bramante decise quindi di utilizzare gli
espedienti ottici della prospettiva per creare dal nulla un’intera ala della
chiesa. Bramante dipinge gli elementi architettonici che non può costruire,
suggerendo così una profondità spaziale inesistente.
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Santa Maria presso San Satiro, facciata |
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Bramante, Santa Maria presso San Satiro, navata centrale |
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Santa Maria presso San Satiro, pianta |
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Bramante, Santa Maria presso San Satiro, la sistemazione dell'abside |
Con questo espediente, che
gli permise di non rinunciare allo schema rinascimentale della chiesa a pianta
centrale, dimostrò un uso della prospettiva più evoluto rispetto a quello
espresso, ad esempio, da Brunelleschi, e vicino piuttosto alla maestria di Andrea Mantegna, i cui affreschi nella Camera degli Sposi
di Palazzo Ducale, a Mantova, sarebbero stati oggetto di un attento studio da
parte del giovane.
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Andrea Mantegna, palazzo Ducale di Mantova, camera degli sposi |
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Andrea Mantegna, palazzo Ducale di Mantova, camera degli sposi (dettgalio degli affreschi del soffitto) |
Dopo
la conquista francese del ducato e la cacciata di Ludovico il Moro, nel 1499,
Bramante lasciò Milano per stabilirsi a Roma, dove, fino alla morte, lavorò
quasi esclusivamente per il papa Giulio II. A contatto con le splendide
testimonianze dell'antichità classica, il carattere decorativo del suo stile
andò smorzandosi a favore di una più spiccata monumentalità. Il primo grande
progetto romano fu il tempietto di San Pietro in Montorio (1502), commissionato
dai reali di Spagna per celebrare il luogo ritenuto sede del martirio di san
Pietro. Edificato per commemorare la crocifissione dell’apostolo fondatore
della Chiesa di Roma, il Tempietto celebra nel contempo il rinnovamento
dell’autorità universale della città, realizzando quella conciliazione tra
ideali classici e cristiani cui aspira la cultura romana del tempo. Fin
dall'epoca della costruzione l'opera ebbe grande fortuna critica ed influì
direttamente o indirettamente su molte opere architettoniche successive;
Significativamente Palladio, nei suoi Quattro libri dell'architettura (1570),
citò questo edificio quale unico esempio di architettura moderna degna di stare
a fianco dei templi dell'antichità.
Tempietto di San Pietro in Montorio (1502-1510)
Rispettando
quelle che sono le tradizioni dell'antico Donato Bramante decide che il tipo
classico del tempio rotondo periptero (circondato cioè da un giro di colonne (con
un chiaro riferimento ai martyria, piccole costruzioni circolari paleocristiane
realizzate sulla tomba di un martire o sul luogo della sua morte), era la forma
che meglio potesse rappresentare questo luogo ed immagina oltre una nuova
organizzazione spaziale del cortile, di
forma circolare con un porticato semicircolare ed aperto che porta a sintesi la
ricerca che coinvolse tutti gli architetti del Rinascimento relativa alla pianta
centrale come modello per rappresentare la realtà divina ed il cosmo (in
realtà alla fine venne realizzato uno spazio rettangolare che in parte lo
sacrifica).
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Bramante, il tempietto di San PIetro in Montorio |
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Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio, tavola da i Quattro libri dell'Architettura |
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Bramante, tempietto di San PIetro in Montorio, ricostruzione del progetto originale |
Il
linguaggio formale e strutturale del tempietto si avvicina all'essenza
dell’architettura antica più di qualsiasi altro edificio del 400 superando
largamente i compromessi tra l’architettura cristiana medioevale e le forme
dell’antico prodotte nel XV secolo. Gli elementi compositivi sono
sistematicamente attinti dall'architettura antica, secondo una rigorosa logica
organizzativa: il corpo cilindrico sormontato da una cupola emisferica, fanno
dell’edificio un simbolo di assoluta armonia. L’anello di colonne doriche
(riprese nella variante romana del tuscanico, con fusti lisci in quanto ordine
tradizionalmente maschile ed eroico) è sormontato, per la prima volta nel
Rinascimento, da una trabeazione scandita in triglifi e metope (con simboli
della passione di Cristo che tornano ciclicamente), seguendo esattamente le
regole vitruviane. Il riferimento ad una numerologia divina è molto evidente
all'interno di questo edificio nel senso che il numero otto i suoi multipli o
sottomultipli regolano l'intera progettazione architettonica (sul perimetro del
tempietto vi sono 16 colonne: il numero 16 è considerato perfetto da Vitruvio
in quanto 16 = 10 + 6 ed entrambi i numeri sono perfetti secondo i pitagorici).
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Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio, proporzioni e matrici geometriche |
Bramante
segue gli antichi per la forma della cupola (perfettamente semisferica)e per il
fatto che è costruita con il conglomerato cementizio; ma mentre nell'antichità
la cupola poggiava direttamente sull'ordine maggiore, qui Bramante inserisce un
tamburo (che ha un’altezza simile al raggio della semisfera), per il quale
l’architetto decide di non adottare un
ordine architettonico, ma si limita a segnarlo, come ideale proiezione delle
lesene presente al livello inferiore inoltre, per fare in modo che la non
presenza di un ordine superiore rispetto ad un ordine architettonico definito
sottostante fosse evidente, posizione la balaustra, in uno spazio che in realtà
non è praticabile, come elemento di separazione che consente la coesistenza dei
due livelli.
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Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio |
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Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio dettaglio della trabeazione e della balaustra |
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Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio, dettaglio |
Scultore,
pittore e architetto, Michelangelo Buonarroti è uno dei grandi maestri del
Rinascimento Michelangelo nasce nel 1475 a Caprese, vicino ad Arezzo, figlio di
Ludovico Buonarroti, podestà dello Stato fiorentino in quella località. I
Buonarroti facevano parte del patriziato fiorentino, ma all'epoca della nascita
di Michelangelo la famiglia attraversava un momento di penuria economica: il
padre era talmente impoverito che stava addirittura per perdere i suoi privilegi
di cittadino fiorentino. La podesteria di Caprese, uno dei possedimenti
fiorentini meno significativi, era un incarico politico di scarsa importanza,
da lui accettato esclusivamente per cercare di assicurare una sopravvivenza
decorosa alla propria famiglia,
arrotondando le magre rendite di alcuni poderi nei dintorni di Firenze. Il
declino influenzò pesantemente le scelte famigliari, nonché il destino del
giovane Michelangelo e la sua personalità: la preoccupazione per il riscatto
sociale e il benessere economico, suo e dei suoi familiari, fu una costante in
tutta la sua vita
e proprio a causa dell'indigenza familiare Michelangelo fu mandato a bottega
dal Ghirlandaio. Nessuno in famiglia aveva fino ad allora intrapreso la
carriera artistica nell'arte meccanica, cioè un mestiere che richiedeva
sforzo fisico, poco consona al loro status, ma la famiglia aveva bisogno dei
soldi dell'apprendistato del ragazzo al quale, così, non poté essere data
un'istruzione classica.
A
bottega dal Ghirlandaio nel 1488, Michelangelo si limitò ad apprendere i
rudimenti tecnici della pittura, dedicandosi invece, con passione autodidatta,
allo studio di Giotto e Masaccio. Per il suo precoce talento, a quindici anni
egli fu accolto da Lorenzo il Magnifico il quale lo prese sotto la sua tutela facendolo
studiare con i suoi figli: le esperienze fondamentali della sua formazione si
dovrebbero quindi a quell'ambiente. Libero da necessità economiche,
Michelangelo si dedicò allo studio delle collezioni medicee d’arte antica,
frequentando anche gli umanisti della cerchia di Lorenzo. Oggetto di curiosità
e ammirazione, l’antichità era considerata un suggestivo repertorio di forme
cui attingere per la creazione di opere moderne. Michelangelo apprese invece
dagli umanisti il valore globale della civiltà classica: nel programma ideale
di una rinascita del mondo antico, il compito che consapevolmente si assunse fu
quello di una vera e propria emulazione del passato, assimilato nella forma e
compreso nei suoi contenuti spirituali.
Per
il giovane artista l’antico era infatti uno stimolo a una nuova personalissima
visione: nella scultura (che ebbe parte preponderante nel definire il suo
linguaggio artistico) l’operazione creatrice di Michelangelo non partiva dalla
costruzione, ma dalla liberazione dell’opera imprigionata nel blocco di marmo.
Rispetto agli altri classici del Rinascimento lo studio della grammatica
dell’antico, al fine di comprenderne i segreti e i motivi estetici, gli
concesse la libertà progettuale di una lettura personale e coerente, capace di
vedere negli antichi non l’esempio dal quale non staccarsi mai, ma la fonte
d’ispirazione per creare cose nuove.
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Michelangelo, David 1501-1504 |
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Michelangelo, tondo Doni 1504-1506 |
Nel
1496 è a Roma dove si cimenta in uno dei grandi soggetti della tradizione
iconografica cattolica: La Pietà. Nel 1501 è a Firenze dove realizza il David.
Nel 1504 viene affidata a Michelangelo e a Leonardo la realizzazione degli
affreschi per Palazzo Vecchio. I due artisti sono da sempre rivali, ma la sfida
non avviene; Papa Giulio II chiama Michelangelo a Roma per la realizzazione
della propria tomba. Il carattere sospettoso e turbolento di Michelangelo
contribuirà a ritardare di molti anni la conclusione dei lavori. Nel 1508 gli
viene affidato l’affresco della Cappella Sistina in Vaticano. Michelangelo è
titubante, non si sente un pittore. Poi accetta. Dipinge da solo, sdraiato
supino sui ponteggi, per 4 anni. Nella Sistina, lo stile di Michelangelo si
manifesta in tutta la sua forza espressiva e scultorea: monumentalità dei corpi
nudi e torsione drammatica dei busti indicano il superamento dell’idea
rinascimentale secondo cui l’arte deve imitare le proporzioni naturali della
figura umana.
La
Sagrestia Nuova (1520-1534)
Nel
1513 ascende al soglio di San Pietro, con il nome di Leone X, Giovanni de’
Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Grazie all’amicizia giovanile con il
nuovo papa, Michelangelo, nel 1516 ritorna a Firenze con il duplice ruolo di
architetto e scultore.
La
morte dei due rampolli di casa Medici, Giuliano duca di Nemours e Lorenzo duca d'Urbino, aveva profondamente
amareggiato il pontefice, rispettivamente fratello e zio dei due, e l'esigenza
di approntare per loro una sepoltura principesca, fece insabbiare
definitivamente il progetto della facciata per San Lorenzo precedentemente affidato a
Michelangelo, impegnando l'artista in un nuovo progetto che riguardava la
stessa basilica. La chiesa era infatti il luogo di sepoltura della famiglia Medici da un
secolo, ma all'epoca non erano disponibili spazi in cui creare un nuovo
complesso monumentale: la storica cappella di famiglia, la Sagrestia
Vecchia era un insieme di sobrio e misurato equilibrio, in cui non potevano
essere aggiunte altre decorazioni senza compromettere l'insieme; la cripta,
dove si trovano alcuni esponenti familiari, non era all'altezza dei desideri di
fasto e celebrazione dei committenti. Nemmeno per Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano era stata ancora predisposta una degna
sepoltura, per cui dovette apparire naturale la necessità di realizzare un
nuovo ambiente, in cui sistemare le spoglie dei due "duchi" e dei due
"magnifici".
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basilica di San Lorenzo, pianta con la sacrestia vecchia e la sacrestia nuova |
A
parte lo sviluppo della cupola cassettonata, che ricorda il monumento funebre
per eccellenza, il Pantheon di Roma, la planimetria e la bicromia
delle membrature in pietra serena sull'intonaco bianco sono le stesse della Sacrestia di Brunelleschi, ma dal punto
di vista della sezione qualcosa cambia: Michelangelo divide lo spazio in forme
più complesse, aggiungendo un piano intermedio tra l'ordine inferiore e la
cupola, aperto da finestre rastremate che danno maggiore slancio alle linee
prospettiche e tratta le pareti come sculture, moltiplicando aggetti e
rientranze e progettando un gran numero di vani destinati a una folla di
statue, che avrebbero plasmato lo spazio in modo dinamico e avvolgente. Anche
le paraste grigie poste tra le lesene e i monumenti marmorei sottolineano una
compressione che sembra enfatizzare lo slancio verso l'alto.
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Michelangelo, sagrestia nuova, vista dell'angolo |
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Michelangelo, sagrestia nuova, sezione e pianta |
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Michelangelo, sagrestia nuova, facciata interna con monumento funebre |
Dei
quattro monumenti funebri previsti quelli di Lorenzo il Magnifico e del
fratello Giuliano non furono mai eseguite, mentre lungo le pareti laterali
furono collocate la Tomba di Giuliano e di Lorenzo duca di Urbino. Il trionfo
della famiglia Medici sul tempo è rappresentato dalle allegorie delle quattro
parti del giorno (Aurora, Giorno, Crepuscolo e Notte), adagiate a coppie sui
sarcofagi. Queste sculture, tormentate e malinconiche, rivelano una forza
plastica analoga a quella dell’architettura, sottolineata, dall’uso del non
finito nelle figure maschili.
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Michelangelo, tomba di Lorenzo de' Medici duca di Urbino, il Crepuscolo |
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Michelangelo, tomba di Lorenzo de' Medici duca di Urbino, il Crepuscolo, dettaglio del volto |
Le opere scolpite, come i monumenti funebri dei
membri della famiglia Medici, non sono oggetti isolati e asserviti all’aspetto
architetturale come era avvenuto sino allora, ma sono parte integrante
dell’architettura complessiva, in un perfetto rapporto armonico e simbiotico.
Biblioteca
Laurenziana (1523-1539)
Nel
1519 il cardinale
Giulio de' Medici, poi papa
Clemente VII, affidò a Michelangelo la realizzazione di una nuova
biblioteca all'interno del complesso della basilica di San Lorenzo. La
biblioteca è una delle maggiori realizzazioni dell'artista fiorentino in campo
architettonico, importante anche per le decorazioni e l'arredo interno, giunto
in buono stato fino a noi (Michelangelo fornì anche disegni degli stalli di
legno per la lettura dei manoscritti). L'opera viene ritenuta una piena
espressione dell'atteggiamento manierista che rivendica la libertà
linguistica rispetto alla canonizzazione degli ordini classici e delle regole
compositive. La
biblioteca riprende una tipologia già nota e vista nella biblioteca di San
Marco, realizzata da Michelozzo per Cosimo de’ Medici, a differenza di questa,
però, non ha la stessa suddivisione in navate; soprattutto perché gli ambienti
sottostanti non avrebbero avuto una sufficiente resistenza statica per
sopportare il peso delle colonne a meno di non fare impegnativi lavori di
ristrutturazione. La sala di lettura si presenta quindi come un lunghissimo
vano rettangolare, caratterizzato da un alto basamento su cui poggia un ordine
architettonico gigante in pietra serena a capitello dorico che all'interno
racchiude due ordini diversi di aperture (una finestra vera e propria
sormontata da una finestra cieca) che alleggeriscono la massa delle pareti. Il
modulo si ripete movimentando geometricamente l'intera parete e l'effetto è
accentuato dal disegno regolare dei cassettoni del soffitto piano e del
pavimento in cotto e marmo.
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Michelangelo, biblioteca Laurenziana, pianta e sezione |
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Michelangelo, biblioteca laurenziana, sala di lettura |
Al salone della biblioteca è collegato un vestibolo,
uno spazio esiguo ma di grande libertà compositiva che suscita nell'osservatore
un effetto di spaesamento. Michelangelo tratta ancora una volta gli elementi
architettonici come fossero sculture: le colonne paiono statue adagiate nelle
loro nicchie, assumendo, in luogo della consueta funzione strutturale, quasi un
ruolo da elemento decorativo. L’innovazione è percepibile anche nelle coppie di
mensole a volute, su un piano avanzato rispetto alle colonne che dovrebbero
sostenere (sopra di loro c’è il vuoto), e nei capitelli, ridotti e quasi
atrofizzati. Ma a determinare un effetto dinamico senza precedenti è il
contrasto tra la rampa centrale a gradini convessi, che si dilatano negli
ultimi tre passi, a stento contenuti dalle balaustre, e l’andamento rettilineo
delle rampe laterali compresse per la vicinanza delle pareti.
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Michelangelo, biblioteca laurenziana, vestibolo |
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Michelangelo, biblioteca laurenziana, vestibolo |
La
ristrutturazione della Piazza del Campidoglio
Nel
1534, di nuovo a Roma, Michelangelo trova un clima culturale mutato. Con la
conclusione del pontificato di Clemente VII, la scena politica, religiosa e
culturale romana cambia volto grazie a Paolo III Farnese che si mostra alla domanda di rinnovamento della Chiesa, nominando una
commissione per predisporre un piano di riforma, i cui risultati confluirono
nel 1545 nel Concilio di Trento. Sul piano culturale Paolo III promosse un
notevolissimo rilancio delle attività artistiche, assicurandosi in primo luogo
il determinante contributo di Michelangelo. A lui affidò prestigiosi incarichi
sia in ambito pittorico (il Giudizio Universale della Cappella Sistina, e gli
affreschi della Cappella Paolina) sia architettonico e urbanistico. La
prolungata presenza di Michelangelo a Roma vi favorì lo sviluppo di un ambiente
ricco e stimolante, capace di richiamare sulla capitale l’attenzione di molti
artisti della nuova generazione.
La
decisione di Paolo III di trasferire sul Campidoglio l’antica statua equestre
di Marco Aurelio, simbolo dell’autorità imperiale e della gloria del
cristianesimo, incaricando Michelangelo di studiarne la collocazione, diede il
via alla principale operazione urbanistica del tempo. Si trattava di dar mano
alla ristrutturazione della Piazza del Campidoglio, fin dal Medioevo sede delle magistrature
comunali e polo della vita politica. Sui resti dell’antico Tabularium esisteva un fortilizio della famiglia Corsi di cui destinato a sede del senato cittadino ed ingrandito nel XIV secolo. Lo spiazzo sterrato antistante era destinato alle adunanze di popolo ed era fiancheggiato da edifici destinati a sede dei Banderesi, cioè dei capitani della milizia cittadina. Nel 1453, papa Niccolò V fece costruire al Rossellino il Palazzo dei Conservatori, ristrutturando pesantemente le Case dei Banderesi per realizzare la sede della nuova magistratura. Rossellino realizzò un edificio con un portico ad archi a tutto sesto al piano terra ed una facciata con finestre crociate e logge binate. Venne conservato l'orientamento delle preesistenze, seguendo intenti chiaramente prospettici, secondo un principio progettuale identico a quello che Rossellino attuerà a Pienza, realizzando una piazza trapezoidale. I lavori di rifacimento coinvolsero anche il Palazzo Senatorio, ma furono interrotti dalla morte del pontefice.
Il progetto di Michelangelo
riqualificò il disorganico complesso preesistente, chiuso dai due palazzi dei
Senatori e dei Conservatori, trasformandolo in un organismo a scala
monumentale, snodo, nella sua posizione sopraelevata, tra l’antica Roma dei
Fori e la città moderna, su cui venne ad affacciarsi.
Il
nuovo assetto della piazza si fondò su tre princìpi fondamentali: l’assialità,
la simmetria e la convergenza, che concorsero a dare alla sistemazione
capitolina una coerente unità sia architettonica sia spaziale. Sfruttando il
non allineamento degli edifici preesistenti, Michelangelo concepì la piazza
come un grande spazio trapezoidale delimitato dal Palazzo dei Senatori sullo
sfondo, con la grande scala a doppia rampa, e da due palazzi porticati (quello
dei Conservatori e quello costruito per accogliere la collezione di antichità
del comune, ancora oggi sede dei Musei capitolini) lungo i lati. Questi
convergono verso l’asse centrale, coincidente con il punto di accesso della
scala, che sale dalla città al Campidoglio.
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, pianta dell'intervento |
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, vista aerea |
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, vista dalla cordonata |
Michelangelo mirava a ottenere un
insieme unitario, estendendo l’inedita soluzione dell’ordine gigante a pilastri
corinzi alle facciate di tutti e tre gli edifici, caratterizzati da un comune
accento orizzontale.
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, palazzo dei Conservatori |
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, palazzo dei Senatori |
A determinare l’eccezionale organicità dello spazio
capitolino contribuiva la pavimentazione della piazza (terminata nel XX secolo
in base ai progetti michelangioleschi), disegnata secondo un complesso reticolo
curvilineo inscritto in un’ellisse, nel cui centro, individuato da una
decorazione stellare, fu collocata l’antica statua bronzea di Marco Aurelio.
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, assonometria della sistemazione con il dieegno della pavimentazione |
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Michelangelo, piazza del Campidoglio, il disegno della pavimentazione |
Andrea
di Pietro della Gondola, conosciuto come Andrea Palladio, è un architetto
italiano del Cinquecento. Tra i principali protagonisti del Rinascimento,
vestirà un ruolo chiave nel passaggio all'architettura del Manierismo rielaborando
l’architettura classica alla luce degli ideali moderni e diventerà un modello
di riferimento per le correnti neoclassiche italiane e internazionali dando
vita a uno stile che prende il suo nome, il neopalladianesimo. Lascerà un
cospicuo patrimonio di opere e un importante trattato teorico, i Quattro libri
dell’architettura, un corpus di disegni realizzate durante i suoi viaggi a
Roma, in parte frutto della sua rielaborazione personale di edifici romani e di
progetti a lui contemporanei in parte progetti nuovi, che inizialmente
avrebbero dovuto illustrare una nuova edizione del trattato di Vitruvio. Il
ruolo di Palladio come teorico sarà riconosciuto quasi immediatamente, tanto
che diventerà uno dei membri onorari dell’accademia di disegno fondata da
Cosimo de Medici e sarà anche uno dei fondatori dell’accademia olimpica di
Vicenza (un ristretto gruppo di intellettuali vicentini che si riunivano nel
famoso teatro Olimpico, emblema architettonico dell’ adesione incondizionata al
linguaggio antico e realizzato da Palladio in collaborazione con Vincenzo
Scamozzi, il suo primo assistente e colui che erediterà la cultura ed il modo
di operare di Palladio).
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Andrea Palladio, teatro olimpico, la cavea e la scena |
Palladio
nasce a Padova nel 1508 da una famiglia di umili origini. In giovane età inizia
a lavorare come tagliapietre. A 16 anni si trasferisce a Vicenza, e si impiega
come apprendista scultore. Pur svolgendo mansioni secondarie, si fa notare per
la sua maestria. Intorno ai 30 anni entra in contatto con il nobile letterato Gian
Giorgio Trissino, che riconosce il suo talento e diventa suo mecenate. Trissino
lo introduce nei circoli culturali veneti, lo incoraggia ad ampliare la sua
istruzione, incitandolo soprattutto allo studio dell’antichità, e conia per lui
il nome d’arte Palladio. Insieme al suo mecenate, Palladio compie diversi
viaggi di formazione, specialmente a Roma. Qui ammira i capolavori del
Rinascimento e studia con attenzione i monumenti antichi. I primi incarichi
importanti che riceve in qualità di architetto sono alcune residenze della
nobiltà vicentina nelle quali propone quello stile misurato, basato
sull’armonia delle proporzioni che sarà
caratteristico di tutte le sue opere. Ormai affermato, riceve la sua
prima commissione pubblica: la sistemazione del Palazzo della Ragione di
Vicenza, poi conosciuta come Basilica Palladiana. Il suo intervento trasformerà
l’antico palazzo in un edificio
monumentale, in cui ricorrono elementi classici, come il doppio loggiato, le aperture
a serliana, le colonne e le statue che sormontano la facciata.
Basilica
Palladiana (1549-1614)
Nel
suo intervento sul Palazzo della Ragione Palladio realizza una scatola
architettonica, che va a racchiudere i preesistenti edifici di carattere medioevali,
grazie all’utilizzo di un modulo architettonico elastico, in grado di tener
conto dei necessari allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente
palazzo quattrocentesco. Il sistema si basa sulla ripetizione della cosiddetta serliana ( dal
nome dell’architetto Sebastiano Serlio che per primo la descrive nel suo
trattato del 1537), vale a dire una struttura composta da un arco a luce costante affiancato da due aperture
laterali rettangolari architravate, di larghezza variabile e quindi in grado di
assorbire le differenze di ampiezza delle campate.
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Andrea Palladio, palazzo della Ragione (Basilica), esterno |
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Andrea Palladio, palazzo della Ragione (Basilica), prospetto e pianta (tavola da i Quattro Libri dell'Architettura) |
Il
funzionamento è evidente nelle arcate angolari, dove le aperture architravate
sono ridotte quasi a zero, ma è presente in tutte le campate, la cui larghezza
varia sempre, seppure di poco. Inoltre, nel decidere le dimensioni delle
campate, si dovette tener conto di tre grandi corridoi di ampiezza variabile,
che corrono rettilinei all’edificio, al di sotto della grande sala.
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Andrea Palladio, palazzo della Ragione (Basilica), il sistema delle serliane |
L’esterno
dell’edificio è quindi costituito da una loggia in pietra su due piani: le
logge del piano inferiore sono realizzate nell'ordine
dorico, con la relativa trabeazione nel
cui fregio si
alternano metope e triglifi. Le
logge del piano superiore sono invece in ordine
ionico con la relativa trabeazione a fregio continuo.
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Andrea Palladio, palazzo della Ragione (Basilica), la facciata (tavola da i Quattro Libri dell'Architettura) |
Villa
Almerico Capra detta la Rotonda (1566-1585)
La
Villa, realizzata sulla cima tondeggiante di un piccolo colle appena fuori le mura di Vicenza come residenza di campagna del canonico e conte Almerico Capra, sarebbe
divenuta il modello ideale dell’architettura palladiana e uno dei prototipi
architettonici più studiati e imitati per i successivi cinque secoli.
A quel tempo il fascino per i valori della vita in campagna iniziava
a spingere molti nobili possidenti a misurarsi con le gioie della vita
semplice, malgrado gli aspetti piacevoli della vita a contatto con la natura
rimanessero ancora in secondo piano rispetto alla scelta, tutta economica, di
orientare gli investimenti verso un'agricoltura
di tipo intensivo. Essendo celibe, il conte non aveva bisogno di un vasto
palazzo, ma desiderava una villa sofisticata, e fu esattamente questo che
Palladio ideò per lui: una originale villa-tempio, residenza
suburbana con funzioni di rappresentanza, ma anche tranquillo rifugio di
meditazione e studio.
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Andrea Palladio, la Rotonda |
La
costruzione consiste in un edificio a pianta quadrata intersecano con un croce
greca, completamente simmetrico e inscrivibile in un cerchio perfetto,
il cui spazio centrale viene concepito
come il vano di crociera di un edificio religioso tanto è vero che è coperto da
una cupola dalla quale l’appellativo rotonda. Ognuna delle quattro facciate è
dotata di un avancorpo, modellato come il pronao di un tempio, con una loggia che si
raggiunge salendo una gradinata e ciascuno dei quattro ingressi principali
conduce, attraverso un breve corridoio, alla sala centrale.
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Andrea Palladio, la Rotonda, pianta, prospetto e sezione |
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Proprio la sala
centrale è il centro nevralgico della composizione, alla quale il Palladio
imprime slancio centrifugo allargandola verso l'esterno nei quattro pronai. La
villa risulta così un'architettura aperta, che guarda la città e la campagna.
Dal
punto di vista planimetrico il progetto riflette gli ideali umanistici dell’architettura
del Rinascimento e consente a Palladio portare a sintesi tutti i suoi studi
sulla pianta centrale.
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Andrea Palladio, la Rotonda, geometria e proporzioni |
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