Il Rinascimento -parte prima


Uno spazio nuovo per un uomo nuovo


Uomo Vitruviano, Leonardo da Vinci, 1490

Il Rinascimento  è un movimento artistico e culturale che si sviluppa in Italia tra XV e XVI secolo. L’arte rinascimentale sboccia a Firenze nel clima di generale rinascita della città governata dalla famiglia dei Medici; si recuperano l’estetica classica e il senso della proporzione. Si studia la prospettiva lineare, cioè l’insieme di regole matematiche attraverso le quali riprodurre cose e figure così come le vedono i nostri occhi.
Il Rinascimento investe tutte le arti figurative. In pittura si predilige la naturalezza delle figure umane inserite in un paesaggio reale; i temi mitologici acquistano la stessa dignità delle opere a soggetto religioso mentre nei ritratti si cerca l’espressività e il carattere dei personaggi. La scultura, che nel periodo gotico vive in stretta relazione con l’architettura, riacquista autonomia; si studia con particolare attenzione l’anatomia della figura umana. In architettura si recuperano gli ordini classici per costruire edifici razionali e armonici. Gli iniziatori del Rinascimento sono Brunelleschi, per l’architettura, Donatello per la scultura e Masaccio per la pittura. Da Firenze il Rinascimento tocca tutte le corti d’Italia. A Urbino c’è Piero della Francesca, a Perugia il Perugino, a Padova il Mantegna, a Venezia Giovanni Bellini e Antonello da Messina.


Fra i fattori politici e culturali che influenzarono questo nuovo indirizzo delle arti vi furono senz'altro l'affermazione delle signorie e lo sviluppo dell'Umanesimo, movimento culturale che cerca di recuperare l’autenticità della cultura classica e che propone una visione della realtà in cui l’uomo è al centro dell’universo, con il conseguente gusto antiquario e filologico, che in architettura si traduce nello studio delle belle forme degli edifici antichi, (terme, basiliche e templi), nella ripresa degli ordini classici, l'uso di forme geometriche elementari per la definizione delle piante, la ricerca di articolazioni ortogonali e simmetriche, nonché l'impiego della proporzione armonica nelle singole parti dell'edificio. Fu privilegiato l'impiego di volte a vela su pianta quadrata (ad esempio nello Spedale degli Innocenti) e di volte a botte (come nella copertura della basilica di Sant'Andrea a Mantova di Leon Battista Alberti), senza l'uso dei costoloni e dei contrafforti gotici.
Il Rinascimento non è, quindi, una semplice ripresa dell’antichità classica, ma si lega indissolubilmente all’arte medioevale ed è un’arte propria del suo tempo.


Benché il movimento sia temporalmente ben definito, al suo interno è possibile individuare diversi momenti stilistici, che la critica identifica nel primo Rinascimento, appartenente al XV secolo, nel Rinascimento classico, che si sviluppa tra la fine del ‘400 e all’inizio del ‘500  e nel quale l’arte rinascimentale è al culmine del suo splendore (sono gli anni di Leonardo, di Michelangelo e di Raffaello) con un fertile rapporto di scambio delle reciproche conoscenze tra Rinascimento italiano e arte fiamminga e nel Manierismo, durante il quale gli artisti imitano lo stile dei maestri del ‘400 e del ‘500 svincolandosi però dal rispetto di forme e proporzioni naturali.

Una nuova concezione spaziale
Uno degli elementi nuovi è la collocazione dell’uomo come centro del mondo, capace di conoscere ciò che lo circonda attraverso la propria ragione, quindi attraverso regole certe, scientifiche, matematiche. Ed è questa visione matematica del mondo che porta all’affermazione del disegno come linguaggio tecnico di rappresentazione e alla codifica della prospettiva lineare, cioè dell'insieme di regole matematiche attraverso le quali riprodurre cose e figure così come le vedono i nostri occhi e, di contro, poter sottoporre la realtà a leggi razionali e universali.


Masolino da Panicale, Resurrezione di Tabita (cappella Brancacci), 1424-1425

Masolino da Panicale, Resurrezione di Tabita, schema prospettico
Le regole della prospettiva diventeranno, quindi, un fondamento dell’antropocentrismo rinascimentale e sarà Filippo Brunelleschi, nel secondo decennio del XV secolo, a rivoluzionare la concezione figurativa, arrivando ad un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustro in du tavolette, andate purtroppo perdute, raffiguranti rispettivamente il battistero visto dalla porta di Snata Maria del Fiore, la piazza della Signoria e palazzo Vecchio. Sarò poi Leon Battista Albertia redigere la prima trattazione scritta dell'argomento del suo De Pictura (1434-1436).

Il Rinascimento Fiorentino. La nascita della committenza privata.


Firenze, vista di piazza San Giovanni con il battistero e il duomo
La Firenze di inizio Quattrocento si inserisce in un quadro di ripresa economica e sociale che coinvolge tutta la Toscana dopo il flagello della peste del 1347. La nuova classe dirigente che si sta affermando con prepotenza è composta da mercanti e banchieri che convogliano un enorme flusso di denaro verso la realtà cittadina e diventano i principali committenti di fabbriche di nuova fondazione che modificano il volto di Firenze con un radicale “aggiornamento” dell’architettura, per renderla conforme ad un ritrovato canone classico. Molti artisti fiorentini, infatti, si recarono a Roma per studiare le statue e i monumenti antichi, che non venivano però copiati, bensì reinterpretati con uno spirito nuovo. Le regole dell'arte classica, come la ricerca dell'armonia, dell'equilibrio, della semplicità e della bellezza, vennero riprese dagli artisti del tempo, che le ritenevano adatte a esprimere i moderni contenuti rinascimentali legati all'uomo e alla realtà. In questo contesto l'osservazione e l'imitazione della natura acquistarono una notevole importanza per gli artisti, che cominciarono ad analizzare accuratamente il corpo dell'uomo e degli animali, le forme delle piante e le linee del paesaggio per riprodurli nelle loro opere.

architetto, ingegnere, scultore, pittore e scenografo, Brunelleschi (1377-1446) aveva solo 24 anni quando partecipò al concorso del 1401 per la seconda porta bronzea del Battistero di Firenze. Eppure già lavorava in proprio come scultore. Tra il 1410 e il 1419 vive a Roma dove studia le architetture classiche ricercandone la lezione di equilibrio, chiarezza e misura umana.
Sono gli anni nei quali si occupa di ottica ed elabora la nuova teoria sulla prospettiva lineare come mezzo per dominare razionalmente l’ambiente circostante. L’arte diventa con lui un modo per conoscere e razionalizzare la realtà.

Ospedale degli Innocenti (1419-1427)
Il complesso, voluto dalle autorità cittadine per accogliere i bambini abbandonati, è il primo edificio realizzato secondo i principi rinascimentali.


Filippo Brunelleschi, Portico dello Spedale degli Innocenti, 1419-1427


Filippo Brunelleschi, Portico dello Spedale degli Innocenti -dettaglio- 1419-1427
Il portico esterno, con nove campate voltate a vela, caratterizzato caratterizzato da archi a tutto sesto tangenti ad una trabeazione continua che separa il piano porticato da quello delle finestre, divenne, per una serie di scelte finalizzate a contenere i costi una delle più felici realizzazioni architettoniche del Rinascimento, che ebbe uno straordinario influsso sull'architettura successiva, venendo reinterpretato in infiniti modi. Innanzitutto vennero scelti dei materiali a basso costo come la pietra serena per le membrature architettoniche, fino ad allora poco usata per via della sua fragilità agli agenti atmosferici, e l'intonaco bianco, che crearono quell'equilibrata bicromia di grigio e bianco che divenne un tratto caratteristico dell'architettura fiorentina e rinascimentale in generale. Inoltre, sempre per risparmiare, venne scelta della manodopera poco esperta, che rese necessaria una semplificazione delle tecniche di misurazione e di costruzione. L’impianto, perfettamente simmetrico sull'asse dell’ingresso, risulta così impostato a partire da misure regolate da rapporti proporzionali basati su un modulo quadrato che determina larghezza, altezza e profondità.

Schema dei moduli del portico
Per esempio la misura della distanza tra colonna e colonna diventa un modulo che si ripete proporzionalmente in tutto l'edificio, definendo anche l'altezza dalla base della colonna al pulvino, la larghezza del portico, il diametro degli archi e l'altezza del piano superiore misurata oltre il cornicione; la metà del modulo era inoltre il raggio delle volte e l'altezza delle finestre; il doppio del modulo era l'altezza dal piano del calpestio del portico al davanzale delle finestre. Il risultato fu quello di un'architettura estremamente nitida, dove si può cogliere spontaneamente il ritmo semplice ma efficace delle membrature architettoniche, come una successione ideale, sotto il portico, di cubi sormontati da semisfere inscrivibili nel cubo stesso.

La sagrestia vecchia (1420-1429)
La Sagrestia della chiesa di San Lorenzo (1420-1429), oggi chiamata Sagrestia vecchia, per distinguerla da quella nuova che Michelangelo realizzerà un secolo dopo, è l’unica opera architettonica che sia stata portata integralmente a compimento dal grande architetto e dove la purezza del razionalismo brunelleschiano raggiunge in quest'opera il suo massimo livello.


chiesa di San Lorenzo, posizione della Sagrestia Vecchia
La sagrestia, concepita come un ambiente indipendente, sebbene comunicante con la chiesa, è composta da un vano principale a pianta quadrata perfettamente cubico sormontato da una cupola a ombrello (cioè divisa in spicchi, che nel caso specifico sono 12 come gli apostoli) impostata su pennacchi, sul lato sud è presente una scarsella (un’abside anch'essa a pianta quadrata), il cui lato misura 1/3 del vano principale, con una propria cupoletta semisferica ed è affiancata da due piccoli ambienti di servizio, con volta a botte, una delle più antiche applicazioni di questo tipo di copertura nell'architettura rinascimentale

Filippo Brunelleschi, Sagrestia Vecchia, pianta, sezione e vista interna

Filippo Brunelleschi, Sagrestia Vecchia, moduli e geometrie
Lo spazio è definito da paraste e cornici in pietra serena che si stagliano sugli intonaci chiari (come nell'Ospedale degli Innocenti) disegnando lo spazio in modo rigoroso ed evidenziando l'impianto geometrico e strutturale basato sul modulo del cerchio inscritto nel quadrato.

Filippo Brunelleschi, Sagrestia Vecchia, vista degli interni
Anche in questa opera Brunelleschi si ispirò a elementi dell'architettura medievale toscana, regolarizzandoli e rielaborandoli con soluzioni tratte dall'arte classica romana; per esempio la volta costolonata era già presente nell'architettura gotica, ma è innovativo l'uso dell'arco a tutto sesto..

La cupola di Santa Maria del Fiore(1420-post mortem)


Vista notturna di Santa Maria del fiore con la Cupola del Brunelleschi
Il 19 agosto del 1418 la corporazione dell’Arte della Lana bandì un concorso pubblico per affrontare il problema della copertura offrendo 200 fiorini d'oro a chi fornisse dei modelli e disegni soddisfacenti per le centine, le armature, i ponti, gli strumenti per sollevare il materiale e quant'altro.
Oltre ai problemi tecnici e ingegneristici –si trattava di coprire un tamburo alto 13 dal soffitto della navata maggiore, con muri spessi quattro metri e con una pianta ottagonale irregolare larga non meno di 42 metri –la più grande cupola mai costruita dai tempi del Pantheon- la cupola doveva anche concludere armonicamente l'edificio, sottolineandone il valore simbolico e imponendosi sullo spazio urbano. Il 26 Aprile 1420 i lavori vennero assegnati a Filippo Brunelleschi (autore di diversi modelli lignei e di una dimostrazione pubblica in piazza Duomo, durante la quale aveva realizzato un modello di cupola in mattoni e calcina senza armature) e Lorenzo Ghiberti, nominati Provveditori della cupola, affiancandoli al capomastro della fabbrica Battista d'Antonio.

Filippo Brunelleschi, modelli lignea per il concorso della cupola di Santa Maria del fiore
I lavori alla cupola iniziarono il 7 agosto 1420 e l'Opera del Duomo dispose esplicitamente che il modello da seguire fosse quello messo su da Brunelleschi in piazza Duomo. A partire dal 1426 Brunelleschi viene nominato governatore capo dell’intera fabbrica, mentre Ghiberti, per la dimostrata imperizia e i ripetuti errori tecnici continuò a seguire il cantiere solo marginalmente.

La cupola ha una sezione a sesto acuto «più magnifica e gonfiante»: ciò deriva sia da ragioni tecniche (le dimensioni non permettevano di impiegare una forma semisferica ed era necessario verticalizzare la spinta laterale) sia dalla volontà di armonizzarla con l’edificio gotico di Arnolfo di Cambio. Tuttavia, nonostante la sagoma gotica, la cupola è pienamente rinascimentale, razionale nella sua logica, misurata ed equilibrata nelle sue parti, un capolavoro assoluto.

Vista della Cupola di Santa Maria del fiore

Cupola di Santa Maria del fiore - sezione
Cupola di Santa Maria del Fiore - spaccato assonometrico


Per evitare l’uso di centine in legno, costosissime e probabilmente impossibili da mettere in opera su tali dimensioni, Brunelleschi elabora l’idea di una struttura autoportante in ogni fase della costruzione, la quale, nonostante l’apparenza formale gotica, con profilo acuto e a settori costolonati, si comporta staticamente come una volta semisferica ad anelli chiusi sovrapposti come quella del Pantheon. La cupola di Santa Maria del Fiore è infatti costituita in realtà da due calotte, ciascuna divisa in verticale da otto vele: una inferiore più pesante e portante ed una esterna più leggera definita da 8 costoloni di marmo bianco che coincidono con gli spigoli e che risaltano sulle vele rivestite di tegole di cotto. La forma risulta così disegnata secondo il principio brunelleschiano di definizione dello spazio. La cupola esterna poggia su ventiquattro supporti posti sopra gli spicchi di quella interna e incrociati con un sistema di speroni orizzontali che ricordavano una griglia di meridiani e paralleli. La cupola interna, più piccola e robusta, regge il peso di quella esterna e, tramite gli appoggi intermedi, le permette di svilupparsi maggiormente in altezza.
I mattoni della muratura delle otto facce sono posati a spina di pesce, con un mattone inserito per lungo a intervalli regolari, tra mattoni messi orizzontalmente. in modo che i pesi non siano scaricati solo verso il basso, ma risultino distribuiti in più direzioni, con un alleggerimento generale della struttura. Questa tecnica, nella quale i tratti sporgenti dei mattoni "in piedi" facevano da sostegno per l'anello successivo, procede come una spirale ed era già stata usata in edifici orientali precedenti, ma era inedita per l'area fiorentina
Nell'intercapedine tra le due cupole si trova il sistema di scale che permette di salire sulla sommità. La cupola - soprattutto dopo la conclusione con la lanterna, che con il suo peso consolidava ulteriormente costoloni e vele - è quindi una struttura organica, dove i singoli elementi si danno reciprocamente forza; le membrature sono prive di orpelli decorativi e, a differenza dell'architettura gotica, il complesso gioco statico che sostiene l'edificio è nascosto nell'intercapedine, anziché mostrato apertamente.


Brunelleschi fu costantemente al cantiere e si occupava di tutto, dalla progettazione di argani, carrucole e macchinari, alla scelta dei materiali nelle cave fino al controllo dei mattoni e delle  fornaci.
Per costruire la doppia calotta, Brunelleschi mise a punto un'impalcatura aerea che si innalzava gradualmente, partendo da una piattaforma lignea montata all'altezza del tamburo e fissata alle vele tramite anelli inseriti nella muratura. All'inizio dell'opera, dove la parete della cupola era pressoché verticale, il ponteggio era sostenuto da travi infilate nel muro, mentre per l'ultimo tratto, in cui la calotta si curvava fino a convergere verso il centro, Brunelleschi progettò un ponteggio sospeso nel vuoto al centro della cupola, forse appoggiato con lunghe travi a piattaforme poste a quote inferiori, dove si trovavano anche i depositi di materiali e di strumenti.

Spaccato assonometrico con le macchine di cantiere progettate da Brunelleschi

Brunelleschi migliorò anche le tecnologie per alzare i pesanti blocchi di laterizio, applicando agli argani e alle carrucole di epoca gotica un sistema di moltiplicatori derivati da quelli usati nella fabbricazione degli orologi, in grado di aumentare l'efficacia della loro forza. Una coppia di cavalli legati a un albero verticale davano origine a un movimento circolare ascendente, che veniva poi impresso a un albero orizzontale da cui si arrotolavano e srotolavano le funi che sorreggevano le carrucole con i carichi. Questi macchinari, simili alle moderne gru, rimasero nei pressi del battistero per un po', finché non furono ripresi da Leonardo da Vinci, che li studiò e li utilizzò come modello per creare alcune delle sue più famose macchine. Per migliorare le condizioni di lavoro, Brunelleschi aveva inoltre approntato un sistema di illuminazione delle scale e dei passaggi che corrono, a vari livelli, tra l'involucro interno e quello esterno della cupola e con punti d'appoggio in ferro.
Ogni vela era infine affidata a una diversa squadra di muratori guidata da un capomastro, in modo da procedere uniformemente su ciascun lato. Quando la costruzione arrivò parecchio in alto, Brunelleschi allestì sui ponteggi anche una zona ristoro, dove gli operai potevano fare la pausa pranzo senza perdere tempo a scendere e risalire.

architetto, trattatista, matematico, pittore e umanista Alberti (1404-1472) è ricordato sia per i suoi edifici che per i suoi trattati nei quali affronta alcuni dei problemi fondamentali delle arti figurative del Quattrocento: la prospettiva, il disegno, la composizione, la luce.

La chiesa gotica di San Francesco, oggi cattedrale di Santa Colomba, nonostante le dimensioni relativamente modeste, era già utilizzata fin dal 1312 come luogo di sepoltura della famiglia dei Malatesta, signori di Rimini, arricchita da altari e opere d'arte, alle quali fu chiamato a contribuire anche Giotto.
Sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, fu deciso di attuare un profondo programma di rinnovamento per trasformare la vecchia chiesa in un vero e proprio tempio dinastico, capace di mostrare la gloria e la fama della stirpe del committente. I lavori, affidati a Leon Battista Alberti, iniziano nel 1450 quando l’artista ha 46 anni (un’età molto avanzate per il tempo), ma l’opera resterà incompiuta non per l’età avanzata del progettista quanto per il peggiorare dei rapporti con il Papa Pio II Piccolomini che, già critici per le campagne militari del Malatesta contro Siena -città natale del pontefice- sfociarono nella scomunica del 1460. Nel frattempo le avverse fortune militari, e le conseguenti difficoltà economiche, resero impossibile la fine dei lavori quando erano state ultimate solo tre cappelle ed i rivestimenti esterni, realizzati incapsulando la struttura medievale, tuttavia da una medaglia celebrativa è possibile immaginare l’idea complessiva.

Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, ricostruzione del progetto  originale

Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, assonosmetria del progetto originale

L'architetto aveva previsto un secondo ordine, la copertura delle due ali laterali (con l’innesto di due semiarchi), la presenza di un grande arco di trionfo sopra l’ordine del portale principale di accesso, l’interno doveva essere coperto da un’unica grande volta a botte, una cupola ed un transetto. Tuttavia, sebbene non sia completo, questo edificio rappresenta già dal 1450 quello che è il gusto dell’Alberti per la citazione letteraria di opere romane.

Leon Battista Alberti Tempio Malatestiano - facciata


Leon Battista Alberti Tempio Malatestiano - facciata, geometrie e proporzioni

Arco di Augusto , Rimini, 27 a.C.

L'intervento, come già detto, prevedeva la costruzione di una sorta di involucro classico, a proteggere ed a restaurare le strutture preesistenti della Chiesa di San Francesco. Il motivo predominante di questa architettura è quello dell'arco trionfale che segna in maniera molto forte la facciata, dove la parte inferiore scandita da tre arcate è una citazione dell’arco di Augusto edificato propri a Rimini nel 27 a.c., e rivela la volontà di assimilare la figura di Sigismondo all’imperatore romano trionfante, ma che scandisce anche i fianchi del tempio, dove una serie di arcate in pietra sollevate su un basamento continuo, che ricordano il ritmo di un acquedotto romano, non vanno a nascondere la struttura originaria della chiesa ma si sovrappongono, senza contestarla, alla struttura preesistente.

Leon Battista Alberti Tempio Malatestiano - pianta e prospetto laterale

Leon Battista Alberti Tempio Malatestiano - arcate laterali

Ponte di Tiberio, Rimini, 21 d.C.

Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, interno
Tuttavia l'architettura di Leon battista Alberti verrà sempre definita come un'architettura disegnata, nel senso che la sua architettura sarà più che altro un'architettura di forma (o di disegno) alla quale non darà spessore costruttivo così evidente (come invece tentava di fare Filippo Brunelleschi con il suo scheletro architettonico), tant'è vero che la struttura del tempio è in mattoni, ma è stata ricoperta da un sottile strato di pietra che simula grandi blocchi di materia, come nelle vere costruzioni romane.

Chiesa di Sant’Andrea a Mantova (1460-1472)
Per la chiesa di Sant’Andrea Alberti creò il suo progetto ispirandosi al modello del tempio etrusco descritto da Vitruvio , un edificio cioè con pronao anteriore a colonne ben distaccate e senza peristasi.


Tempio Estrusco, ricostruzione
Anche in questo caso predomina come tema architettonico quello dell'arco di trionfo, infatti la facciata della chiesa di Sant'Andrea a Mantova non è altro che un enorme arco di trionfo romano a un solo fornice tra setti murari, ispirato a modelli antichi come l'arco di Traiano ad Ancona e ancora più monumentale del precedente lavoro sulla facciata del Tempio Malatestiano.

Leon Battista Alberti, Sant'Andrea - facciata

Arco di Traiano, Ancona II sec d.C.

L'ampio arco centrale è inquadrato da paraste corinzie che si estendono per tutta l'altezza della facciata, costituendo uno dei primi monumenti rinascimentali per cui venne adottata questa soluzione che sarà denominata ordine gigante. Sopra i due portali laterali, si trovano inoltre archetti sovrapposti tra lesene corinzie. Allo schema dell'arco di trionfo si fonde, inoltre, il tema formale del tempio classico che, richiamato dal grande timpano, forma una sorta di avancorpo avanzato, rispetto al resto dell'edificio. Sotto l'arco viene così a formarsi uno spesso atrio che diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno.
Un altro elemento importante della costruzione è dato dall'ombrellone, un secondo arco al di sopra del timpano del grande arco di trionfo; il suo obiettivo è quello di segnare l’altezza della navata e di mitigare la luce che arriva dall'oculo impedendo che la luce entri direttamente nella navata creando una sorta di penombra. 
Tutta la facciata è in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico in modo da avere un controllo razionale e matematico degli spazi.

Leon Battista Alberti, Sant'Andrea -geometria e proporzioni della facciata
L’impianto interno è caratterizzato da una grande navata unica coperta a botte terminante in un breve transetto al centro del quale si innalza la cupola, secondo un modello nel quale riecheggia l’antica basilica civile romana. La presenza di cappelle più grandi alternati a cappelle più piccole crea delle volte a botte che coprono le cappelle più grandi per arrivare all’altezza della grande volta a botte della navata e contrastare il suo peso, che consente alla volta di poter resistere. Le cappelle sono alternate grazie alla presenza di un grande ordine interno che corrisponde al grande arco di trionfo esterno (il tema dell'arco di trionfo quindi si ritrova anche all'interno).

Leon Battista Alberti, Sant'Andrea, pianta e sezione


Leon Battista Alberti, Sant'Andrea, interno

Basilica di Massenzio, Roma IV sec d.C.


La città ideale


Anonimo, tavola di Urbino - Città ideale, (1480-1490 ca)
Nel Rinascimento la riscoperta e lo studio dei testi classici latini e greci, in particolare delle teorie filosofico - politiche di Platone ed Aristotele, stimolò la riflessione sulla realizzazione di uno Stato perfetto, retto da filosofi e sapienti, in grado di garantire l’armonia delle diverse sfere (economica, politica, religiosa, sociale e culturale) che componevano la vita comune. Questa speculazione teorica si accompagnò all'interesse per gli aspetti architettonici ed urbanistici; l’arte del buon governo infatti poteva esercitarsi soltanto attraverso il sodalizio tra un operare politico retto ed equilibrato e l’applicazione di criteri urbanistici elaborati secondo calcoli precisi e rigorosi, in grado di dar vita a forme giudicate perfette e fondati sull'applicazione dei principi della prospettiva lineare. E’ in questo periodo, quindi, che nascono le visioni utopiche di città ideali, con le quali a fondere uno Stato saggiamente amministrato con un disegno urbano fondato sulla pura geometria.
Il disordine delle città medievali, che erano sorte senza un disegno preordinatore, era ovviamente negato, ma proprio perché le città, in cui si trovarono a operare gli architetti rinascimentali, si erano formate in periodo medievale, sorse per essi il problema di inserire i loro edifici in contesti che non erano sorti con visione di razionale e geometrica organizzazione dello spazio. Si affermarono quindi  due modelli: da un lato la progettazione e, più raramente, la realizzazione ex-novo di città, dall'altro la riorganizzazione del preesistente tessuto medievale, reimpostato e rivisto nella nuova ottica razionalistica rinascimentale.

Il progetto che si ponecome la prima città disegnata del Rinascimento, è la città di Sforzinda (1460-65) immaginata dal Filarete per gli Sforza a Milano.


Filarete, pianta della città di Sforzinda, 1460-1465
Lo schema della città è generato dalla sovrapposizione di due quadrati ruotati di quarantacinque gradi, inscritti in un cerchio. Lungo il perimetro in forma di stella, così ottenuto, che coincide con la cinta fortificata, si collocano le porte e i bastioni della città: le prime sulle parti rientranti, i secondi sugli spigoli. Il tessuto viario definito all’interno della cinta muraria è radiocentrico: le strade collegano il centro, occupato dalla piazza rettangolare, alle porte e alle torri. Al centro del perimetro murario troviamo le sedi del potere civile ed ecclesiastico, ovvero il palazzo del governo e la cattedrale, che, grazie alla loro collocazione centrale, dominano la città, circondata da verdi e fertili colline che seguono un andamento a poligono regolare. Vicino ad esse si trova il fiume Lindo che rispecchia le fondazioni mitiche ma allo stesso tempo ha una funzionalità concreta, poiché tutte le maggiori città, da Roma a Parigi a Londra, sono sorte vicino ad un fiume in grado di garantire approvvigionamento e possibilità di trasporto e commercio.


Filarete, la città di Sforzinda e il fiume Lindo, 1460-1465
Il carattere di concretezza si ritrova anche nella piazza centrale rettangolare, dove oltre agli edifici più rappresentativi, troviamo portici con botteghe. Alle attività economiche sono destinate anche piazze secondarie poste lungo le vie radiali ciascuna destinata ad un tipo di mercanzia, e i canali che corrono parallelamente a queste, i quali hanno la funzione di accogliere il traffico delle merci, collegando un fiume esterno alla città con un anello situato attorno al sistema degli edifici centrali. Da tutti questi aspetti risulta dunque evidente che Filarete, accanto a proposte legate alla concretezza della vita urbana e ai reali bisogni della comunità, ne fornisce altre puramente astratte, che si addicono alla città ideale, alcune parti della quale possono essere effettivamente realizzate. 


Palmanova, Udine fondata nel 1593
Fra il 1470 e il 1480, Francesco di Giorgio Martini scrive il suo Trattato sull'architettura civile e militare, inserendovi un gran numero di idee ben documentate da abbondanti disegni nei quali fornisce. tanti esempi di forme ciascuno in relazione alle caratteristiche fisiche e introducendo alcune alterazioni: gli impianti a scacchiera e le innovazioni relative alle tecniche di fortificazione per le quali Francesco di Giorgio è uno dei maggiori esperti.



Francesco di Giorgio Martini, Trattato di architettura civile e militare, 1470-1480, schema di città antropomorfa
Nel Rinascimento, gli interventi di riorganizzazione dello spazio urbano sono pensati in termini di rapporto uomo/universo, nel quale l’uomo rappresenta il modulo di altri aspetti del creato. Se, alla luce della nuova concezione antropocentrica, l’uomo viene a trovarsi al centro del mondo, egli rappresenta un microcosmo rispetto alla città, di cui è motore attivo. Conformemente a tutto ciò Francesco di Giorgio Martini propone un modello di città antropomorfo nel quale il corpo umano è messo in rapporto ad uno schema urbano rettangolare: ai vertici del rettangolo sono collocati quattro torrioni circolari, sul lato breve a sud si apre una porta protetta da un rivellino, a nord, invece è collocato un castello. Il centro del rettangolo, che corrisponde all’ombelico, è occupato da una piazza di forma circolare.
Francesco di Giorgio Martini, Trattao di architettura civile e militare, 1470-1480, modelli di città 
Tutte queste elaborazioni sono però sempre piuttosto teoriche e indipendenti dall'esperienza concreta Lo spirito che informava queste ipotesi di città ideali, aveva infatti, come già detto in precedenza, il carattere ingenuo di credere che la bellezza formale, dalle perfette geometrie, potesse risolvere i molteplici aspetti funzionali e pratici di un organismo urbano. Il loro valore appare tuttavia notevole per capire i principi ispiratori di molti interventi a dimensione urbana che si ebbero in epoca rinascimentale.


Nello stesso periodo, comincia anche la ricerca di Leonardo da Vinci, che si lascia affascinare dal tema della città ideale durante il soggiorno milanese. Pur trovando molti spunti nel lavoro di Francesco di Giorgio, il suo interesse è decisamente più complesso e va dalla geologia, all'idraulica, all'igiene. La sua produzione teorica, accompagnata da numerosi disegni, è una sintesi di urbanistica e tecnica, concepita come un complesso di relazioni tra gli elementi, come fossero parti di un organismo vivente. Diversamente dai colleghi contemporanei, Leonardo ricerca un’organizzazione spaziale non tanto geometrica, quanto funzionale, per dare soluzione ai problemi della vita quotidiana: traffico, approvvigionamenti, igiene.

Leonardo da Vinci, città ideale ricostruzione del Museo della scienza e della Tecnica, Milano
La città deve sorgere infatti in prossimità di un fiume dal corso abbastanza veloce da non creare ristagni che possano inquinare l'aria. Attraverso chiuse e conche l'acqua del fiume viene convogliata nell'abitato mediante una rete di canali, grazie ai quali è possibile provvedere innanzitutto alla pulizia urbana e al deflusso dei liquami, per i quali viene studiato un vero e proprio sistema fognario sviluppato a livello sotterraneo.
Se l'aspetto igienico-sanitario resta essenziale, i canali assolvono comunque anche ad altre importanti funzioni, come quella di garantire le comunicazioni e di agevolare gli approvvigionamenti. La rete dei canali è dunque integrata in un sistema viario rigorosamente organizzato, che comprende, oltre ad essi, strade destinate al traffico veicolare e popolare e, ad un piano superiore, strade destinate esclusivamente alla circolazione dei "gentili omini".

Leonardo da Vinci, città ideale ricostruzione del Museo della scienza e della Tecnica, Milano
Leonardo da Vinci, città ideale ricostruzione del Museo della scienza e della Tecnica, Milano
Paragonate alle osservazioni teoriche, le realizzazioni pratiche non rappresentano però delle verifiche adeguate: più che di interventi urbanistici veri e propri, si tratta di opere relative a pochi edifici di zone rappresentative che, lasciando intatto l’impianto medioevale della città, assumono l’aspetto di un episodio, di una frattura o di un allentamento del tessuto esistente.


PIENZA
A livello urbano, a trasformazione di un piccolo centro medievale della campagna senese, rappresenta, insieme ad Urbino, uno degli esempi più significativi di pianificazione di “città ideale”. 
Nel 1459 Pio II visita il borgo natio di Corsignano e decide di ricostruirlo come sua dimora “ideale”; di erigere una città che celebrasse il suo pontificato, affidando i lavori  all’architetto e scultore Bernardo Rossellino, allievo e collaboratore dell’Alberti. Tutta la parte centrale dell’abitato, sulla sommità di una collina, fu demolita e ricostruita, dando vita ad un nuovo impianto fondato su criteri prospettici e su una regolarizzazione modulare degli edifici. Il rinnovamento toccò soltanto il centro della cittadina, per la necessità di dover tener conto delle preesistenze medievali ed in conformità con le indicazioni dell’Alberti, che nel De Re Aedificatoria affermava che le città dovevano fondarsi su larghi viali rettilinei terminanti in piazze regolari, sul modello dei fori antichi; ma che le vie secondarie potevano anche essere tortuose ed irregolari, secondo i canoni medievali. E’ per questo motivo che a Pienza il borgo medioevale e il “nuovo” gruppo monumentale, convivono in un singolare equilibrio, ma l’operazione, limitata in uno spazio a sé, conserva una sorta di autonomia. 
La piazza centrale segue una forma trapezoidale che si apre sul panorama della Valle d’Orcia, con il pavimento in cotto scandito da liste di travertino distribuite secondo una partitura che stabilisce i rapporti tra gli edifici.


Pienza, vista della piazza Pio II

Pienza, planimetria
Ai lati della piazza sorgono Palazzo Piccolomini e Palazzo Borgia, per i quali Rossellino adottò il modello proposto dall'Alberti in Palazzo Rucellai a Firenze, mentre la facciata della chiesa, verso cui convergono i due edifici laterali, riprende lo schema del tempio malatestiano ideato sempre dall'Alberti. Il Palazzo Vescovile presenta una caratteristica prettamente rinascimentale: la pavimentazione regolare ne accentua la visione prospettica: vi si trova indicato anche un punto che rappresenta il punto di vista ideale.


Pienza, Duomo

Pienza palazzo Piccolomini,  facciata
Pienza, palazzo Piccolomini, loggiato



Pienza, palazzo vescovile
Il risultato, almeno nelle parti completate come la piazza, fu una perfetta residenza papale, improntata all'omogeneità della visione architettonica, in cui la scansione orizzontale del lastrico pavimentato sembra riflettersi sulla geometria regolare delle linee verticali dei prospetti dei palazzi, quasi assurgendo a modulo architettonico.

Il palazzo di città
L’ascesa di una nuova classe politica laica rappresentata da mercanti e banchieri è alla base del profondo rinnovamento urbano che investe gran parte delle città italiane. I nuovi palazzi costruiti intorno alla metà del Quattrocento dovettero quindi conciliare le esigenze di vita degli abitanti al rinnovamento del volto urbano delle città, avvicinandosi, al contempo, ai prototipi dell'antichità.
Tuttavia, a differenza di alcuni templi, nel XV secolo nessun antico palazzo era sopravvissuto integro, tanto che alla conoscenza delle planimetrie si contrapponeva la mancanza di modelli relativi all'articolazione delle facciate. Neanche Vitruvio e gli altri autori del periodo romano avevano fornito indicazioni precise, concentrando le loro attenzioni soprattutto sulla disposizione in pianta e non sull'alzato. L'introduzione del cortile al centro dell'edificio, derivata dai modelli planimetrici del passato, divenne pertanto il principale elemento caratterizzante la nuova disposizione all'antica che prevedeva un complesso edilizio chiuso attorno ad un cortile, con piccole aperture al piano terreno e finestre regolari, di dimensioni più ampie, nei registri superiori.
Il rivestimento parietale, nel primo Rinascimento, è costituito dal bugnato e dai semipilastri; ad esempio, al primo caso, legato alla tradizione di Palazzo Vecchio e del Bargello, è riconducibile il Palazzo Medici Riccardi di Michelozzo, mentre al secondo è ascrivibile il prospetto del Palazzo Rucellai, ideato da Leon Battista Alberti.

Palazzo Rucellai a Firenze (1447-1451)
L’edificio, costruito intorno alla metà del XV secolo, sorge su una stretta via davanti ad una piazzetta.
L'intervento architettonico di Leon battista Alberti consiste anche in questo caso nella ridefinizione di un prospetto architettonico che si va ad appoggiare su architetture preesistenti, di proprietà della famiglia Rucellai, ricucendole e dando maggiore rilievo al nuovo palazzo, ma a differenza dell’intervento di Rimini quest’opera risultò essere molto più vincolata, in quanto a Firenze già dal 1100 esistevano dei regolamenti urbani molto ferrei soprattutto sull'invasione del sedile stradale (per cui le strade dovevano avere una determinata larghezza e non si poteva costruire invadendo né in terra né in aria oltre un certo limite.

Leon Battista Alberti, palazzo Rucellai, pianta e prospetto


Ad ogni modo, dal punto di vista architettonico, questo prospetto segnerà il passo tutta una serie di declinazioni che verranno poi effettuate anche nel corso di poco tempo, una citazione quasi letterale di questa facciata è il palazzo Piccolomini a Pienza realizzato da Bernardo Rossellino.
La facciata si divide, tradizionalmente, in tre piani mediante cornici orizzontali ed in verticale mediante semipilastri (dorico-tuscanici al piano terreno, ionici al primo, corinzi al secondo) che sono un ricordo degli ordini sovrapposti romani. L'altezza dei piani, mano a mano che si sale diminuisce, il piano terra è lievemente bugnato e l'unico elemento che invade la strada è il basamento, che si costruisce quale sedile (tipico dell’architettura toscana, un modo per partecipare alla vita cittadina). I tre grandi ordini sono divisi da altrettante grandi fasce che costituiscono la trabeazione degli ordini (con architrave, fregio e cornice), che segna in maniera marcata l'alternanza dei livelli ma che nell'ultimo livello viene in qualche modo inquadrata da un grande cornicione che corrisponde (per quanto riguarda la sporgenza) al sedile del basamento. L’attico, arretrato, con terrazzo sul davanti non visibile dalla strada, è un elemento interno funzionale alle comodità della famiglia.

Leon Battista Alberti, palazzo Rucellai, facciata

Leon Battista Alberti, palazzo Rucellai, esterno

Anfiteatro Flavio (colosseo), Roma, 70 d.C.
Per quanto riguarda l'utilizzo degli ordini architettonici, per il motivo dell’arco che ritorna al primo e al secondo livello e per l’architrave decorato con mensole questo palazzo si può considerare come un appiattimento della sequenza degli ordini architettonici che troviamo nel colosseo (quindi anche in questo caso abbiamo una citazione di un'opera romana però in questo caso reinterpretata in termini di disegno e di linea da Leon battista Alberti). 

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